Ca’ di Rajo:

Nel mio vino

voglio riconoscere

il vitigno,

il territorio

e la mia mano.

Sono le 8 di sera del 29 maggio e rincaso dopo una giornata trascorsa tra inghippi burocratici di garanzie ed assicurazioni perché l’auto che avevo appena ritirato dal concessionario dieci giorni fa si è spenta nel bel mezzo di un sorpasso autostradale nei pressi di Montecatini Terme … insomma una di quelle giornate da dimenticare da cancellare dal calendario ed era proprio questo che mi accingevo a fare quando, arrivata in cucina armata di pennarello nero, vedo segnato un appuntamento che mi fa sorridere… “Degustazione Ais Ca’ di Rajo”.

Sono rimasta a guardare per un attimo l'appunto e poi... “ sì vado”.

Rabbrividita sotto un cielo cupo e minaccioso, mi districo nel tortuoso labirinto di vicoli del centro storico di Genova per abbreviare il percorso ... nella penombra delle prime luci della notte arrivo a Palazzo Imperiale e subito mi becco un rimprovero da Sandra Maglione per non averla avvisata della mia presenza... allora le accenno alla mia disavventura... e lei cambia immediatamente espressione riservandomi la sua allegra risatina come a dirmi: “Vabbeh non me ne frega niente ma per stavolta passi!” Antonio Del Giacco mi fa un cenno di saluto da distante mentre io mi appresto a scattare qualche foto.

L'aria magica che si respira nella sala del camino allestita per la degustazione per incanto mi fa dimenticare le torture della giornata e credo che quest'effetto lo faccia su tutti i convenuti, lo si vede dalle espressioni distese e sorridenti.

Antonio comincia a presentare la serata introducendo Simone Cecchetto, uno dei titolari dell'azienda Ca’ di Rajo. Simone prende subito la parola e preannuncia che faremo la degustazione di ben 7 tipologie di vino!

L’azienda si trova nel cuore della provincia di Treviso il nome Ca’ di Rajo significa in dialetto “casa di raggio” vale a dire “casa del sole”, 25 ettari di proprietà, 30 conferitori di uva, esportato in 35 paesi.

Simone parla veloce e dai suoi gesti si percepiscono il dinamismo e la grinta che lo contraddistinguono quindi bando alle chiacchiere e cominciamo con il primo vino.

LeMoss significa in dialetto trevigiano: è mosso.

: “toglietevi dalla testa il prosecco cui siete abituati!” asserisce con veemenza Simone

: “io voglio riportarvi al momento in cui il prosecco ha cominciato la sua grande ascesa e cioè a circa  40 anni fa quando era ancora un vino acidulo e disarmonico, e, per renderlo piacevolmente bevibile, i vignaioli aggiungevano un po’ di zucchero... ed ecco il prosecco che conosciamo oggi, aggiungendo lo zucchero ad un vino non filtrato…fermenta!” LeMoss come si presenta?! C’è chi ama scaraffarlo, così resta limpido e chi invece lo ama torbido e quindi lo capovolge facendo risalire i sedimenti dei lieviti.

“Per me quella è la parte più buona!” sostiene Simone. “E' come mangiare l’uva glera direttamente in vigna! Cerchiamo di interferire il meno possibile nel processo di vinificazione, non utilizziamo solforosa e nemmeno lieviti selezionati per questo prosecco e la malolattica parte da sola avendo ph molto basso che chiaramente si esprime nel vino con un'acidità piuttosto alta. Ho voluto cominciare così perché questo rappresenta la storia del prosecco…. Com’è nato…. Oggi è completamente diverso, ha una veste nuova”

Il piattino che abbiamo davanti agli occhi è molto allettante e Antonio ci spiega come abbineremo i formaggi e l'insaccato. Partiamo proprio da quest'ultimo, trattasi di una  fettina di pancetta di puro suino, affinata 6 mesi, proveniente dal Podere di Casazza, selezione della casa di distribuzione Selecta. E' estremamente delicata e quindi il prosecco con la sua bollicina riesce a sgrassare bene il palato e ben sostiene questo abbinamento. Proseguiamo con il secondo vino, Marino Cecchetto La cuvée del fondatore BRUT, versione insolita per un prosecco, soli 6 gr/l di residuo zuccherino e una freschezza unica…100% uva glera. Solo se necessario è utilizzato zucchero perché, come puntualizza Simone “preferiamo fruttosio e glucosio del nostro mosto”. E questo spiega perché durante la vendemmia è stoccato a meno 2 gradi tanto mosto di glera, in modo che l'azienda possa preservare il livello di qualità voluto del prosecco aggiungendo il mosto proveniente  dalla propria uva che manterrà le caratteristiche distintive.

La vendemmia per questa cuvée è appositamente posticipata di 8, 10 giorni così da diminuire da un lato l’acidità e dall'altro essendo l'uva più matura aumentare il grado zuccherino. Quindi il vino è di per sé più equilibrato e pur essendo l'uva surmatura mantiene comunque una bella carica di note floreali.

Il terzo vino è un Prosecco extra dry 14 gr/l di zucchero.

E' più commerciale, più piacione… quello che incontra il gusto internazionale.

Finiamo la serie dei prosecchi con uno slogan enunciato da Simone stesso:“Il prosecco è un’esperienza di vita!”

Il quarto vino è NINA nome della nonna, in realtà anche il vezzeggiativo che si usa nel trevigiano per chiamare una donna. E' un Incrocio Manzoni bianco 6.0.13 ottenuto dalla fecondazione di riesling renano e pinot bianco. L'uva è fatta appassire sulla pianta, poi si procede con una pressatura soffice, criomacerazione da 12 a 24 ore dipendenti dalla sanità delle uve, successiva decantazione statica a freddo. Le viti di questo incrocio affondano le proprie radici in una terra alluvionale, povera di per se, in superficie argillosa a tratti ghiaiosa, che traduce in freschezza la naturale acidità controbilanciata dalla morbidezza donata dal prolungato batonnage con i lieviti.

Nasce per stare in bottiglia, vuole competere con i vini bianchi dell’Alto Adige e perchè no anche con quelli francesi!

“Questo è uno dei miei figli…” annuncia Simone:“Lo amo molto…soprattutto con il nostro tradizionale risotto con gli asparagi!”

Il quinto vino è Marinò un rosso del 2010 con titolo alcolometrico 13,5%.

Nasce per esigenze commerciali, è esportato in 35 paesi, è un vino di pronta beva, di facile incontro, con taglio bordolese, anche se il blend è realizzato vinificando  le uve separatamente,  e con quell'aggiunta di Raboso che gli dà il tocco di personalità.

Lo abbiniamo, consiglia Antonio, con il pecorino di Pienza, che pur mantenendo una sapidità notevole non è invadente o prevalente sul vino perché ha un minor affinamento rispetto ad altri pecorini nostrani.

Il sesto è il Sangue del diavolo. Il nome ha origine da una credenza popolare che narra di come, durante le notti di luna piena, il diavolo poggi il piede destro sulla parte superiore della Torre e quello sinistro sul tetto del campanile della vecchia Chiesetta del Carmine e là, dove trovarono la morte numerose persone durante la seconda guerra mondiale, lasci tracce di sangue. Le ritroviamo sull'etichetta della bottiglia con la chiara impronta di una mano insanguinata. Al naso annuncia una ciliegia profumata, una mora selvatica e una  prugna matura. Profumo intenso con sentori di cannella, vaniglia, cuoio, tabacco, viola e pepe. Lo abbiniamo con la Sola, interviene Antonio, è un formaggio semistagionato o anche stagionato, a pasta semimolle, prodotto a sud della Provincia di Cuneo. Per la sua produzione si utilizza sia latte di pecora che latte di capra normalmente non miscelati tra di loro. La pasta si presenta con leggere occhiature, morbida, di colore bianco, con un sapore dolce, la crosta è di un bel colore paglierino nelle forme di pecora e tendente più all’avorio nelle forme di capra.

Ed ecco il cavallo indomabile….così definisce Simone l'ultimo Raboso che presenta.

Notti di luna piena. Raboso Piave in purezza, il 70% delle uve è fatta surmaturare in pianta, il 30% viene appassito in fruttaio per 40 giorni. Trascorrono 36 mesi in botti di legno da 12 hl il vino da uve surmaturate in pianta, e 24 mesi in barriques il vino da uve passite in macerazione di 20/25 giorni in tini di legno da 35 hl. Le temperature variano dai 24-26° C per favorire l’estrazione della sostanza colorante contenuta nella buccia degli acini. Lo assaporiamo da solo e poi lo accompagnamo con il blu di Morrozzo di latte vaccino crudo.

:beh io ho finito! Avverte Simone col suo inconfondibile stile diretto e senza troppi fronzoli... questa franchezza fa scaturire un fragoroso applauso, Antonio procede con i ringraziamenti anzittutto alle 4 sommelier della serata, impeccabili nel servizio e piacevoli nell'aspetto: Livia Merlo, Rossana Sciuto, Alessandra Terzolo, Orietta Danovaro

e naturalmente al responsabile del servizio Gianfranco Tornino che rivela di aver tagliato formaggio dalle 2 del pomeriggio. Conclude ancora Simone sollecitando gli intervenuti ad esprimere pareri, opinioni e domande tramite la mail del sito, cui risponderà personalmente e ci lascia con la ricetta della colazione di suo nonno di 83 anni: salame,  pomodori, qualche fetta di pane rimasto dalla cena della sera precedente… e due bicchieri di Raboso… Questo è Ca' di Rajo, questo è il raggio di sole!

 

Alessia Cotta Ramusino