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A COMPAGNA: LA PROFUMERIA VITALE

A COMPAGNA

 

In fondo la locandina della mostra

«Sulle tracce dei pastori»

organizzata dall’Archivio di Stato di Genova

 

Cari soci e simpatizzanti, proseguiamo con l’iniziativa di proporvi ogni martedì la lettura di un articolo scelto tra quelli pubblicati nelle prime annate del nostro bollettino (1928-1933), cercando di variare gli argomenti trattati. Buona lettura! Chi volesse leggere gli articoli già inviati segua il link: http://www.acompagna.org/covid/index.htm

 

Colgo l’occasione per ringraziare la Gran Cancelliera Isabella Descalzo per l’idea di mandare questi articoli e per la cura con la quale li prepara.

Franco Bampi

 

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Il pioniere genovese delle essenze profumate

 

La Profumeria Vitale

 

Articolo a firma Matteo Ferdinando Canessa, pubblicato sul bollettino

n° 6 – Giugno 1929

 

1873: - Albori di vita nel ritmo della vita. In Genova, perla Mediterranea, rivivono nella nuova vita dello stato nuovo le glorie del risorto San Giorgio. Artieri e calafati armano di pece e di ferro le galee nuove, dalle quali sorgerà l’impulso a percorrere le vie note dell’Oriente per stringere vincoli nuovi, per rinsaldare amicizie coll’opera feconda del lavoro con le genti d’oltremare. Mentre fervono i magli della prima rinascita, gli artigiani nelle piccole botteghe piegano il rame, filano l’argento, distillano i profumi che le navi nuove porteranno lontano, a significare la capacità possente e paziente del popolo tenace.

Intanto la dama nei palazzi di marmo sontuosi d’oro, alti di luce nel sole, fra i tappeti d’Oriente e i merletti di Smirne, bruciava nelle conchiglie cinesi profumi che la diligenza aveva portato d’oltre alpe.

Ma si risvegliava il senso di indipendenza come dopo le grandi guerre ed i grandi patimenti: e come l’artigiano filava l’argento, e come batteva il rame, e come torceva il cuoio, e come modellava la creta, così l’artigiano di Liguria toglieva dai fiori della sua terra il profumo per chiuderlo nelle ampolle ed offrirlo alla sua dama.

È l’elogio della piccola industria, dell’artigianato, del lavoro minuto, animato dalla grande fede e da un senso d’arte e di poesia.

Piccole stanze buie nei vicoli, cataste di fiori, lambicchi, mortai pulsanti, uomini come automi a frantumare la radice odorosa ed a renderla polvere, profumi come stille di rugiada raccolti nel vetro soffiato dal maestro vetrario della rivale di ieri, Venezia. In alto, nel buio più fitto l’icona di San Giorgio ed il lume tremolante sulla operosità dell’uomo.

Tale doveva essere la fucina dalla quale solo per virtù d’amore doveva nascere una industria vera; tale doveva essere all’inizio la fucina dove per la prima volta si composero le essenze per creare il profumo che oggi è cercato ed usato, e che ha varcato sulle galee nuove i confini dei nostri mari. In tale ambiente nacque l’Acqua Antiqua, la deliziosa acqua per toeletta che Vitale, maestro d’arte e di profumi, animato dal sogno tutto fiori

della terra ligure, seppe realizzare con tenacia e con sacrificio.

 

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ALESSANDRO VITALE, FONDATORE DELLA DITTA

 

Le difficoltà di imporre un qualche cosa di nuovo erano tanto maggiori in quanto in passato l’Italia mostrava di avere una certa prevenzione contro i prodotti nazionali, segnatamente nel campo della profumeria, prediligendo le marche straniere.

Per riuscire ad imporre il proprio nome nel campo dei profumi bisognava dunque vincere un secolare preconcetto, facendo bene apprezzare prodotti originali e perfetti. Vanto della Ditta Vitale di Genova è appunto quello di non aver proceduto mai con criteri di imitazione, ma di aver cercato invece con prove e contro prove costanti nella difficilissima chimica delle essenze e dei profumi la vera verità geniale. L’Acqua Antiqua non solo fu salutata con crescente favore in Italia, ma per le sue eccezionali particolarità fu in breve apprezzatissima anche all’estero, e se ne avviò una considerevole esportazione nei principali stati di Europa e d’America.

Incoraggiata dall’accoglienza fatta dal gran pubblico elegante all’Acqua Antiqua, la Ditta Vitale ebbe la genialissima idea di applicare lo specialissimo ritrovato ad altri prodotti per toeletta. Fu così che in breve creò: l’Essenza per fazzoletto Antiqua, lozione per capelli Antiqua, il sapone purissimo Antiqua, la crema per la pelle Antiqua, la polvere di riso Antiqua, lo shampoing Antiqua, l’elisir dentifricio Antiqua, la pasta dentifricia Antiqua, il talco Antiqua. Dopo essersi affermata in tutte queste specialità della serie Antiqua, la Ditta Vitale coltivò di preferenza gli studi per altre essenze odorose, ed altri profumi, animata sempre dal lodevole intento di raggiungere le doti principali che debbono avere i prodotti di simile genere, cioè la persistenza, la signorile finezza e l’assoluta originalità.

 

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IL NEGOZIO DI VIA CARLO FELICE

 

Così ebbero vita, a distanza di qualche anno l’una dall’altra, e si affermarono nel corso del tempo le specialità che presero l’augurale nome di Gloria: quelle chiamate Senza Nome, Malia, Lolita, Rose Rosse, Viole di Parma, Vero Mughetto, Tau, anche queste applicate poi, perché salutate dal generale consenso, a tutte le varietà di prodotti di toeletta. A queste creazioni d’incomparabile finezza seguirono quelle dell’Acqua di Colonia distillata dai fiori di Pegli, speciali saponi per toeletta, l’elisir dentifricio, la pasta dentifricia, la polvere dentifricia. In tal modo la Ditta Vitale conseguiva il fine propostosi: di dotare cioè la sua speciale industria di tutti i prodotti occorrenti alla toeletta. Una delle particolarità della Ditta Vitale è quella di presentare alla sua fida clientela i prodotti con una perfetta forma di estetica e di signorile buon gusto; le bottiglie, le anfore, i vasetti, gli astucci, gli stessi involucri di rivestimento hanno tutti una impronta di particolare distinzione.

A tanto fervore di sorrideva finalmente la gioia del trionfo sotto la specie purissima del plauso di re, di personalità del mondo culturale, scientifico, letterario, diplomatico di tutto il mondo.

Scriveva Novelli, il comico finissimo: “Caro Vitale, ho provato la vostra Acqua Antiqua e sento già che né io né la mia famiglia potremo d’ora innanzi farne più a meno”. E Tina Di Lorenzo, questa squisita artista che si è allontanata dalla scena ancora nella pienezza della capacità quasi a rendere più bello il ricordo dei suoi trionfi si dichiarava ammirata per l’Acqua Antiqua che, essa scriveva: “rappresenta l’elemento più importante e direi indispensabile per la mia toeletta”.

Qualche anno più tardi ancora Tina Di Lorenzo quando apparve la creazione Senza Nome, così si esprimeva: “senza nome? uno ne ha, il solo possibile per tale profumo: soavità”. Virgilio Talli maestro d’arte e di grazia, a proposito del profumo Gloria diceva meravigliosamente: “date tutta la gloria a chi seppe creare un profumo di tal nome e di tanta dolcezza”. Paola Borboni, la bella Paola è una consumatrice dell’Acqua Antiqua, e diceva una sera in confidenza che tre cose amava al mondo: la sua arte, la sua mamma e l’Acqua Antiqua di Vitale. Amerigo Guasti, un altro scomparso, ma vivo nel ricordo di quanti lo conobbero sulla scena e fuori, scriveva così: “Caro Vitale, mandatemi subito una bottiglia della vostra deliziosa Acqua Antiqua. Sono stato di passaggio a Genova e non ho avuto tempo di passare da voi a prenderla: se non faccio vedere la vostra Acqua Antiqua, nessuno crederà che io sono stato a Genova.

Non cito le frasi lusinghiere degli altri maggiori, della Melato, della Galli, della Pavlova, del Falconi, del Sabatini, di Marcacci, di Benassi, di tutti gli astri del nostro teatro di prosa e del teatro di lirica.

Fra le maggiori attestazioni di cui si vanta la Ditta Vitale è certo quella di aver servito la defunta Regina Margherita, la Duchessa di Genova, e di essere onorata di ordinazioni dalla Real Casa del Principe Umberto.

S. E. Benito Mussolini gradiva un omaggio dell’Acqua Antiqua, e inviando una sua fotografia firmata, incoraggiava nella produzione, lodando la composizione e l’elegante dignità della presentazione.

Pitigrilli, il sereno pessimista, l’umorista pungente e finissimo, impareggiabile nel sarcasmo, scriveva: “I fiori sono un ornamento da carro funebre: ciò che hanno di meglio si trova nelle essenze di Vitale”. L’umorista non si è smentito.

 

MICHELANGELO VITALE

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Animatore di tanta evoluzione fu Michelangelo Vitale. Egli, che aveva raccolta bambina la fabbrica dei profumi Vitale, e che con studio assiduo, con fermezza di propositi, con mirabile purezza di sentimenti era riuscito a farla assurgere a dignità d’arte e di lavoro, egli che tutto aveva dato per la gloria del suo nome e della sua patria, veniva privato del godimento di vedere il progresso meraviglioso di ogni giorno e di accogliere il plauso del mondo per la sua fatica. Sono quasi quattro anni. Quando nella mente geniale del Cav. Michelangelo Vitale andavano prendendo forma e vita nuove manifestazioni di lavoro, di arte e di gloria, la morte terribile, brusca, crudelissima, troncava la sua nobile esistenza. Di questa preparazione ad ulteriore lavoro è espressione la modernissima fabbrica che Egli aveva fatta assurgere negli anni che precedettero la morte, nella ridente collina di Albaro.

                                      

LA GRAZIOSA PALAZZINA DELLO STABILIMENTO VITALE

   

Ora Egli non è più, ma il buon seme gettato è stato raccolto dai suoi fedeli collaboratori di ieri, che riconobbero in Lui un maestro, un padre, un animatore di lavoro. Nelle nuove e luminose sale il ritmo della vita è tumultuoso.

L’artigiano del 1873 è divenuto un gigante. Non più piccole stanze buie, ma spazio e sole; non più mortai echeggianti la loro voce rauca sotto il peso del pestone di bronzo, ma canzoni di motori, scintille e faville di dardi elettrici nel sole, fragore di uomini e ronzio di cifre vertiginose sulla macchina da scrivere, accanto a diecine di donne che accarezzano il collo della bottiglia odorosa coi nastri e con le mani delicate, come se accarezzassero il volto del promesso sposo, e ancora martellare veloce di colpi sulle casse per l’America, per l’India, per la Cina, per tutto il mondo, a portare sempre più oltre, sempre più alto il dolce nome d’Italia.

Come allora, in alto, l’icona di San Giorgio splende e lancia fiamme e diffonde luce sull’operosità dell’uomo.

 

Per il salvataggio degli equipaggi delle navi

 L’apparecchio ideato da un Genovese

 

Articolo pubblicato sul bollettino n° 4 – aprile 1930

 

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Il capitano marittimo G. B. Tarantini, nato a Genova nel sestiere di Pré da famiglia marinara, ha studiato e brevettato fin dal 22 gennaio 1929 un apparecchio speciale destinato al salvataggio dell’equipaggio delle navi.

L’invenzione del nostro concittadino e “compagno” consiste essenzialmente di uno scafo (1) di forma pressoché sferica, costruito in lamierino d’acciaio e la cui parte inferiore porta una base piana (2) che serve a far poggiare l’apparecchio sulla coperta della nave.

ln detto apparecchio prendono posto, attraverso un’apertura (3) ermeticamente chiudibile dall’interno e dall’esterno, gli ultimi uomini dell’equipaggio e gli ufficiali rimasti a bordo quando già la nave è in procinto di affondare. Calato in mare o trascinato nei gorghi della nave che si inabissa, l’apparecchio risale alla superficie (per il noto principio per cui un corpo galleggia quando il suo peso è inferiore a quello dell’acqua spostata) e galleggiando rimane nella sua posizione verticale in virtù di una riserva d’acqua potabile posta nella base (5) dello scafo divisa in scompartimenti. Nel caso che l’acqua venisse a mancare se ne può immettere dell’altra marina affinché le condizioni di equilibrio non vengano a mancare.

L’apparecchio così galleggiante può rimanere per molto tempo in acqua proteggendo dalle intemperie gli uomini in esso rinchiusi. Si può anche renderlo atto a navigare munendolo di un motore (10) a benzina o elettrico che comanda un’elica di propulsione, in tal caso si può sistemare un timone per il governo e dalla parte opposta uno spartiacque (22) mobile o fisso.

Come si vede dalla figura, nella parte alta sono sistemati 4 oblò (4) chiudibili ermeticamente dall’interno, 2 ganci (12) per sollevare l’apparecchio a bordo della nave salvatrice, 4 fari elettrici (11) per le segnalazioni notturne, 1 campana (15) che suona per il solo dondolio dell’apparecchio, 1 asta (16) con bandiera e lateralmente 2 aste (14) reggenti l’aereo (13) di una piccola stazione radiotelegrafica a onde corte.

Lateralmente si osservano degli anelli (8) portanti dei cavi sganciabili dagli oblò e muniti alle loro estremità di gavitelli: per formare un convoglio: poco al disopra del galleggiamento sono applicati dei parabordi (19) di sughero fasciati in tela per proteggere lo scafo dagli urti, ad essi sono fissati dei pezzi di corda (20) portanti dei bilancini di legno (21) che vengono a trovarsi in corrispondenza del livello dell’acqua e che servono di sostegno per i naufraghi all’esterno.

Nell’interno è collocato un tavolo (18) pieghevole che può servire per la stazione radiotelegrafica, una cassa (16) per la benzina, dei sedili (17) nel cui interno sono poste le provviste.

Queste sono le principali caratteristiche dell’apparecchio ideato dal cap. Tarantini.

Noi auguriamo all’inventore, che si è preoccupato essenzialmente di ridurre le perdite di vite umane nei naufragi, che il suo apparecchio, che attualmente è allo studio presso l’ufficio del Genio Navale, possa venire applicato nella nostra Marina Mercantile.

 

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