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28A SAGRA DEL BUGIANDU 

                                                                di Virgilio Pronzati 

 

I tre ideatori della Sagra del Bugiandu: Giampietro e Riccardo Parodi e Dino Ginogi. L’ultimo un appassionato volontario

 

 

Il mangiare non è solo un modo di alimentarci. Fa parte della storia quotidiana di ognuno di noi. Tutti o quasi si ricordano di un piatto mangiato in tenera età e in momenti particolari.  Lo stesso da adulti.  Il cibo oltre che nutrirci, ci gratifica, ci fa socializzare ed evolvere.  Da sempre è protagonista nelle opere di grandi pittori e scrittori. Sempre restando che la cucina di qualità è nata nelle case di persone facoltose, un mangiare meno costoso, più semplice ma non meno buono, è stato per lungo tempo sulle tavole dei meno abbienti. Non necessariamente poveri ma contadini, operai e famiglie numerose. La necessità, come tutti sanno, aguzza l’ingegno. L’aringa e la patata hanno in parte evitato la carestia in Europa.  Quest’ultima ha sostituito la rapa nel nostro Paese.  Non c’è regione che non abbia dei piatti che contengono i popolari tuberi. Anzi, nella cucina francese, le patate trovano ampi spazi. Un gran merito da riconoscere ad Antoine Augustin Parmentier, agronomo, nutrizionista e igienista francese.  

 

La lenta cottura del Bugiandu

In Liguria, particolarmente nel Genovesato, nei primi anni dell’Ottocento c’è voluto l’impegno di don Angelo Dondero di Roccatagliata che, durante messe e sermoni, convinse i fedeli a nutrirsi anche di patate. Se nel levante genovese spicca la Baciocca, torta di patate e cipolle, nel ponente cittadino o meglio a Voltri, c’è il Bugiandu, sorta di polenta di farina di frumento e patate nata oltre un secolo fa a Fiorino, minuscolo borgo montano dell’ampio entroterra di Voltri. Da oltre un secolo, il Bugiandu è stato il mangiare delle genti più umili delle numerose e piccole località collinari dell’entroterra Voltrese, solcato dai torrenti Cerusa e Leira.  Fatto curioso: Voltri riconosciuta città nel 1903 con Regio Decreto, nel lontano1888 ebbe come  sindaco Nicola Mameli, fratello del più famoso Goffredo, autore dell'inno d'Italia.

 

Il Bugiandu appena tornito 

Oggi si può trovare forse ancora sulle tavole di qualche famiglia di Fiorino e Sambugo (noto per i suoi deliziosi cobelletti), ma soprattutto a Fabbriche (borgo sviluppatosi nel 17° secolo per l’insediamento di iutifici, filande e cartiere) durante i quattro giorni della Festa dedicata a San Bartolomeo Apostolo, nell’annessa Sagra della polenta “Bugiandu”, giunta quest’anno alla 28a edizione.  Nell’ultima decade di agosto, quest’anno dal 19 al 22, centinaia di persone di tutte le età, provenienti dalle vicine località, Voltri e Genova, salgono a Fabbriche  per gustarsi il Bugiandu.  

 

Il Bugiandu va tagliato col filo

Una tradizione gastronomica che vanta oltre un quinto di secolo, ideata e realizzata dai fratelli Giampietro e Riccardo Parodi e Dino Ginogi, con  la collaborazione di un gruppo di amici locali. Quindi da valorizzare quanto prima istituendone la De. Co. Nella sagra, il Bugiandu è condito non solo con la tradizionale salsa d’aglio (saporita ma non piccante e ricca anche di pinoli), ma col tocco, con sugo di salsicce, col sugo di funghi e di noci (sarebbe interessante col pesto).  Quest’ultimo è sicuramente tra i condimenti più congeniali, in quanto il Bugiandu è simile alla pasta delle trofie (gnocchi in genovese). Per i ghiottoni e guormand, ci sono anche focaccine, tagliatelle col sugo, succulente salsicce alla griglia, braciole di vitello e manzo, trippe accomodate, formaggi e dolci casalinghi. Tutti (o quasi) rigorosamente fatti e serviti dai volontari dello staff della Sagra del Bugiandu, riconoscibili dalla classica maglia gialla. 

Bugiandu con salsa d’aglio

Una piacevole scampagnata fuori porta gradita da grandi e piccini, che vuol essere un motivo di cristianità per funzioni religiose di messe e rosari, vespri dedicati al Santo Patrono e, di socialità, con musica, canti, balli e gastronomia locale. Tra i numerosi presenti, non sono mancati esperti enogastronomi e sommelier che, dopo l’assaggio alla cieca di pregiati vini, li hanno poi magistralmente abbinati al Bugiandu condito con diverse salse. Ecco il gruppo di sommelier Fisar e gourmet, e i vini degustati: Brunello De Belath, Luciana e Franco Gaione, Riccardo Parodi, Candida e Bruno Siri, Giovanni Valentini, Teresa e Giancarlo Valle e chi ha scritto. Otto i pregiati vini, quattro bianchi, altrettanti i rossi e un liquore slovacco: Lugana Doc Vitium 2020 dell’Az. Agr. Armea; San Martino della Battaglia Doc Monte Olmi 2019 di Cobue;  Colli Tortonesi Doc Derthona Timorasso 2017 di Walter Massa; Soave Doc Monte Carbonare  2014 magnum di Suavia; Piemonte Doc Albarossa 2016 di Viticoltori di Vinchio-Vaglio Serra; Toscana IGT Vermentino Nero 2015 di Paolo Bosoni; Barolo Docg Pianpolvere Soprani 1990 di Riccardo Fenocchio; Barolo Docg Brunate 1988 di Roberto Vorzio; l’amaro Demanovka.  

Da sn. Teresa Valle, Candida Siri, Luciana e Franco Gaione, Giovanni Valentini, Bruno Siri, Giancarlo Valle, Brunello De Belath, Chiara e Riccardo Parodi

La ricetta del Bugiandu (circa 7 chili e mezzo)

 

4 kg di patate a pasta bianca possibilmente delle montagne genovesi; 2 kg di farina di grano tenero; 4 litri d’acqua; 150 g di sale grosso marino; 120 gr di olio extravergine di oliva ligure.

 

In un grande pentolone cilindrico e alto, fare bollire le patate nell’acqua col sale.  Togliere metà dell’acqua, aggiungere la farina, e continuare a far cuocere a lungo pestando al centro, con un bastone (simile a una mazza da baseball più piccola e con testa piatta) per eliminare i grumi e amalgamarle gli ingredienti.  Aggiungere l’olio e continuare al far cuocere pestando e mescolando. Se il composto è poco morbido, aggiungere una parte dell’acqua rimasta.  Raggiunta la cottura ottimale, senza più pestare e mescolare, lasciare ancora 5-6 minuti sul fuoco per farlo asciugare.  Togliere dal fuoco e, ancor caldo, versarlo su una madia. Con le mani bagnate d’acqua fresca, tornire subito il Bugiandu, dandogli la forma del formaggio Grana Padano.  Tagliarlo col filo a fette spesse un centimetro, porle nel piatto e condirle col sugo preferito.   Se con salsa all’aglio e il pesto, abbinarci il Riviera Ligure di Ponente Pigato 2020 servito a 11°C in calici con stelo alto.  Con salsa di noci abbinare il Golfo del Tigullio-Portofino Vermentino della medesima annata e servito alle stesse modalità.  Con sugo di funghi (in rosso) sposarci il Golfo del Tigullio-Portofino Ciliegiolo e il Valpolcevera Rosso 2019, serviti entrambi a 16°C in calici con stelo medio. Con salsicce al sugo accompagnarlo con Pornassio 2017-2018 servito a 16-17°C nei calici prima citati.       

 

Le bottiglie degustate; dietro i coniugi Gaione e Giovanni Valentini

 

 

Salsa all’aglio  (per 5 preparazioni di Bugiandu).

 

2 kg di Grana Padano grattugiato; 1 kg di pinoli di Pisa o nazionali; una testa d’aglio di Vessalico, dell’Astigiano o del Piacentino; 15 centilitri di olio extravergine di oliva ligure; un po’ d’acqua di cottura delle patate. Per piccole quantità si può usare al meglio il mortaio.  Mentre nel cutter si sminuzza finemente l’aglio con pinoli e olio. Sempre rimestando, aggiungere il formaggio e di seguito, un po d’acqua di cottura delle patate. La salsa dovrà risultare giustamente densa e cremosa.  

I volontari dell’ultima Sagra del Bugiandu

 

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