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Viticolura

VITIGNI RESISTENTI IN EMILIA-ROMAGNA

 

 Il Consorzio Vitires a Imola ha fatto il punto sul progetto di ricerca e sperimentazione

 

Procede a passo spedito il progetto di ricerca e sperimentazione sui vitigni resistenti in Emilia-Romagna messo in campo dal Consorzio Vitires che associa quattro gruppi del mondo cooperativo (Cantine Riunite & Civ, Cantina Sociale di San Martino in Rio, Caviro, Terre Cevico) insieme al Centro di ricerche Ri.Nova. Nei giorni scorsi a Imola, all’Hotel Molino Rosso, si è fatto il punto sullo stato dell’arte di un percorso avviato nel 2016 su alcuni vitigni internazionali, ed esteso poi a otto vitigni regionali. Oltre un centinaio gli operatori del settore che hanno preso parte alla giornata, con un numero altrettanto numeroso collegato in diretta streaming, alla presenza dell’Assessore Regionale all’agricoltura Alessio Mammi che ha fatto le conclusioni della giornata.

Ad aprire i lavori è stato Marco Nannetti, Presidente di Vitires. “Questo è un progetto orizzontale che mette insieme il 70% delle uve prodotte nella nostra regione e l’11% in ambito nazionale – ha esordito il Presidente di Terre Cevico – L’unione nasce dal senso di responsabilità della cooperazione verso il territorio, consapevoli che il settore vitivinicolo è alle prese con sfide quotidiane come il cambiamento climatico, gli agenti patogeni, che si aggiungono a un quadro generale non semplice. Fare squadra e dare una risposta come territorio significa rendere la viticoltura sostenibile e vicina alla gente”.

 

Giovanni Nigro, Responsabile del settore vitivinicolo di Ri.Nova ha presentato il percorso sin qui intrapreso nei vigneti sperimentali di Tebano. “Il progetto è partito nel 2016 concentrandosi dapprima nella verifica di nove varietà resistenti ai patogeni fungini, a diffusione internazionali. Quasi contemporaneamente (marzo 2017) è iniziato il primo programma di miglioramento genetico per la costituzione di varietà locali emiliano-romagnole resistenti ai patogeni: Sangiovese, Trebbiano romagnolo, Albana, Grechetto gentile, Ancellotta, Lambrusco Salamino, Lambrusco Grasparossa e Lambrusco di Sorbara. Dopo la prima fase di realizzazione degli incroci, svoltasi dal 2017 al 2020, e successiva selezione, i genotipi resistenti sono stati messi a dimora, nel 2021, in uno specifico vigneto sperimentale di circa 2 ettari a Tebano. A seguire è stato già possibile individuare le prime selezioni (genotipi) che hanno evidenziato caratteristiche di resistenza ai patogeni (in particolare oidio e peronospora), adattabilità ai nostri ambienti di coltivazione anche in relazione ai cambiamenti climatici in atto, e le potenzialità enologiche in confronto alle varietà tradizionali di riferimento. Inoltre, a seguito dei positivi risultati fin qui ottenuti e alla consapevolezza che la vitivinicoltura emiliano romagnola è fortemente legata anche a varietà di carattere più locale, è stato promosso dal Consorzio Vitires nel 2021 un secondo programma di miglioramento genetico su altre 8 varietà autoctone: Bombino bianco, Malvasia di Candia aromatica, Famoso-Trebbiano Modenese, Terrano, Lambrusco Maestri, Lambrusco Oliva, Lambrusco Marani”.

 

Un plauso al progetto è arrivato da Riccardo Velasco direttore del Crea. “Questo progetto ci ha coinvolti sin dall’inizio, come Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, che aveva avviato alcuni anni prima programmi di miglioramento genetico delle varietà di vitigni in Trentino. L’Emilia Romagna è andata in questa direzione ed ha fatto bene perché sono scelte centrali per il futuro della viticoltura”. 

Le conclusioni sono state affidate all’Assessore regionale Alessio Mammi. “Sono tre le ragioni che rendono questo progetto valido: evidenziano la lungimiranza della cooperazione che davanti alle difficoltà cerca soluzioni condivise; propone un percorso non estemporaneo, ma strutturale di medio-lungo periodo; le aziende che lo hanno fondato lavorano insieme con la filiera, per trovare soluzioni efficaci e condivise sul territorio. Questa è la giusta visione per competere come sistema Emilia-Romagna nei mercati internazionali”.

 

 

Filippo Fabbri - Agenzia PrimaPagina

VITICOLTURA BIO IN CRESCITA, FOCUS TECNICO ALLA FEM SU DIFESA E SOSTENIBILITÀ

Grande partecipazione di viticoltori e operatori del settore oggi alla FEM per l'incontro sul biologico realizzato in collaborazione con il Centro Laimburg. Il Trentino è fra le province italiane con una maggiore incidenza della superficie a vite per uva da vino coltivata con metodo biologico (13,3%). Nel 2021 ha raggiunto i 1368 ettari con un ulteriore incremento di 66 ettari rispetto al 2020 delle superfici certificate biologiche e in conversione. Difesa e sostenibilità in viticoltura biologica sono i temi approfonditi, oggi, alla Fondazione Edmund Mach nell'ambito del tradizionale incontro annuale dove sono state presentate le prove sperimentali in corso a San Michele e realizzato in collaborazione con il Centro di sperimentazione Laimburg. In apertura Claudio Ioriatti, dirigente del Centro Trasferimento Tecnologico FEM, ha evidenziato che il consumo di vino biologico a livello mondiale è più che raddoppiato negli ultimi 10 anni e rappresenta ora il 3,5% del consumo totale. Tale evoluzione è stata sorretta da una costante espansione della superficie destinata alla viticoltura biologica che nel 2019 (ultimi dati disponibili) ammontava a 470 mila ettari, di cui circa 400 mila solo in Europa (11,4% della superficie vitata), continente nel quale Italia, Francia e Spagna si contendono il primato con circa 100 mila ettari a testa. L'incontro, moderato da Daniele Prodorutti, responsabile dell'Unità agricoltura biologica, un gruppo di lavoro che conta 14 persone dedicate alla sperimentazione e consulenza sul biologico, ha visto intervenire tecnologi e tecnici (Roberto Lucin, Raffaella Morelli, Roberto Zanzotti per FEM e Simona Castaldi dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli) sui controlli e sulla situazione fitosanitaria nelle aziende biologiche del Trentino, sui dosaggi di rame con i risultati del progetto Intaviebio, sull'impronta ambientale in viticoltura con i sistemi a confronto. Si è parlato anche di gestione sostenibile degli agroecosistemi con il caso studio in un’azienda biologica del Garda. 

Difesa da peronospora, oidio e focus sul rame 

Per quanto riguarda la difesa è stato fatto il punto sulla situazione fitosanitaria 2022 nelle aziende biologiche trentine. Le infezioni primarie di peronospora, come nel 2021, non sono risultate aggressive nelle zone di fondovalle, mentre si osserva una maggiore gravità degli attacchi di questo patogeno nelle zone tardive e di montagna. La scarsità di precipitazioni e bagnature fogliari osservate in luglio hanno impedito quasi ovunque lo sviluppo di infezioni secondarie di peronospora. L'oidio è comparso precocemente, ma la pressione della malattia è aumentata significativamente sui testimoni non trattati solo nella seconda metà di luglio. La difesa fitosanitaria consigliata alle aziende viticole biologiche, basata su rame e zolfo, ha permesso di mantenere grappoli sani per la quasi totalità delle situazioni, restando al di sotto del limite massimo di rame metallo annuo previsto dal regolamento europeo. La flavescenza dorata si conferma una problematica molto seria, la cui gestione richiede massima attenzione da parte di tutto il comparto. Luglio è stato tra i mesi più asciutti e caldi degli ultimi anni: da segnalare molte situazioni di stress idrico e termico in vigneti di fondovalle e collina, soprattutto in terreni poco profondi e/o con mancanza di irrigazione. 

Sono stati, inoltre, presentati i risultati delle prove in campo presso i vigneti della Fondazione Mach finalizzati al controllo della peronospora e dell'oidio. Particolare attenzione è stata dedicata al rame, principio attivo impiegato principalmente nel prevenire le infezioni di peronospora, ed attualmente limitato per legge a 28 kg/ha nell’arco di 7 anni. Per tale motivo il viticoltore biologico è chiamato a razionalizzare gli input, impiegando bassi dosaggi di rame. Sono stati presentati i risultati del progetto INTAVIEBIO, finanziato dal PSR Friuli-Venezia Giulia, che mira a ridurre l’uso del rame in viticoltura biologica. In questo progetto è stata verificata l’efficacia di alcuni sali rameici a diversi dosaggi di applicazione in condizioni controllate di laboratorio. Sostenibilità: studi di impronta ambientale, effetti positivi del sovescio e del curetage.
La seconda parte della mattina ha previsto un approfondimento sul tema della sostenibilità. Sono stati presentati i risultati di uno studio di “impronta ambientale” in viticoltura (impronta di carbonio, idrica, di azoto, indici di biodiversità e di qualità del suolo). La collaborazione scientifica tra Fondazione Mach, Università della Campania e Università della Tuscia ha dato l’opportunità di dimostrare come l’uso integrato di tali indici possa aiutare gli agricoltori ad evidenziare la maggiore sostenibilità di buone pratiche, ad esempio la gestione biologica rispetto a quella convenzionale in vigneti sperimentali della Fondazione Mach.
Infine, è stato presentato un progetto per la gestione sostenibile in viticoltura che nasce dalla collaborazione tra FEM e le aziende biologiche Pratello e Mille1 (Padenghe sul Garda, BS). Con un approccio multidisciplinare si è puntato al miglioramento dei cicli produttivi mediante l’utilizzo di pratiche agronomiche sostenibili, il mantenimento della fertilità e della biodiversità dei suoli e il potenziamento della resilienza dei sistemi produttivi ai cambiamenti climatici. Nell’ambito del progetto è stato valutato l’effetto del sovescio sulla nutrizione dei vigneti, che ha mostrato il suo contributo nel miglioramento della fertilità chimica e biologica del suolo coadiuvando la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici.
Nei vigneti della FEM, infine, è stata presentata la prova di curetage, operazione meccanica che prevede l’asportazione del legno cariato per mezzo di piccole motoseghe, eseguendo delle incisioni più o meno profonde nei ceppi di vite. Questa tecnica permette di ridurre la manifestazione dei sintomi di mal dell’esca.

Silvia Ceschini 

Fotoservizio e filmato a cura dell'Ufficio Stampa FEM
Interviste
Claudio Ioriatti
Raffaella Morelli 

IL “GUSTO” DEL VULCANO

Suoli unici al mondo valorizzati e raccontati dal progetto HEVA – Heroes of Europe: Volcanic Agriculture

Ambienti complessi, dalla cui generosa e fertile terra nascono prodotti di grande mineralità, sapidità e con una longevità sorprendente

 

Complessità e longevità sono senza dubbio le caratteristiche che contraddistinguono le DOP valorizzate dal programma Heva – Volcanic Agriculture of Europe: Soave, Lessini Durello, Santorini e Monte Veronese, tutelate dai Consorzi italiani di tutela dei vini Soave, del Lessini Durello, dal Consorzio greco Union of Santorini Cooperatives – Santo Wines e dal Consorzio veneto per la tutela del formaggio Monte Veronese.

 

Intensità è certamente la parola che meglio si addice ai vini e ai prodotti nati da suoli vulcanici: persistenti, ma mai aggressivi, il cui potenziale di invecchiamento è capace di esaltare fragranza e struttura. Queste caratteristiche sono il risultato dell’azione della lava sul suolo nel corso dei secoli, che ha saputo contrastare l’acidità minerale del terreno, generando terre che si prestano a produrre materie prime di indiscutibile qualità.

Prodotti che, anche se appartenenti a categorie merceologiche diverse (vini e prodotti caseari), fondano il loro quid sul tipo di terreno in cui sono cresciute.

Il progetto internazionale Heva – “Heroes of Europe: Volcanic Agriculture”, finanziato dall’Unione Europea nell’ambito della misura 1144, ha come obiettivo primario proprio la valorizzazione e la promozione delle ineguagliabili caratteristiche di una viticoltura e una produzione casearia che fondano la loro differenza sull’origine vulcanica dei suoli.

 

 

Sebbene nell’immaginario collettivo il pensiero del vulcano sia solito riportare alla mente disastri naturali e abbia quindi un’accezione tendenzialmente negativa, l’enologia offre un nuovo punto di vista nella valutazione di questo ambiente. Esso rappresenta da sempre uno dei più preziosi campi di applicazione della dialettica tra uomo e natura ed è caratterizzato dalla fertilità del terreno e dalla generosità degli elementi presenti nel suolo.

Composizione e unicità del suolo vulcanico: da Soave alla Lessinia

 

I suoli che si formano in seguito alle eruzioni e alle colate sono molto eterogenei. La lava porta in superficie rocce profonde che vengono disciolte nei basalti; ma sopra di essi si depositano moltissime componenti di origine esplosiva come ceneri, lapilli e bombe (goccia di roccia ardente eiettata dal cono del vulcano). I materiali piroclastici stratificati possono nel tempo consolidarsi e dare origine ai cosiddetti tufi, che nelle fasi successive di degradazione danno origine a suoli sabbiosi, grossolani, ricchi di elementi minerali e scheletro. I vulcani invece che sono costituiti dalle colate di lava raffreddata presentano pendenze più accentuate e danno origine a suoli dal colore scuro, spesso superficiali, dalla lenta trasformazione in suolo agricolo, ricchi di argilla.

Terroir diversi e distanti anche migliaia di chilometri che hanno sviluppato una medesima propensione alla qualità, basata su simili caratteristiche pedoclimatiche, storia geologica, esposizioni e altimetria. Tali peculiarità si ritrovano nelle DOP nate da queste aree e si esprimono nella loro tendenza alla persistenza del sapore, alla spiccata mineralità, alla longevità e alla complessità di gusti e profumi.

 

"Obiettivo di HEVA – Heroes of Europe Volcanic Agriculture - sottolinea il presidente del Consorzio del Soave Sandro Gini - è dunque promuovere una cultura dell’agricoltura vulcanica nonché far conoscere ai consumatori le peculiarità e l’unicità di tutti prodotti generati da questi terroir, risultato della sinergia nata tra suolo, azione dell’uomo e tempo". 

 

 

L’indiscutibile qualità dei vini e dei prodotti caseari di origine vulcanica è, infatti, anche il frutto dell’intervento provvidenziale dell’uomo, di cui si ritroviamo esempi virtuosi sia in Italia nei territori dei Monti Lessini, sia nell’isola greca di Santorini.

 

"Nella zona del veronese il fattore umano ha rappresentato un ruolo importante fin da tempi molto antichi – sottolinea Alfonso Albi, Presidente del Consorzio Tutela Formaggio Monte Veronese DOP – dove la messa a coltura di questi suoli in modo non intensivo ma con sapiente agire, ha consentito una ridistribuzione dei componenti minerali più utili alle piante, garantendo loro un ambiente nutritivo ideale".

Grazie alle sue peculiari caratteristiche, il territorio veronese è anche particolarmente adatto al pascolo e ciò ha permesso lo sviluppo di un’importante tradizione casearia legata alla produzione di formaggi vaccini che ha ottenuto nel 1996 la DOP con la denominazione “Monte Veronese”.

 

Santorini: l’esplosione di Thera e 1.200 ettari di vigneto vulcanico

I suoi vulcanici possono avere origine antichissima come nel caso di Soave e della Lessinia, dove i vulcani si sono spenti tra i 25 e i 50 milioni di anni fa. Oppure possono essere più recenti, come a Santorini, isola greca delle Cicladi, nel Mar Egeo, la cui emersione si colloca circa 2 milioni di anni addietro, ma l’attuale terreno poggia su di una crosta lavica dovuta alla gigantesca esplosione di Thera, eruzione vulcanica che tra il 1627 a.C. e il 1600 a.C. produsse uno strato di rocce laviche, ceneri e pomice di almeno 30 metri, che ricopre l’intera isola.

È un suolo composto da sabbia a grana grossa, pomice, cenere vulcanica e rocce laviche solidificate.

 

 

La mancanza di argilla dal suolo ricco di sabbia dell’isola ha reso la vite immune alla fillossera e proprio per questa ragione quello di Santorini può essere classificato come uno dei vigneti più antichi al mondo. Sono 1.200 gli ettari di vigneto vulcanico su un suolo che presenta anche un’altra caratteristica unica, ossia un terreno povero di materia organica ma ricco di minerali, ad eccezione del potassio, generando conseguenze anche sulla composizione chimica e andando a incidere sul basso pH dei vini DOP di Santorini, per la cui salvaguardia, promozione e tutela è stata istituita nel 1947 l’Unione delle Cooperative di Santorini – Santo Wines.

 

Paola Chiapasco

INDICE BIGOT: A VINITALY PREMIATI I MIGLIORI VIGNETI

 

Trentotto vigneti hanno ottenuto un punteggio superiore ai 90 punti secondo il metodo di valutazione ideato dall’agronomo friulano Giovanni Bigot.

È in vigna che nascono i grandi vini: lo afferma con convinzione Giovanni Bigot durante la premiazione dei trentotto vigneti che hanno superato i 90 centesimi secondo l’Indice Bigot. Il metodo di valutazione scientifico del potenziale qualitativo di un vigneto, ideato dall’agronomo friulano supportato dal suo team di Perleuve, lo scorso anno è stato calcolato in totale su 734 vigneti. L’Indice, frutto di vent’anni di ricerca sul campo in Italia e a livello internazionale, si basa su nove parametri di valutazione: produzione, chioma, rapporto tra foglie e produzione, sanità delle uve, tipo di grappolo, stress idrico, vigore, biodiversità e microrganismi, età del vigneto. Ogni parametro considerato va a influire su una precisa caratteristica del vino. La premiazione dei vigneti, che ha riguardato l’annata 2021, si è tenuta domenica 10 aprile durante Vinitaly, nello spazio della Regione Friuli Venezia Giulia.

“Un risultato finale – commenta Giovanni Bigot – che è l’apice di un importante percorso di crescita e miglioramento in vigneto, lì dove nasce una grande uva per un grande vino. I vigneti premiati hanno la capacità di aumentare il valore di un territorio in termini di qualità e riconoscimento, diventando identificativi di una zona, donando caratteristiche specifiche ai vini che lì nascono. Non solo, i vini da vigneto singolo rappresentano un trend in forte crescita, ecco quindi che la valutazione del vigneto, attraverso parametri specifici, aumenta il valore del prodotto finale ed esalta l’importanza della qualità della materia prima, l’uva”.

Grazie all’eccellenza in questi campi i trentotto vigneti che nel 2021 hanno superato i 90 centesimi sono stati: in Friuli Venezia Giulia il Friulano Hrib, Friulano Dolinca e Hrib Merlot de La Castellada, il Friulano Case 25 di Livio Felluga, Tocai Friulano Centralina e Cabernet Franc Pietra di Russiz Superiore, Oslavje di Radikon, Sauvignon Lonzano Alto di Sgubin Ferruccio, Sauvignon Zegla di Sturm, Sauvignon Rosazzo e Tocai Friulano Buttrio di Le Vigne di Zamò, Ronco Pitotti Sauvignon di Vignai da Duline, Tocai Friulano Braida di La Sclusa, Moscato Vin dal Paron di Ferlat, Friulano Stesa di Il Carpino e Cabernet Sauvignon Narciso di Ronco delle Betulle; in Veneto il vigneto Sant'Anna di Massimago; in Lombardia Chardonnay Calcababbio e Sauvignon Calcababbio di Monsupello e Pizzarello Pinot Meunier di Castello di Cigognola; in Piemonte Sorì Ginestra di Conterno Fantino e Barolo Sottocastello di Ca’ Viola; in Emilia Romagna Merlot Ronco e Malvasia Morello di La Tosa; in Toscana Poggiata Rinaldi di Tenuta del Cabreo e Anfiteatro alle Rose di Tenuta di Nozzole; in Umbria i vigneti Sagrantino Maria Cantalupo di Di Filippo, Sauvignon Villa Pace di Cantine Blasi, Vigna Chiusaccia e Vigna Renabianca di Terre Margaritelli; in Puglia Lu Piezzu di Masseria Cuturi; in Sardegna Ispane Sud Pusceddu, Ispane Tatti/Onali, Murtatí Crobu, Pardoniga Manca, Burdaga Conciadori dell’azienda Bentu Luna. I vigneti premiati in Slovenia sono stati Chardonnay Jordano e Sauvignon Jordano di Marjan Simcic; mentre premiato in Francia il vigneto Champan di Domaine R&P Bouley.

Il vigneto che ha raggiunto il punteggio massimo di 95 punti su 100 è stato il Friulano Hrib dell’azienda La Castellada in Friuli Venezia Giulia, mentre l’azienda con il maggior numero di vigneti è stata Bentu Luna in Sardegna, con cinque vigneti premiati.

 

Beatrice Bianchi

VENISSA FESTEGGIA LA SUA DODICESIMA VENDEMMIA IN LAGUNA

Si è conclusa con successo la dodicesima vendemmia della Dorona all’interno della vigna murata della tenuta Venissa, sull’isola di Mazzorbo. In poche ore, in una mattinata tipicamente settembrina, sono stati raccolti i grappoli d’oro prodotti dalle quattromila piante di questo vitigno autoctono della laguna. Una varietà data per scomparsa dopo la tragica Acqua Alta del 1966 e riscoperta grazie ad un progetto autonomo di recupero agricolo della famiglia Bisol, che l’ha reintrodotta nel suo terroir nativo dandole nuova dimora a Venissa. 

 

“È stata un’annata ottima”, commenta Stefano Zaninotti, agronomo. “L’estate è stata molto calda e secca, soprattutto ad agosto. Questo ha aumentato i livelli di stress delle piante a causa della combinazione tra temperature elevate e alte concentrazioni di sodio nel terreno, ma la Dorona, che a queste situazioni estreme è abituata, è riuscita a portare a termine la maturazione in maniera eccellente, concentrando i sapori nel frutto. Il sodio, abbiamo visto, riduce la naturale rigogliosità di questa varietà, portando ad una naturale produzione limitata dove i profumi sono esaltati. Abbiamo vendemmiato un’uva perfettamente sana, anche grazie al fatto che non abbiamo avuto piogge negli ultimi giorni, quelli decisivi. Crediamo che la 2021 abbia il potenziale per diventare un’annata memorabile.”

 

Matteo Bisol, direttore generale di Venissa e ora alla direzione enologica della tenuta, rimarca il ruolo fondamentale della simbiosi che questo vitigno autoctono ha saputo trovare all’interno di un terroir così particolare, con terreni salmastri che in alcuni punti del vigneto vedono crescere piante come la salicornia. “La cosa interessante è che il sodio ha effetto sulla vigoria della pianta — ne influenza la fisiologia — ma non passa nel frutto e nel vino. Troviamo invece caratteristiche di grande eleganza ed equilibrio, concentrazione e complessità. Sono vini longevi, soprattutto il Venissa Bianco, che produciamo a partire da una selezione speciale che facciamo direttamente in vigneto. Per me, la cosa più importante è accompagnare questo vino e aiutarlo ad esprimersi al meglio, in modo sincero. L’annata 2021 vedrà la luce tra cinque anni, e non vediamo l’ora di conoscerla.“

 

La piccolissima produzione varia di anno in anno ma si aggira attorno alle 3500 bottiglie di Venissa Bianco (0.5L) e 1500 bottiglie di Venusa Bianco (0.75L), un vino che vuole essere una diversa espressione della Dorona, più giovane e beverina.

 I NUMERI DEL VIGNETO DI MAZZORBO

 

0.8 ettari vitati

4000 piante della varietà Dorona di Venezia 

45 quintali vendemmiati nel 2021, per una media di 1.1 kg di uva per pianta

 

I VINI

 

Venissa Bianco – il vino-simbolo della tenuta – nasce dal rapporto simbiotico tra la Dorona e il terroir lagunare dell'isola di Mazzorbo, dove le radici delle vigne catturano la quintessenza di questo ecosistema straordinario e del suo complesso equilibrio. Un vino di carattere ed eleganza, frutto di una macerazione lunga che richiama la tradizione vitivinicola lagunare. Un vino che vuole essere espressione perfetta della Venezia Nativa e del suo patrimonio naturale e culturale, anche attraverso la bottiglia in cui è contenuto, somma dalle migliori maestranze veneziane – Berta Battiloro e gli incisori Albertini e Spezzamonte. 

 

Venusa Bianco rappresenta una nuova interpretazione della Dorona, nata da una diversa selezione delle uve prodotte nel vigneto di Mazzorbo. Si distingue per la verticalità, la piacevolezza di beva e la sapidità, senza scendere a compromessi in carattere e rarità.

 

LE IMMAGINI

 

Le immagini spettacolari della dodicesima vendemmia (settembre 2021) dall’isola di Mazzorbo, nella laguna di Venezia, a questo link.

 

 

Valeria Necchio

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