Home
A COMPAGNA
A COMPAGNA - 0TT0BRE 2021
MARTEDI’ 26 OTTOBRE 2021 ALLE ORE 17.00 NELL’AULA SAN SALVATORE IN PIAZZA SARZANO A COMPAGNA ORGANIZZA L’INCONTRO PUBBLICO SUL TEMA «L’ESPOSIZIONE ITALO AMERICANA O “COLOMBIANA” DEL 1892» A CURA DI EDOARDO LONGO
Martedì 26 ottobre 2021 alle ore 17.00 nell’Aula San Salvatore in piazza Sarzano, (all’uscita della metropolitana) A Compagna nell’ambito delle conferenze I Martedì d e A Compagna, che l’antico sodalizio cura da oltre quarant’anni, promuove il II appuntamento del ciclo 2021-2022: Edoardo Longo: «L’esposizione Italo Americana o “Colombiana” del 1892».
INGRESSO LIBERO
NOTA. Per accedere alla sala della conferenza occorre esibire il green pass, indossare la mascherina e mantenere le distanze di sicurezza. I posti a disposizione sono 160, numero che non può essere superato.
Non occorre prenotare
La conferenza intende evidenziare come le celebrazioni colombiane del 1892 rappresentino un rilancio internazionale della nostra città, quale capitale della cultura marinara (e non solo) e l’ideale punto di collegamento tra il Vecchio ed il Nuovo Mondo. Il momento risultò particolarmente propizio poiché Genova si trovava in quel periodo all’acme della sua rivoluzione industriale e commerciale (il porto si era da poco ingrandito con la donazione del Duca di Galliera) da una parte e della sua rivoluzione urbanistica (annessione dei comuni limitrofi del 1874, inizio della realizzazione di via XX settembre e delle due circonvallazioni) dall’altra.
Il relatore Edoardo Longo, laureato in Scienze Politiche, è stato assistente incaricato di Storia Moderna presso l’Università di Genova. Attualmente è membro del Comitato Scientifico e della Commissione per la Gestione del Museo Diocesano di Genova e collabora con diverse associazioni culturali nelle cui sedi tiene periodicamente conferenze di carattere storico e artistico. In collaborazione con il Museo Diocesano organizza periodicamente viaggi culturali in Italia e all’estero preceduti da conferenze esplicative. I suoi interessi gravitano da sempre intorno a Genova sotto i profili storico, politico, urbanistico.
Franco Bampi, Presidente de A Compagna
Info: Per programmi segui il link:
http://www.acompagna.org/rf/mar/index.htm
Per le rassegne fotografiche segui il link:
http://www.acompagna.org/rf/index.htm
La conferenza si tiene nell’Aula San Salvatore della Scuola Politecnica dell’Università di Genova in Sarzano (350 posti a sedere). Si tratta della chiesa sconsacrata che è sulla piazza ed è raggiungibile, oltre che con la metropolitana, da piazza Carignano percorrendo il ponte di Carignano (via Ravasco) oppure lungo la direttrice piazza Dante, Porta Soprana, via Ravecca, Sarzano.
Clicca qui per la cartina di Google Maps
Ingresso principale dell’Esposizione
Anno sociale 2021-2022
Le prossime conferenze del primo trimestre de I MARTEDI’ DE A COMPAGNA a cura de A Compagna
Si tengono di martedì alle ore 17.00 nell’Aula San Salvatore della Scuola Politecnica dell’Università in piazza Sarzano dall'uscita della metropolitana.
L’Aula San Salvatore è la chiesa sconsacrata presente in piazza Sarzano e raggiungibile, oltre che con la metropolitana, anche con il 35 attraversando il Ponte di Carignano o seguendo la direttrice, tutta in piano, piazza Dante, Porta Soprana, Ravecca.
Ottobre
26) L’esposizione Italo Americana o “Colombiana” del 1892; a cura di Edoardo Longo
Novembre
2) Da De Ferrari a Porta Pila: storia di una strada; a cura di Patrizia Risso
9) Il Promontorio di Portofino; a cura di Riccardo Buelli e Benedetto Mortola
16) Avvisi ai Governanti della Repubblica di Genova nel Settecento; a cura di Rinaldo Luccardini
23) Andrea Doria e Gio. Gioacchino Da Passano tra Francesco I e Carlo V; a cura di Angelo Terenzoni
30) Da Origine del popolo ligure tra storia, miti e leggende; a cura di Elio Ottonello
Dicembre
7) Niccolò Paganini e il suo allievo Camillo Sivori; a cura di Eliano Calamaro e Vittorio Laura
14) L’immagine di San Giuseppe nell’arte. Esempi genovesi; a cura di Laura Stagno
21) Alle ore 16.00 in Sede piazza della Posta Vecchia; Auguri di Natale
A Compagna - IL MÉZERO
IL MÉZERO
(Costumi Genovesi)
Articolo a firma Marino Merello, pubblicato sul bollettino n° 2 – febbraio 1932
ll mézero, e il pessotto che ne è un diminutivo, furono caratteristici leggiadramente dell’abbigliamento delle donne genovesi, quasi come lo strophium [fascia per il seno, nastro per i capelli, n.d.r.] delle antiche matrone di Roma, e lo zendado delle veneziane, e la mantilla spagnuola.
ll pessotto era un semplice velo: talvolta di cotone leggero e bianco, talvolta ornato di fioretti a più colori; e usavasi anche inamidato.
Ma il mézero era sempre vaghissimo di decorazioni screziate; e l’usanza ne cominciò verso la fine del secolo XVIII.
Già sin dal 1650, era stato introdotto in Francia il procedimento della stampa a colori su tela di cotone, derivato dai campioni che la famosa Compagnia delle Indie – in cui ebbero parte anche i Genovesi – aveva recati da Serange e da Mazulipotan.
Le stoffe di cotone indiane (calicot) divennero presto di moda, in Europa; e, naturalmente, s’impiantarono fabbriche per imitarle.
l setaioli francesi, ben a ragione, temettero che il minor prezzo e la novità graziosa di quelle stoffe avessero a danneggiare, se non a soppiantare, la loro ricca industria antica, e giunsero a ottenere un editto reale di Luigi XIV che ne proibiva la importazione dalle Indie e la imitazione locale.
A tutta prima e a sua volta, l’editto sgomentò i già numerosi (d’onde le preoccupazioni de’ setaioli francesi) artisti e industriali delle tele “indiane”. Essi emigrarono in massa nella Prussia, in Inghilterra, in Svizzera. Quivi, a Neuchâtel, un certo Saintougeois Jacques de Luge fondò ben cinque grandi stabilimenti per quell’industria vietata.
A poco a poco la severità dell’editto proibitivo – al solito delle leggi che non riescono di utilità generale – diminuì tanto da permettere, più o meno clandestinamente in sul principio, il ritorno in Francia delle “indiane” autentiche e di quelle imitate.
Intanto gli stabilimenti del genere crescevano, massime nella Svizzera. La città di Mulhouse, già nel 1746, aveva disegnatori e stampatori delle “indiane”, e pittori geniali (come Giovanni Enricone Dollfus) i quali si mantenevano in buoni rapporti con quelli di Neuchâtel, di Aaran, e di Basilea.
Ne conseguì un tale esorbitante aumento di produzione di quei tessuti da non poter più essere frenato nell’uso da leggi proibitive.
L’editto del 1696 aveva avuto lunga vita, quantunque stentata, per 73 anni; e nel 1759 venne abrogato.
Allora, come un’ondata, si rovesciarono dalla Svizzera in Francia gli artisti e gli industriali di “indiane”. Sorsero fabbriche dovunque, anche in Alsazia; Oberkampf introdusse le tele di Jouy. Scrisse egregiamente il prof. Orlando Grosso in una sua breve e nitida monografia pubblicata nel 1923: “I disegnatori alsaziani copiavano bene le decorazioni orientali con rami fioriti di rose, ornati di canestri, di uccelli, con rovine romane, e, già nel 1785, si nota la bella policromia e l’ampio movimento del disegno e della modellazione delle foglie e dei fiori che tanto ricorda l’ordinamento del nostro ligure mézero”.
Difatti, circa un anno prima (nel 1784), da Clarona nella Svizzera, due artisti di mézeri, Giovanni e Michele Speich. erano venuti in Liguria e fra Cornigliano e Campi avevano impiantata una fabbrica di “indiane” e di mézeri.
Benché Genova non mancasse di setaioli (almeno commercianti) la nuova industria non soltanto non ebbe ostacoli ma protezione palese.
La Società Patria, istituita due anni dopo, prescriveva ai soci di preferire le merci nazionali alle forestiere. E come nazionale veniva riconosciuta la nuova industria dei mézeri.
Giovanni Speich, con sua istanza dell’8 Febbraio 1787 (Archivio di Stato – Actorum, n. 4; n. g. 2200), dopo essere stato premiato nelle esposizioni industriali liguri, per aumentare più sicuramente la sua produzione costosa, chiedeva ai Serenissimi Collegi il privilegio esclusivo, per un certo corso d’anni, della fabbricazione (il testo dice: “costruzione”) di tutti i generi di telerie stampate da lui.
L’istanza fu accolta. Con decreto dei Collegi del 17 Aprile di quello stesso anno 1787, si accordava a Giovanni Speich: il “gius privativo” per anni 15 di stampare, nella città e nel dominio, tele e fazzoletti turchini.
Ma dieci anni dopo lo Speich doveva muovere lagnanza perché, contro il suo privilegio, un Luigi David stampava tele in Sampierdarena, e Angela Maria Torre fabbricava in Genova fazzoletti turchini.
L’onesto industriale – con esempio raro – si doleva più del discredito che poteva derivare da colori falsi alla stampa delle tele che non del danno proprio.
Intanto egli, per tutelare i prodotti della sua grandiosa fabbrica, teneva gelosamente custoditi i segreti delle tinture, in un libriccino da cui poscia il Testori, in volumi posseduti dal nostro Comune, ricavò le interessanti memorie su la stampa delle tele.
Il sistema era basato su l’applicazione di mordenti, fatta con legni incisi (pare che di questi stampi lo Speich ne avesse 1500, e andarono a finire a Milano) d’onde poi la stabilità dei sovrapposti colori.
Il processo è cosi descritto dal Grosso, in riassunto del Testori:
“La stampa si faceva con i mordenti, e i più comuni erano quelli di acetato di alluminio (rossi), di ferro (viola, nero) e il pulce era ottenuto con la combinazione dei due mordenti. Il disegno veniva, stampato sulla tela con i legni incisi spalmati del mordente, e poi venivano tinti, immergendo le tele secondo i voluti colori, in appositi tinelli di quelcitrone, di cocciniglia, di campeccio o “fusteto” ed ogni tinta dava una speciale combinazione di colore.
“Le materie coloranti si estraevano dai legni: brasile, legno giallo, campeccio, sandalo rosso, quelcitrone; dalle radici: robbia, curcuma; dalle foglie: guada, ginestra, vergourea; dalle paste: indaco, oriana, oricella; dagli animali: cocciniglia, ecc.
“Le materie coloranti, tenute nelle tine, si combinavano con i mordenti applicati alle stoffe e, da questa unione, risultava un colore inalterabile, mentre nelle parti prive di mordente il colore spariva dopo un lavacro in acqua semplice, o l’imbianchimento al sole fatto nel rovescio della tela spruzzato d’acqua”.
I mordenti avevano un colore di per se stessi e, al contatto delle altre sostanze, prendevano le tinte più svariate e smaglianti.
Prosegue il Grosso:
“Per i mézeri l’applicazione dei colori si faceva mediante i mordenti per le tinte: nanchino, color legno, primo, secondo e terzo rosso per mézeri e pessotti, per il rosso del gambone dell’albero vecchio, per l’oliva, i violetti di garanza, violetto, per i “frisi” per quelli dell’albero vecchio e dell’albero violetto, per i mézeri “ramagiati”.
“Per ottenere il giallo si usava la grana di Persia, l’erba guada, e si otteneva pure con i cromi”.
Dopo la tinta, così ottenuta, i mézeri si ossidavano, tenendoli, a seconda della stagione, da uno a sei giorni in una corrente d’aria calma e umida.
Altre operazioni accessorie, per la durata delle tinte, erano: il degommaggio (o bossinaggio), il garanzaggio, il pasaggio, e il bollibigio.
Il primo consisteva in un bagno d’acqua a 68 gradi, con sterco di vacca e creta di Francia. Doppia era l’immersione; e poi lavatura accurata in acqua corrente.
Il garanzaggio, che seguiva, si faceva dentro delle tine con una soluzione di garanza di Avignone.
Il pasaggio e il bollibigio si facevano in un bagno di 40 litri di garanza e due once di galla in polvere per 40 mézeri. Il bagno durava tre ore, rimescolando di continuo la tela ed elevando la temperatura, grado a grado, sino a 75 (e 80 nel bollibigio) per circa mezz’ora.
Se i mézeri erano stati impressi con i mordenti del violetto. nel garanzaggio non si metteva galla, che avrebbe nuociuto al colore.
Certe tinte, come il verde, il tortora, il carnicino, il blu, si applicavano a vapore, stampate con una soluzione di gomma arabica o di amido, e, dopo circa 5 giorni di deposito in una camera sotto l’azione del vapore, le tele si lavavano in acqua corrente, poi si ponevano in soluzione di acido muriatico e sale di stagno, infine si passavano in una soluzione d’acqua forte.
Meno complicata era l’applicazione dei colori: indaco, oliva, verde solido, che facevasi direttamente, con il lavaggio, poi, in acqua corrente.
L’imbiancatura dei mézeri si otteneva così: venti mézeri posti in bollitura per venti minuti in una miscela di 48 once di sapone; lavati e battuti sino a dar l’acqua chiara: per dieci volte immersi in acqua a 40 gradi con due boccali di cloro di calce chiaro: infine distesi ad asciugare al sole.
I risultati di queste operazioni, che richiedevano una tal quale material perizia oltre il pregio dei disegni e dei colori, si ammirano ancora, freschi e vivaci, in mézeri che furono ricercatissimi – dopo che, in città e poco dopo nelle campagne, essi andarono fuor di moda come abbigliamento donnesco – per adonarne di tende o di portiere i moderni salotti.
E tuttora se ne fabbricano, a scopo quasi esclusivo di paramento – e perché degli antichi e veri non se ne trovano quasi più – delle bellissime imitazioni.
Le quali possono servire anche a mascherate in costume, a scene teatrali, e – perché no? – a graziosissima bizzarria signorile.
Come nel ritratto della signora Pierina Cogorno che qui si presenta, e da cui più chiaramente è rievocata la dolce poesia del mézero, nel suo antico portamento, bello e gentile.
VECCHI COSTUMI GENOVESI
Articolo a firma C. C., pubblicato sul bollettino n° 10 – ottobre 1931
La denominazione All’Insegna della Tarasca potrà far pensare, a qualche buon borghese, che si tratti forse di una caratteristica osteria o di un negozio di armaiuolo.
Niente di più errato.
Sotto questa daudetiana insegna si aduna un gruppetto di giovani artisti genovesi – di tutte le arti – appassionati dell’arte grafica e della decorazione artistica del libro.
Ed essi non sono nuovi al mestiere: già due anni fa pubblicarono La soave compagna, di Lio Rubini, che è un prezioso libriccino di versi, e alcuni volumi di M. V. Strata.
Recentemente scovarono un pittore (Giorgio Mejneri) che sapeva accompagnare i suoi delicati quadretti con gentili poesie e lo accolsero nella loro schiera che non vuol essere numerosa ma che tende solo a essere composta di elementi scelti; in lingua povera: pochi ma buoni (e si scusi se è poco).
Ancor più di recente All’Insegna della Tarasca si pubblicò, in bella edizione, con fregi di Mimmo Guelfi, O grillö candadö, un libro di liriche genovesi che ha avuto un successo molto notevole a Genova e, ciò che sorprende, ancor più fuori della Liguria.
Ma i taraschini non sono commercianti, (come si può esser genovesi senza essere commercianti? chiederà il genovese P. M. Bardi), non fanno una speculazione dell’editoria. Si permettono volentieri il lusso di rifiutare di pubblicare volumi destinati al successo per preferire le Opere che a loro piacciono; non pubblicano prosa ma preferiscono la lirica, pura, che, per sua natura, è destinata ad una cerchia limitatissima di lettori; anche qui: pochi ma buoni!
Questi giovani hanno voluto vivere il loro sogno d’arte e vi sono riusciti: gran merito perché nulla è più difficile che poter vivere un sogno; essi hanno preso dalla Bohème quel tanto di donchisciottesco che vantava anche Massimo d’Azeglio a dispetto del suo nobile parentado, dalla vita moderna tutto quello che deve trarne un buon cittadino.
La cura principale di questi artisti è stata, fin qui, di fare xilografie: incidono legni e stampano le loro opere con un torchio del secolo scorso.
Appunto dalla loro attività xilografica è venuta fuori questa cartella di Vecchi costumi genovesi (All’Insegna della Tarasca, 1931 - L. 250) stampata in cinquanta esemplari.
In una bella legatura in tela grezza sono contenute dieci tavole impresse in nero e acquarellate a mano dall’autore, che è Cardo Ferrari: uno dei fondatori del cenacolo. Da quel buon genovese ch’egli è si rammaricava che i nostri bei costumi antichi non fossero per nulla curati dagli studiosi di questioni etnologiche e un bel giorno s’è deciso: ha impugnati i bulini, s’è cacciato nelle biblioteche d’onde ha tratti fuori questi dieci costumi appartenenti a quell’epoca in cui vivevano quelle nostre antighe nonnette da tanto tempo morte, che anchêu fra l’erba cocca in to preseppio séi. (O grillö candadö)
Conscio di come ogni opera richieda uno speciale modo di stilizzare e di come si debba interpretare a fondo il carattere e l’animo di ogni lavoro prefissosi, il Ferrari, in questi costumi genovesi, ha cercato, e bisogna riconoscere che c’è riuscito, di andare a ritroso nel bel tempo antico e di incidere e acquarellare come avrebbero acquarellato e inciso i buoni artisti dell’epoca in cui erano di moda quei costumi: cioè di almeno due secoli fa.
Sono costumi, questi, che si possono ancora trovare sulle figurine dei classici presepi di Coronata e della Guardia: delizioso anacronismo, così puro nella sua ingenuità.
Ma il Ferrari non s’è voluto fermare ad una semplice ricostruzione di costumi antichi: e un vero artista non poteva fermarsi e accontentarsi di questo solamente.
Egli è andato oltre: s’è lasciato trascinare dalla sua passione di pittore e di disegnatore, e, in ogni tavola, oltre il personaggio che vi interpreta, ha voluto porgere uno sfondo che sia il più adatto al personaggio stesso.
Cosi il Mulattiere, tutto infioccato e agghindato, ha dietro di sé una salita su cui si arrampicano alcuni muletti bene schizzati.
Alla donna che porta Il Mezzaro si contrappongono piccole figure in lontananza con su le spalle i loro mezzari.
E così pure nella tavola dove è illustrato Il Pezzotto, che altro non è che un mezzaro di più piccole dimensioni e di più modeste pretese; facile accorgimento per aver occasione di poter mostrare tutte le parti delle mantiglie.
Dietro al Camallo da olio si scorge una chiesetta barocca; è certamente una di quelle parrocchie che si trovano arrampicate su per le colline di Coronata, Begato e disseminate in tutta la Val Polcevera.
Il Marinaio è accompagnato da un veliero in un breve specchio d’acqua.
Raramente accade di trovare un’opera che, sotto qualunque punto di vista si esamini, interessi e non presenti manchevolezze come questa cartella di vecchi costumi genovesi.
Geniale l’idea di raccoglierli, pregevole l’opera dell’artista e signorile l’edizione.
E se qualcuno osserverà che dieci tavole per duecentocinquanta lire sono poche si può ripetere: poche ma buone!
A COMPAGNA -BOLLETTINO N° 1 – APRILE 1928
Bollettino n° 1 – aprile 1928
CONSOLATO
Prof. Giovanni Campora – Avv. David Chiossone – Giacomo Gagliardi – Marchese Domenico Pallavicino – Gr. Uff. Marco Passalcqua – Comm. Prof. Amedeo Pescio
RETTORE DELLE COMMISSIONI
Ing. Carlo De Marini
CANCELLERIA
Avv. Virgilio Vernetta Gran Cancelliere – Pino Bruzzone Segretario
CONSULTORI
Alberti Rag. Alberto – Arduino Dott. Vincenzo – Arecco Rag. Ubaldo – Bagnasco Cav. Antonio – Barabíno Cesare – Bava Cav. Giulio – Bocciardo Ing. Comm Arturo – Bodoano Comm. Avv. Enrico – Bono Dott. Cav. Uff. Giulio – Borro Comm. Avv. Antonio – Bozzano Cav. Luigi – Bruzzone Pino – Camere Cav. Francesco – Campora Prof. Giovanni – Caprile Angelo Pasquale – Carbone Prof. Giacomo – Carbone Prof. Cav. G. A. – Carrega. March. Antonio – Castelli Comm. Avv. Riccardo – Chiossone Avv. David – Chiarella Comm. Achille – Chiarella Avv. Salvatore – Ciurlo Dott. Luca – Cogliolo Gr. Uff. Cesare – Costa Cav. Francesco G. – Cremonini Aldo – De Barbieri Prof. Paolo Enrico – De Ferrari Principe Gerolamo – De Gaspari Generale Oreste – De Marini Ing. Carlo – De Negri Cav. Uff. Cap. Emilio – Doria Marchese Dott. Gian Carlo – Evangelisti Giuseppe – Figari Prof. Comm. Francesco – Gagliardi Giacomo – Garbarino Cav. Davide – Garibaldi Cav. Antonio – Garibaldi Ing. Prof. Cesare – Gazzale Leopoldo – Gazzolo Francesco – Ghiglino Rag. Fausto – Grossi Dott. Prof. Leonardo – Grosso Cav. G. B. – Grosso Prof. Comm. Orlando – Guastavino Cav. Giuseppe – Leale Comm. Avv. G. B. – Magnone Gaetano – Marengo Comm. Gerolamo – Martini Mario Maria – Massuccone Avv. Francesco – Monleone Prof. Comm. Giovanni – Moresco Prof. Comm. Mattia – Nanni Avv. Gian Antonio – Olivari Ing. Prof. Emilio – Oliveri Avv. Mario – Ottone Francesco – Pallavicino Marchese Domenico – Parodi Magg. Silvio – Passalacqua Gr. Uff. Marco – Patrone Angelo – Pescio Comm. Prof. Amedeo – Picasso Ing. Renzo – Pozzo Gr. Uff. Attilio – Ramoino Gr. Uff. Prof. Dott. G. B. – Rapallo Dott. G. B. – Rosciano Dott. Cav. Gian Domenico – Ruspini Dott. Augusto – Sanguineti Cav. Guido – Sivori Dott. Prof. Cav. Luigi – Spinola Marchese Paolo Alerame – Triulzi Avv. Guido – Valle Adolfo – Vernetta Avv. Virgilio.
GIUNTA DI SANITÀ
Dott. G. B. Rapallo – Presidente – Dott. Cav. Vincenzo Arduino – Vice Presidente – Prof. Dott. Leonardo Grossi – Segretario – Rag. Luigi Arvigo – Comm. Avv. Vincenzo Bellagamba – Dott. Natale Bolla – Dott. Francesco Borzone – Cav. Uff. Dott. Giuseppe Cavagnari – Dott. Attilio Casaleggio – Dott. Emilio Giulio Ferrando – Prof. Dott. Comm. Francesco Figari – Prof. Dott. Alfredo Gismondi – Dott. Pietro Massa – Comm. Dott. Francesco Mosso – Prof. Ernesto Patrone – Cav. Dott. Edoardo Penco – Dott. Nicolò Porro – Prof. Gr. Uff. G. B. Ramoino – Prof. Dott. Anselmo Rivara – Prof. Dott. Arturo Risso – Prof. Dott. Carlo Rolla – Dott. Cav. Gian Domenico Rosciano – Dott. Cav. Augusto Ruspini – Prof. Dott. Cav. Luigi Sivori – Membri.
COMMISSIONE D’ARTE E ARCHEOLOGIA
Cav. Guido Sanguineti – Presidente – Prof.ssa Margherita Oberti – Segretaria – Prof. Avv. Comm. Enrico Bensa – Cav. Dott. Giulio Bono – Prof. Giovanni Campora – Cav. Nicolò Casale – Dott. Cornelio Costa – Prof. Paolo Enrico De Barbieri – Marchese Dott. Gian Carlo Doria – Rag. Cesare Maria Ferrari – Ing. Carlo Fuselli – Comm. Prof. Orlando Grosso – Arch. Mario Labò – Mario Maria Martini – Ing. Avv. Mario Massardo – Avv. Francesco Massuccone – Prof. Gigi Orengo – Avv. Marchese Giuseppe Pessagno – Ing. Renzo Picasso – Giuseppe Piersantelli – Prof. Edoardo Modesto Poggi – Comm. Avv. Luigi Rosciano – Membri.
CONSERVATORI DEL MARE
Ing. Carlo De Marini – Presidente – Avv. Cav. Luigi Parini – Segretario – Cap. Angelo Ansaldo – Dott. Salvatore Accame – Rag. Mario Bensi – Ing. Ubaldo Berretta – Ing. Gaspare Bernati – Pino Bruzzone – Comm. Avv. Riccardo Castelli – Alfredo Cereseto – Comm. Cesare Cogliolo – Corrado Corradi – Ing. Domenico Chiozza – Cap. Cav. Uff. Emilio De Negri – Rag. Achille Forni – Cav. Aldo Gardini – Alessandro Linari – Domenico Monti – Gaetanino Mora – Leopoldo Palazio – Ammiraglio Giovanni Patris – Cav. Luigi Porta – Rag. Valdemaro Raineri – Giovanni Rossi – Angelo Sturlese – Ing. Giacomo Terrile – Ammiraglio G. B. Tubino – Giulio Valeri – Eugenio Verrando – Avv. Comm. Agostino Virgilio – Membri.
COMMISSIONE DEI TRAFFICI
Comm. Cesare Cogliolo – Presidente – Avv. Tomaso Croce – Segretario – Gr. Uff. Attilio Bagnara – Pino Bruzzone – Andrea Capriata – Comm. Avv. Riccardo Castelli – Rag. Pietro Favari – Avv. Comm. Marchese Nicolò Garibaldi – Cav. Eugenio Gherardi – Conte Comm. Luigi Gramatica – Comm. Avv. G. B. Leale – Alessandro Linari – Comm. Avv. Bartolomeo Loleo – Gaetano Magnone – Arturo Malfettani – Ing. Avv. Angelo Massardo – Avv. Mario Oliveri – On. Ing. Sen. Marchese Giacomo Reggio – Comm. Cesare Vassallo – Cav. Argeo Villa – Membri.
UFFICIO DI MONETA
Gr. Uff. Marco Passalacqua – Presidente – Cav. Antonio Garibaldi – Tesoriere – Dott. Salvatore Accame – Rag. Alberto Alberti – Cav. Giulio Bava – Eugenio Carpi – Avv. Cav. Valerio Chiossone – Giuseppe Evangelisti – Comm. Carlo Massone – Membri.
GIUNTA DEGLI STUDI
Comm. Avv. G. B. Leale – Presidente – Conte Avv. Filippo Gramatica – Segretario – Teresina Alberti – Avv. Comm. Enrico Bodoano – Prof. Cav. G. B. Bignone – Prof. Giacomo Carbone – Prof. Cav. G. A. Carbone – Ing. Domenico Chiozza – Rag. Achille Forni – Prof. Vincenzo Gatto – Francesco Gazzolo – Prof. Comm. Orlando Grosso – Mario Maria Martini – Prof. Comm. Avv. Mattia Moresco – Avv. Francesco Massuccone – Ing. Prof. Emilio Olivari – Avv. Mario Oliveri – Giuseppe Piersantelli – Prof. Cav. Francesco Ridella – Prof. Giuseppe Rizzo – Prof. Avv. Nicolò Viale – Membri.
SOTTOCOMMISSIONE PER IL DIZIONARIO GENOVESE
Prof. Edoardo Canevello – Presidente – Prof. Mario Italo Angeloni – Prof. Giovanni Campora – Prof. Giacomo carbone – Avv. David Chiossone – Rev. Lazzaro De Simoni – On. Avv. Prof: Giuseppe Macaggi – Prof. Comm. Giovanni Monleone – Prof. F. E. Morando – Gaetano Magnone – Comm. Mario Panizzardi – Comm. Prof. Amedeo Pescio – Dott. G. B. Rapallo – Marchese Paolo Alerame Spinola – Prof. Schiaffino – Avv. Guido Triulzi – Membri.
GIUNTA DELL’ANNONA
Cav. Alfredo Pin – Presidente – Cav. Francesco Frumento – Segretario – Vincenzo Bettinelli – Pino Bruzzone – Valentino Carlini – Cav. F. G. Costa – Arturo Drago – Rag. C. M- Ferrari – Cav. Giuseppe Garibaldi – Domenico Ivaldi – Comm. Gian Luigi Lercari – Nob. Riccardo Maineri – Gaetano Magnone – Cesare Magioncalda – Edoardo Oneto – Cav. G. B. Sacco – G. Adolfo Valle – Simone Villa – Membri.
SOTTOCOMMISSIONE PER LE CASE ECONOMICHE
Ing. Giacomo Basso – Pino Bruzzone – Prof. Giovanni Campora – Ing. Carlo De Marini – Giuseppe Evangelisti – Ing. Carlo Fuselli – Cav. Antonio Garibaldi – Cav. G. B. Grosso – Comm. Avv. G. B. Leale – Comm. Gerolamo Marengo – Avv. Ing. Angelo Massardo – Avv. L. D. Piccardo.
COMMISSIONE BANDA MUSICALE
Avv. David Chiossone – Presidente – Pino Bruzzone – Segretario – Rag. C. M. Ferrari – Cassiere– Cesare Ghio – Gaetano Magnone – G. Adolfo Valle – Membri.
Delegazione di Sestri Ponente
Luigi Aloisio – Primino Villa – Commissari Vice Presidenti – Giuseppe Savio – Segretario – Cipriano Fantoni – Consigliere di collegamento – Maestro Direttore: Antonino Russo.
COMMISSIONE DEL CERIMONIALE
Prof. Cav.G. A. Carbone – Presidente – Avv. Comm. Enrico Bidoano – Gaetano Magnone – Vice Presidenti – Pino Bruzzone ff. Segretario – Filippo Cianchettini – G. Adolfo Valle – Vice Segretari – Cav. Giacomo Bagnasco – Umberto Bianchi – Rag. Alfredo Bianchedi – Luigi Bisso – Comm. Avv. Antonio Borro – Aurelio Braschi – Prof. Giovanni Campora – Andrea Capriata – Rinaldo Castagnone – Prof. Giacomo Carbone – Giovanni Cevasco – Avv. Cav. Valerio Chiossone – Comm. Cesare Cogliolo – Francesco Cordano – Cav. Francesco Gius. Costa – Aldo Cremonini – Nicolò Delfino – Cap. Cav. Uff. Emilio De Negri – Giuseppe Evangelisti – Cipriano Fantoni – Giovanni Florio – Guglielmo Foppa – Avv. Cav. Uff. Nicolò Garibaldi – Leopoldo Gazzale – Cesare Ghio – Conte Avv. Filippo Gramatica – Prof. Dott. Leonardo Grossi – Domenico Ivaldi – Vittorio Lanfranchi – Lorenzo Lercari – Alessandro Linari – Arturo Malfettani – Felice Massa – Ing. Avv. Angelo Massardo – Prof. Comm. Giovanni Monleone – Avv. Mario Oliveri – Luigi Orengo – Luigi Piccardo – Arturo Sebastiano Profumo – Avv. Agostino Ricci – Prof. Giovanni Rinmssa - Luigi Rocchiero – Silvio Rissotto – Marchese Paolo Alerame Spinola – Giacomo Solari – Cav. Guido Sanguineti – G. B. Tagliasco – Lorenzo Torre – Prof. Avv. Nicolò Viale – Mario Viora – Membri.
COMMISSIONE D’ARTE E ARCHEOLOGIA
Pel Palazzo Ducale - La Chiesa di San Marco.
Piuttosto modesto fu il compito della Commissione d’Arte e Archeologia dato che molti sono gli enti che, per legge, debbono occuparsi di tali questioni; e quindi il compito della commissione si limitò, come del resto stabilisce il suo logico campo di azione, ad esprimere voti tendenti alla conservazione di monumenti cittadini e ad evitare possibili manomissioni di essi. Ecco in breve un cenno dell’attività della Commissione stessa.
Verso la fine dello scorso anno si constatò che gli stucchi che decorano una sala della Corte d’Appello, antico appartamento del Doge andavano deteriorandosi per infiltrazioni d’acqua da un piano soprastante. Ne fu avvertito immediatamente il Direttore dell’Ufficio Municipale di Belle Arti e Storia, prof. comm. Orlando Grosso, che con lodevolissima sollecitudine provvide ad una verifica sul posto. Venne eliminata la causa dello stillicidio e sarà facile in seguito riparare gli stucchi e le dorature deteriorate.
A proposito di Palazzo Ducale, una voce, risultata del tutto infondata fece credere, per un momento, che si volessero nuovamente dimezzare alcune sale, e aprire porte negli antichi locali dello stesso Palazzo. La Commissione che si era interessata della cosa per scongiurare un eventuale pericolo di tali manomissioni, in considerazione che il restauro artistico del Palazzo dovrà farsi ancora attendere per qualche tempo, ha proposto che, nell’interesse del pubblico che visita il monumentale edificio, siano disposti dei cartelli nei varii locali per indicare a quale uso essi erano adibiti nell’ultimo secolo di vita della Repubblica Genovese. Ciò si rende assai facile dopo la pubblicazione, negli atti della Società Ligure di Storia Patria, della dotta monografia del comm. Volpicella sulla storia di detto Palazzo.
Tutti sanno che la penisola del Molo Vecchio deve in avvenire essere trasformata in un emporio commerciale. Di questo fatto si preoccupò la Commissione agli effetti della tutela della vecchia chiesa di S. Marco che fu, nei tempi di mezzo, tanta parte della vita marinara genovese. Di là infatti prendevano commiato i capitani alla partenza e là rendevano grazie a Dio al ritorno dalle spedizioni marinare. A S. Marco si hanno ricordi di insigni cartografi tra i quali deve annoverarsi il Rettore della Chiesa, prete Giovanni di Carignano.
La Commissione espresse il voto al Presidente del Consorzio che la vecchia chiesa, spogliata dalle deturpazioni dei due secoli scorsi, rimanga, se non è possibile al culto, almeno come sala di adunanze o adibita ad ufficio, come meglio si riterrà conveniente. S. E. l’Ammiraglio Cagni rispose molto cortesemente che terrà in sommo conto le raccomandazioni della “Compagna”; ed in tal modo questo glorioso monumento genovese potrà essere conservato all’ammirazione del pubblico. La Commissione sta presentemente occupandosi di restauri di altre chiese e monumenti e porterà le pratiche a conoscenza del pubblico non appena esaurite.
[Una lira del 1928 varrebbe oggi 0,92 euro, fonte www.infodata.ilsole24ore.com]
LA GIUNTA DI SANITÀ
Il servizio farmaceutico
Fra le diverse Commissioni elette dalla Consulta della “Compagna” per lo studio dei molteplici e svariati problemi cittadini, non ultima per importanza è quella che si dedica alle questioni igieniche e sanitarie della cittadinanza.
Composta da un numero ragguardevole di distinti e volenterosi Compagni, la Giunta di Sanità si è occupata più volte ed a lungo della importante questione ospedaliera portando in seno alla Consulta delle proposte ben studiate, pratiche e concrete che sono state, a suo tempo presentate all’on. Podestà da apposita Commissione cui venne dato affidamento che sarebbero state tenute nella debita considerazione.
La pratica degli Ammazzatoi Municipali è stata oggetto di particolare studio da parte della Giunta di Sanità ed anche questa determinò delle buone proposte specie per merito del compagno dott. Rosciano; come pure al Rosciano si deve l’interessamento per le riforme igieniche nel campo dell’edilizia cittadina e per la cura dei pubblici giardini.
Più recentemente la Giunta di Sanità della “Compagna” si è occupata dell’esame del Servizio Farmaceutico. È troppo noto il grave disagio, e conseguente giustificato malcontento, causato nella nostra cittadinanza dall’applicazione del nuovo orario di apertura e di chiusura delle Farmacie. Tale disagio e malcontento è stato giustamente rilevato dai Compagni della Commissione di Sanità i quali tempestivamente e con lodevole prontezza se ne sono resi interpreti in seno alla Giunta stessa studiando a fondo la questione e proponendo poi in sede di Consulta le necessarie modifiche in una memorabile seduta del 17 Febbraio u. s. Alla seduta sono cortesemente intervenuti il Commissario Prefettizio dell’Ordine prof. Arman ed il Segretario del Sindacato dei Farmacisti dott. Ferrando che fornirono importanti delucidazioni nel corso della discussione assicurando altresì la loro cooperazione perché il problema esaminato dalla Commissione possa ottenere la migliore soluzione, contemperando egualmente gli interessi della classe farmaceutica con quelli del pubblico.
Il Presidente della Giunta di Sanità dottor cav. Vincenzo Arduino riferì su l’argomento mettendo anzitutto in rilievo gli inconvenienti che derivano dall’orario attuale. Seguì con altre argomentazioni il Gr. Uff. Dott. Prof. Gio. Batta Ramoino. Numerosi tra gli intervenuti parteciparono alla discussione, esaurita la quale il Presidente della Assemblea Comm. Avv. Castelli, dopo aver ringraziati i rappresentanti dei Farmacisti per il loro intervento e per il valido contributo portato, mise in votazione il seguente ordine del giorno che venne approvato all’unanimità:
“La Consulta della “Compagna” sentita la relazione del dott. cav. Vincenzo Ardoino e del Prof. Gr. Uff. G. Batta Ramoino sul Servizio Farmaceutico in Genova, resasi conto delle pregiudizievoli ripercussioni che ha nella cittadinanza genovese il nuovo orario delle Farmacie non rispondente alle giuste esigenze della popolazione fa voti che sia adeguatamente protratto l’orario normale di chiusura alle venti e che venga stabilito come antecedentemente un congruo “Servizio Notturno fisso” mediante equo compenso alle Farmacie poste in località disagiate.
La Consulta mentre ringrazia i Rappresentanti dei Farmacisti del loro intervento alla riunione confida che la classe dei Farmacisti vorrà ancora una volta ispirarsi a quei sensi di abnegazione di cui ha sempre data grande prova per il bene della popolazione sicura che i suoi voti saranno anche patrocinati dai Rappresentanti della classe farmaceutica che nella discussione hanno dimostrato di saper contemperare le loro giuste esigenze con quelle non meno importanti della cittadinanza genovese”.
Copia di tale Ordine del Giorno venne da apposita Commissione recapitata a S. E. il Prefetto ed al Podestà On. Broccardi.
CONSERVATORI DEL MARE
La “Compagna,, ed i Porti Franchi
La “Compagna” che ha tra le precipue sue istituzioni una attiva commissione dei “Conservatori del Mare”, ha trattato specialmente tra le altre pratiche, e non appena promulgata la grande legge fascista per la restaurazione della totale franchigia doganale ai grandi porti nazionali, questa importante questione, indicendo immediatamente l’adunata della Commissione stessa in unione a quella dei traffici, ed in essa furono ampiamente trattate tutte le questioni inerenti al principio grandioso del porto franco.
La Commissione era presieduta dall’ing. De Marini ed assistevano spiccate personalità del ceto industriale, armatoriale e commerciale.
Il Segretario cav. avv. Luigi Parini in qualità di relatore, dopo aver fatto un completo esame della legge, rivendica agli ordinamenti storici che si ricollegano ai fastigi delle compere di San Giorgio, la intuizione che la zona franca di un porto e la franchigia di esso porto è ragione prima dell’incremento dei traffici. Dice come il regime “Franco” nell’intero porto si appalesa subito quale un regime di sveltezza e di semplicità che bene si attaglia alla materia marittima, industriale e commerciale che ferve in un porto moderno.
Non si deve inoltre dimenticare, aggiunge, che nei porti franchi nazionali essendo indubbiamente preferiti e ricercati dall’armamento e dal commercio, verrebbero a costituirsi vere e proprie sedi di mercato, con quale beneficio dell’economia nazionale è ben facile immaginare, e col vantaggio di evitare le continue pressioni del mercato da parte dei paesi produttori.
Spiegava le ragioni per le quali, nonostante le fiere proteste delle Camere di Commercio, i porti franchi furono aboliti nel 1875; ed eleva un inno al Governo Nazionale per la restaurazione del principio della franchigia doganale.
Interloquiscono sulla relazione del Segretario Parini buona parte dei presenti, e dopo una replica del relatore, la Commissione dei Conservatori del Mare unitamente a tutti i Compagni intervenuti ha indirizzato un elevato messaggio a S. E. Benito Mussolini che, attraverso la legge sui porti franchi, ha profondamente rinnovato la economia portuale nazionale.
COMMISSIONE DEL CERIMONIALE
La bandiera ai Pompieri – La visita ai Musei – Una gita a Torino
La Commissione del Cerimoniale ha per principale scopo il promuovere gite istruttive, partecipare a feste, organizzare cortei ed intervenire a tutte le riunioni che assumano un carattere cittadino.
Grande attività ha svolto durante lo scorso anno, partecipando a tutte le manifestazioni tenutesi nella nostra città. Sotto la valente guida dell’illustre archeologo prof. Giovanni Campora i Compagni visitarono i principali monumenti antichi ed i presepi delle alture nonché la Scuola d’Ingegneria Navale con l’annessa mostra Garelliana.
La Commissione del Cerimoniale ha pure organizzato il Comitato delle Patronesse, presieduto dalla Marchesa Agnese Pallavicino, che offrì la bandiera al benemerito Corpo dei Civici Pompieri nella memorabile cerimonia della premiazione; e a Capo d’Anno ha preparato la solenne manifestazione del “Confeugo” in onore del Podestà on. Broccardi.
Costituitasi in Comitato Amici della Banda promosse quest’anno il veglione “Grifon” al Teatro Nazionale con lusinghiero risultato. Una sottocommissione poi organizzò l’Unione Ligure di Canto popolare che tanto interesse ha suscitato nella cittadinanza.
Attualmente la Commissione prepara una visita ai grandiosi lavori del nuovo Porto; inoltre vennero iniziate le visite ai Musei.
Domenica 25 marzo una vera folla di cittadini convenne al Museo d’Arte giapponese Edoardo Chiossone che l’illustre incisore genovese, morendo a Tokio, lasciò all’Accademia Ligustica di Belle Arti che egli chiamò “mia Madre in arte”. La visita che riuscì interessantissima avvenne sotto la guida del Console Prof. Giovanni Campora che fornì copiose notizie sulle preziose collezioni contenute nelle diverse sale. Seguì una non meno interessante visita alle sale dell’Accademia dove furono ammirate in modo particolare le preziose raccolte di modelli.’
La Commissione sta organizzando in unione col comitato della Banda, ed in accordo colla sezione della “Compagna” di Torino, una visita a quella città in occasione dei prossimi festeggiamenti per il centenario di Emanuele Filiberto.
Nel prossimo numero della Rivista saranno pubblicate le modalità e il programma.
Tra le manifestazioni organizzate dalla Commissione del Cerimoniale negli anni precedenti merita particolare cenno la gita per mare a Noli, per presenziare all’inaugurazione del labaro della vetusta città. I Compagni, numerosissimi, s’imbarcarono sul piroscafo “Primiero” gentilmente concesso dal benemerito compagno armatore cav. Romolo Cichero, e furono ricevuti in modo particolarmente solenne dalle autorità civili ed ecclesiastiche e di Noli.
Di una cortesia squisita e di infaticabile operosità fu l’allora Sindaco, e oggi Podestà, il valoroso compagno colonnello comm. Vittorio Garrone, console della Milizia.
La Banda musicale della “A COMPAGNA,,
In una seduta del 1925, la Consulta della “Compagna” dava mandato al Consultore avv. David Chiossone di trovare il modo di dotare Genova di una grande banda musicale che dovesse tenere alto il nome della città, senza gravame per la cassa della “Compagna”. Il problema non era tanto facile a risolversi, considerando le spese enormi che occorrono per costituire una Banda musicale di sana pianta e trovare un numero sufficiente di elementi, non professionisti, che potessero dare affidamento di sicura riuscita. Dopo maturo studio, l’avv. Chiossone presentava alla Consulta, che subito approvava, il progetto di assumere la gestione della Banda del Circolo Filarmonico “Ghio Secondo” di Sestri Ponente, che di buoni musicanti era già composta, possedeva. una sala di prova, era ben meritatamente nota e raggruppava i migliori requisiti voluti.
Occorreva però una spesa non indifferente per l’impianto, come divisa, rinnovo ed acquisto di nuovi strumenti, musica, diritti d’autore ecc. ecc.
Venne allora deciso di costituire, in seno alla “Compagna”, una Commissione autonoma, che dovesse gestire la Banda vivendo di vita propria senza gravare sul bilancio della “Compagna”. Per raggiungere il fine, il Comitato eletto decise di formare uno speciale fondo risultante dalla contribuzione volontaria di Soci, Amici, Associazioni ed Istituti varii. Fissò delle azioni da Lire 100, 500 e 1000 da dover essere versate annualmente e con l’impegno di un biennio. Discreto numero di cittadini risposero all’appello e la Banda della “Compagna” era fatto compiuto. Nell’occasione del Canto del Campanone, i cittadini convenuti applaudivano il bravo corpo musicale che indossava la gloriosa divisa dei Carabinieri genovesi.
Del valore e dell’attività di questo corpo non è il caso di parlare diffusamente poiché la cittadinanza tutta ne ha seguito con simpatia ed entusiasmo le molteplici manifestazioni, apprezzando oltre al valore artistico dei programmi svolti, lo zelo ed il disinteresse personale dei singoli esecutori, che sacrificano ad un nobile intendimento le ore libere del quotidiano lavoro.
Basterà accennare che nell’anno 1927 furono ben 115 le prove d’assieme svolte sotto la paziente e sapiente guida del Maestro Antonino Russo, ed oltre 50 i concerti pubblici, otto dei quali nei maggiori centri della Riviera.
Anche per l’anno corrente si sta approntando un programma degno, e molte novità sono allo studio. È già fissato un calendario di 30 concerti all’Acquasola, la sola località che finora si presti in attesa di poter disporre di una Cassa armonica mobile. È in vista una gita a Torino in occasione dell’Esposizione, in unione ai Soci della “Compagna”.
Ogni cittadino dovrebbe concorrere per mantenere l’efficienza di questo corpo musicale: venne istituita anche una categoria di soci contribuenti con quote da Lire 5 annue, oltre ai Soci ordinari, benemeriti ed onorari con le quote di Lire 100, 500 e 1000 rispettivamente.
Un incaricato della Commissione Banda si trova giornalmente, alle ore 17, in Sede della “Compagna”, Campetto 7, a disposizione.
Unione Ligure Squadre Canto Popolare
L’U. L. S. C. P., costituita per merito ed iniziativa di alcuni componenti la Commissione del Cerimoniale della “Compagna”, con lo scopo precipuo di disciplinare le gare, promuovere la riesumazione delle antiche canzoni del popolo ligure, lo studio e l’esecuzione di nuove canzoni, ha raggruppato un numero grande di squadre fra le migliori della regione. Dalla sua costituzione, partecipò a diversi Convegni, primo tra i quali quello a favore dei poveri della città, che fruttò la somma di Lire 2382, versate al Podestà della Grande Genova. Favorì inoltre la Fratellanza di San Fruttuoso, il Trionfo Genovese, la Croce Bianca, l’anziana Soc. Ginnastica Andrea Doria, alla quale vanno rese grazie per la disinteressata prestazione della palestra, nell’occasione del convegno pro beneficenza cittadina, la Banda musicale della “Compagna”, il Dispensario Antitubercolare, la Croce Bianca di Bolzaneto, ecc. Il favore che ha incontrato nel pubblico, specie in quella parte che ancora non era a conoscenza delle virtù che i nostri popolari cantori sono capaci di sviluppare, l’interessamento di Maestri, tra i quali C. M. Ferriari, Cardosa, Bossola, che composero su rime del poeta Malinverni, di Costanzo Carbone, di F. Costa, e che suscitarono entusiasmo vivo, provocando l’adesione di Maestri e Poeti che promisero la loro cooperazione, dimostra la genialità ed il successo dell’iniziativa.
A ‘norma dello Statuto tutti i componenti le squadre sono iscritti al Dopolavoro, che ne disciplina e patrocina le manifestazioni; e, compatibilmente con i regolamenti, sono soci della “Compagna”. Fanno parte della Unione le squadre seguenti: Bavari, Campomorone, Faro, Rinascente, Molassana, Nervi, Rossiglione, San Martino e Sestri Ponente. Il C. D. è così composto: Angelo Perone Presidente; Luigi Ivaldi, Vice Presidente; Ernesto Traverso, Cassiere; Leandro Bruzzone, Segretario; Giuseppe Cosso, Vice Segretario.
L’avv. Mario Olivieri rappresenta la “Compagna” in seno all’Unione.
Avvertiamo che il giorno 15 aprile, al Teatro Nazionale, per iniziativa dell’O. N. D. ed a beneficio della Sezione rionale della stessa, si svolgerà un grande convegno al quale parteciperanno tutte le Squadre soprannominate.
A-O PAXO IN ZENEIZE
Domenica 27 giugno 2012 alle ore 15.30 nel Cortile Maggiore di Palazzo Ducale
l'associazione A Compagna offre alla cittadinanza lo spettacolo
A-o Paxo in zeneize
(A Palazzo Ducale in genovese)
Ingresso gratuito
Sono disponibili 140 posti a sedere
Le regole del Covid ci impongono di assegnare i 140 posti a sedere su prenotazione per “tracciare” le presenze. Chi desidera partecipare deve prenotarsi all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. oppure telefonicamente allo 010-246.9925 (segreteria telefonica) indicando nome e cognome dei singoli partecipanti e, per ognuno, un recapito telefonico. Completati i 140 posti non sarà più possibile accettare prenotazioni ulteriori. Le persone prenotate devono presentarsi domenica 27 giugno a Palazzo Ducale, farsi identificare e sedersi nel posto assegnato.
Partecipiamo in tanti: non lasciamo posti vuoti!
Tutti gli anni per la ricorrenza di San Giorgio, santo patrono dei Genovesi (23 aprile), A Compagna organizza uno spettacolo che vuol riproporre momenti della tradizione genovese con canti dialettali in costume, musiche genovesi e liguri e intrattenimenti in genovese.
Gli artisti che animeranno lo spettacolo sono i seguenti.
Il Gruppo Folcloristico Città di Genova accoglierà gli intervenuti con antichi canti genovesi ed i costumi della tradizione popolare.
Marco Rinaldi ci intratterrà con il suo irresistibile cabaret.
Zena Singers Band che ci proporranno, con la formula del teatro/canzone, alcuni brani dei cantautori genovesi.
Davide De Muro, ottimo chitarrista, ci presenterà le novità nella musica genovese moderna.
Alessandro De Muro, valente chitarrista e cantautore, ci presenterà alcune sue canzoni.
Ospiti d’onore:
Piero Parodi, il più autorevole rappresentante della musica genovese,
Vladi dei Trilli, erede del duo più famoso della canzone genovese: i Trilli,
Massimo Morini dei Buio Pesto che ha avvicinato molti giovani alla musica genovese.
La conclusione come sempre è affidata al Gruppo folcloristico Città di Genova per un finale musicale brillante, allegro e divertente.
Lo spettacolo è realizzato con la partecipazione gratuita di tutti gli artisti e con il contributo di "Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura" che A Compagna volentieri ringrazia.
L’Annuario Genovese
Articolo pubblicato sul bollettino n° 7 – ottobre 1928
L’Annuario Genovese (l’antica guida del signor Regina) entra nel suo 114 anno di vita con la edizione testé uscita. La pubblicazione che oramai è considerata una vera e propria istituzione genovese dice giustamente nella sua prefazione: “Sotto la nuova veste abbiamo potuto ampliare ancora il nostro lavoro fino a raggiungere la mole di una pubblicazione il cui valore è ormai riconosciuto da tutti e ci è fonte di orgoglio e sprone a migliorare sempre. Non crediamo possa sfuggire neanche ai più distratti osservatori il lavoro da noi compiuto per la edizione che stiamo presentando, e solo che si vogliano considerare tutti i cambiamenti nelle Istituzioni che il Regime va continuamente sviluppando, e la cui impronta abbiamo ben fissata in tutta l’estensione maggiore, interpretando fino all’essenza dello spirito le alte idealità del Fascismo, che vanno concretandosi secondo le direttive del Governo; potrà essere valutato al suo giusto valore l’immane lavoro da noi compiuto al solo scopo di conferire una importanza sempre maggiore alla nostra pubblicazione, aggravandosi sempre più di spese e di fatiche. Ed anziché sfoggiare od ostentare il nostro aumento di volume, abbiamo cercato di concentrare la materia scegliendo i caratteri più minuti.
Il lettore troverà nella parte amministrativa registrate dettagliatamente tutte le nuove Gerarchie del Partito Nazionale Fascista, l’Opera Nazionale Dopolavoro, l’Opera Nazionale Balilla, tutti i Sindacati dei Datori di Lavoro distinti nelle singole Federazioni e Sezioni come i Sindacati dei Lavoratori con tutte le indicazioni delle Sezioni dipendenti.
Gli Usi Mercantili che si osservano sulla piazza di Genova sono stati elencati secondo il nuovo ordine stabilito dal locale Consiglio Provinciale dell’Economia e la ricchezza delle voci di richiamo dei due Indici rendono facilissima la ricerca di ogni Uso. Nuove per questa edizione e che seguono immediatamente gli “Usi” sono le “Regole di York e di Anversa, 1924” testo eminentemente marinaro, che interessa la nostra città, eminentemente “marinara”.
Il volume, che comprende oltre 2100 pagine, è una preziosa guida per tutti e sommo suo pregio è quello della massima diligenza in fatto di indirizzi e delle più disparate indicazioni.
Sinceramente ci congratuliamo coll’egregio direttore dell’Annuario Genovese, signor Vincenzo Tagini, pel grado di perfezione al quale ha saputo condurre la pubblicazione a lui affidata dai fratelli Pagano.
_______________________________
Il Lunario del Signor Regina
Articolo a firma Emanuele Canesi, pubblicato sul bollettino n° 9 – dicembre 1928
Il signor Vincenzo Tagini, che dirige la secolare pubblicazione dei Fratelli Pagano, ha voluto farmi gentile omaggio dell’Annuario Genovese 1928-1929: un volumone che guai a lasciarselo cascare sulla punta dei piedi e che, rosso e grosso com’è, potrebbe anche far pensare a uno di quei taxi i quali oggidì formano il terrore del vile pedone in procinto d’avventurarsi nel tragitto che corre dal Teatro Carlo Felice all’imbocco di Vico Casana.
Oh quantum mutatus ab illo! Quale processo di crescenza, voglio dire, da quel che fu il Lunario del Signor Regina, poco più grande, nel formato, della Divina Commedia in edizione Diamante: emporio di profezie chiaravallesche, di barzellette, di epigrammi, di satire, di raccontini, guazzabuglio di pasquinate e di notiziole date tra il serio e il faceto; ma, quanto ad informazioni di pratica utilità in genere e a indicazioni di toponomastica cittadina in ispecie, zero, quando non si voglia tener conto della parte in cui è segnalato il genetliaco di Carlo Felice Re di Sardegna e dei Principi di Casa Savoia; la composizione delle pubbliche amministrazioni; i membri della Camera di Commercio; i varvassori della nobiltà e del clero e – cosa davvero importante, l’arrivo e la partenza dei corrieri:
CORRIERE Dl TORINO
Arrivo: Lunedi, Mercoledì e Venerdì, alla matt. colle lettere del Piemonte, Savoja, Svizzera, Francia, Olanda, Inghilterra, Spagna, Portogallo, ecc.
Parte: Lunedì, Giovedì e Sabato a 5 ore pomeridiane.
PARTENZA E ARRIVO DELLA DILIGENZA
Parte: Domenica alle ore 9 precise di matt. per la Lombardia e la Romagna, passando per Milano – Martedì, Giovedi e Sabato alle ore 4 di mattina per il Piemonte e la Francia.
Arrivo: Lunedì, alla mattina dalla Lombardia e dalla Romagna passando per Milano, Venerdì e Domenica alla mattina dal Piemonte e la Francia.
IL FRONTESPIZIO DELL’ANNO 1820
Ah, quel delizioso viaggiare pigiati, quasi impiombati entro l’arca spaventosa della diligenza, dopo il risveglio ante lucem, l’attesa nella rimessa, l’appello, la visita, il controllo... Ma si parte, a Dio piacendo, e via di galoppo in mezzo alla campagna, col sole che vi arrostisce, il polverone che vi accieca, le groppe dei cavalli che nello sforzo del traino vi salutano a ripetizione di colubrina, e nella dolce compagnia – putacaso – d’una madama franciosa tutta cincischi, tutta cernecchi, crepitàcolo di chiacchiere con lo spruzzo, che viaggia con la scimmia e il pappagallo; d’un Tedesco che fuma come un Sultano
Çerta fèuggia de marocco
Ch’a l’aspûssa de merdocco
(E de quello vermentin!...);
d’un Lombardo ciccioso, bracalone, che stronfia e ridacchia sconocchiandosi pingui provviste di mortadella e piacentino; d’un Inglese stirato sulle quattro punte, accigliato, infastidito, scocciato, che va ruminando goddemme e lamenti:
Con scì bella compagnia
Chi no staiva in allegria?
Mi ve lascio conscideâ!
Che belliscimo viaggià!...
Chi dormiva, chi runfava,
Chi tombando pizaggiava,
Chi reûtava, chi tosciva,
Chi stranûava, chi s’arviva,
Chi sospiava, e con rispetto
Solfezzava o sospiretto...
Azzunzeighe a mûxichetta
De cagnette e da scimietta,
Che sbraggiavan affammæ
Pe-i zazûin no comandæ.
O fischiâ do pappagallo,
O nitrî ogni pö ûn cavallo.
A carrossa chi scrosciva,
(E mi ammiavo se a s’arviva)
O lucciâ de due chitare
Prüxe grosse comme giare,
O Sô in lion, mosche azenin-ne,
Tanti fiati a-o streito insemme
Donne, bestie, ommi, giastemme,
Mi n’aveivo e stacche pin-ne,
E se n’êa pe-a convenienza
Davo o vaso ä Diligenza,
E me-a favo sempre a pê
Comme fà patron Carcagno
Bon-nasêua cö so compagno;
Finalmente, lode a-o Çê,
Emmo dæto fondo a Nêuve
Che s’ëa giùsto misso a ciêuve,
Né a me parsa manco vëa
De levâme d’in galëa.
Chì ghe saiva da inciastrâ
Un-na risma de pappê
A voei tùtto ben contâ,
L’invexendo di foestê,
L’imbarasso, e l’impazienza,
Che gh’ëa l’atra Diligenza
Chi vegniva da Milan
Pe andâ a Zena all’indoman;
Quanto sciato, e che caladda
Fan due Diligenze in stradda!
No ve conto ûn-na fandonia,
Paiva un’atra Babilonia
Co-a burasca che s’ëa mísso
D’ægua, vento, lampi, troìn,
Gragnêua grossa, oh che pastisso!
E che armâ d’invexendoin!
Chi dixeíva “ja”, chi “oui”,
Chi sbraggiava “ies”, chi “scì”,
Chi montava, chi chinava
Con passâ sotto i cavalli,
Chi ûn fangotto rebellava,
Rattellando co-i camalli,.
A sentî Madamma criâ
A-e sò bestie: “vite”, “allons”, [presto, andiamo, n.d.r.]
“Mes enfants”, “mon perroquet...” [bambini miei, pappagallo mio, n.d.r.]
E rispondighe un garçon:
“Son qua mi lo perrucchê,
No s’arraggi, Sciô Monsù,
Che ghe a taggio in t’un momento”.
Da-o gran rie no poeívo ciù,
E de veddia co-a chitâra
Sciortî fêua, a paiva a bazâra. [Befana, n.d.r.]
VIGNETTA DELL’ANNO 1820
Questo quadretto di vita irresistibilmente brioso e dinamico, l’ho appunto trascritto da uno di quei libercoli nei quali si sbizzarriva la Musa casalinga del nostro massimo poeta dialettale Martin Piaggio, o sciô Regin-na, pseudonimo che gli rimase appiccicato come una camicia di Nesso. Essi furono il veicolo della sua inesauribile vena di motteggiatore, di censore, di cronista. E in quello dell’anno precedente (1828) i lettori del Lunario, con la tenue spesa di poche scagge [monete antiche genovesi che valevano due soldi, n.d.r.], avevano potuto bearsi alle avventure aeronautiche del Sciô Martin, che per divertirli s’era cimentato a un immaginario viaggio in pallone, da Genova ai Bagni d’Acqui:
Fæto o primmo mæ viaggetto
In te nûvee angosciosetto
Pe-a grand’aja c’ho collòu,
E pe-o freido remondòu,
C’un pittín de scagabuggia [paura, n.d.r.],
Perché ho visto a Lûn-na duggia,
Tûtte e stelle cheite in mâ
Lûxî o Sô sens’ascadâ
Son stracuòu [sono stato trasportato, n.d.r.] con l’ancoa e o pægua,
Ma per miacoo salvo e san
In t’ûn porto dov’é un’ægua
Che chi a tocca a peja a man,
E a chi a piggia refreidâ,
A no fà né ben, né mâ.
E chi incontra lassù, alle famose terme aleramiche? Tutto un campionario di umanità in riparazione accorsavi a chiedere panacea ad acciacchi d’ogni natura e gradazione, ch’egli guarda con l’occhio dell’umorista, affermando che, se il Tasso avesse ficcato quella gente nel suo Bosco incantato, persino Rinaldo, in vederla, se la sarebbe battuta:
Ommi, donne, figgiêu, fratti,
Prævi, muneghe, sordatti
D’ogni etæ, d’ogni nazion,
D’ogni stato e condizion,
E o se pêu a raxon ciammâ
Un brillante e triste Uspiâ
Pe-a stranezza de maottie
Che fan proprio cianze e rie.
Lì gh’é sempre societæ
D’ommi intreghi e retaggiæ,
E de donne belle e brûtte,
Ma coa camoa quæxi tûtte.
Vegi e zuveni che van
Tûtti a un moddo differente;
Chi ranghezza, chi va cian,
Chi fà fô, chi no se sente,
Chi va drito, chi sciarròu,
Chi va a lorsa, chi arrembòu,
Chi a sätetti, chi in gatton,
Chi co-e scrosue [stampelle, n.d.r.] , chi ha o baston.
Lazzù spunta dui a brassetto?...
Pän scappæ da-o cattaletto!
Là ghe n’é ûn chi è cô do cöu
Chi va in caraghetta d’öu:
Questo o portan in spalletta
Tûtto ascôso in ta berretta,
Quello o l’ha e gambe cö trillo,
L’atro o schitta comme un grillo;
Chi va redeno e instecchîo
Chi chinòu, chi arrensenio;
Chi è mezz’orbo, strambo [strabico, n.d.r.], o guerso,
Chi ha e bertelle de traverso.
ANNO 1830
Così, dal 1815 al 1843, ogni anno che spunta offre al nostro poeta l’opportunità di consegnare ai torchi – sull’esempio di Schiller e di Goethe – le sue estrose filastrocche non sempre informate alla fantasia pura, ma il più sovente ispirate a finalità didattiche o a scopi di evoluzione cittadina in tema di viabilità, di edilizia, di estetica, di profilassi. Il castigat ridendo mores è la sua divisa; ma le sue tirate non dànno l’idea della stoccata; hanno piuttosto l’importanza del buffetto sulla gota e del colpetto sulla pancia, di chi vuole sgonfiar vesciche o far rientrare rotondità boriose, senza peraltro levar le berze [calcagni, n.d.r.] o lasciare traccie di ecchimosi a chicchessia. Non l’individuo da ferire ha davanti a sé l’Esopo genovese quando stabilisce paralleli e tira conclusioni dalle sue favolette; ma l’umanità claudicante come il Diavolo Zoppo a cui bisognava massaggiare muscoli e nervi, non già stroncare gli arti infelici. Di certo i contemporanei, ai quali era ben nota la bonomia del poeta, che in foglietti manoscritti aveva già dispensato, senza economia, poesie e poesiole d’ogni risma e tenore; di certo devono aver atteso come un dono di pan pepato la pubblicazione del primo Lunario che Martin Piaggio, travestito da Scio Regin-na, (una macchietta genovese diventato maschera sul teatrino dell’ex chiesa di S. Paolo in Campetto, dopo essere stato nella vita un berteggiatore [schernitore, n.d.r.] crapulone) faceva precedere da questo sonetto-programma:
L’é duï anni che fan o bûrattin
Da mæ personn-a ai Teatri per fâ rie;
Me ficcan dappertùtto co-e poexìe
Per fâ o Puriscinella e l’Arlecchin.
Primma m’han rotto o collo a son de vin,
Son chi ä Foxe coi osse impûtridïe:
N’ho mai çercòu nisciùn!... me çercan mie?
L’é giûsto che me vendiche ûn pittin.
Sciscignore!... a l’é dita; êuggio stampâ,
Un Lûnaietto apposta con de “Foette”,
M’êuggio mi ascì a-e sò spalle ûn pö demoâ:
Fö mette ûn avviso in te gazzette,
E per despëto ô vêuggio regalâ,
De badda a chi spendiâ dozze scaggette.
ANNO 1833
In verità che, nel dare alla luce il suo annuale opuscoletto, cui fu culla la tipografia di Paolo Scionico e carriêu [girello, n.d.r.] quella dei Fratelli Pagano, il Piaggio si proponeva ben altra mira che non quella di solleticare i suoi lettori sotto le ascelle.
Mettere il dito dov’erano piaghe cittadine, questo egli voleva; applicare cataplasmi, fossero pur cosparsi di causticissima senape, dove c’erano bubboni da purgare: nella famiglia e nella pubblica cosa. In altri termini, tener vivo il fuoco delle buone tradizioni paesane e domestiche; promuovere l’amore alla patria terra; spronare o infrenare, a seconda dei casi i padri coscritti [senatori dell’antica Roma, n.d.r.] additando loro, mediante l’esercizio della libera critica, il bene comunale da promuovere e il male da estirpare. Né si rivolgeva ad essi direttamente, il peripatetico brontolone; ma, seguendo il dettame del ligure adagio: diggo a ti sêuxoa perché t’intendi ti nêua, s’era foggiata una ipotetica comare in Cattainetta, rivendugliola di noccioline ai crocevia, nel cui capace seno egli versava la piena dei giòliti [lieti riposi, n.d.r.] e delle amarezze della Musa vernacola:
Ghe sei stæta Cattainin
In sciâ Ciasasa là dä Posta?...
Presto andæghe ûn pittinin
E piggiæ magära a posta,
Che veddiei che travaggin
Che g’han fæto ben ideòu,
Da per tûtto lastregòu
Con disegni ä biscocchin-na;
No gh’é ciù de monta e chin-na,
Passeggiæ a vostro piaxei,
Sei a sosto de grondan-ne,
Che se, a Ciassa de “Fontan-ne”
Ciù ciammäla no poriei
Porrieì dighe di “Fossoei”,
Che da-o “Culisseo” Negron
Mi me pâ che gh’aggian bon.
Ma do resto, ca-a Comâ
Mi no parlo per livô,
Ma per zelo, e patrio amô;
Né pretendo scindicâ;
Coscì avessan rimediòu
A-e “Facciate”... che peccòu !
De lasciâ l’imbuccatûa
Do straddon “Carlo Feliçe”
Coscì misera, e infeliçe
Senza ûn pô d’architettûa!...
Da ogni parte che ve giæ
No veddei che Lûxernæ,
Tanabêuzi [bugigattoli, n.d.r.], Barconetti,
Fûmmajêu, Teiti, e Teitetti
Che ve fan proprio patî.
No ghe vêu miga ûn mjon
Per levâ sto preboggion
Comâ caa, cose ne dï?
“G’han a peixe ae parpaggíéue! [lo stesso che “scagge”, n.d.r.]”
Brava!... Dæme due nissêue.
Sei mai stæta a passegiâ
Lazzù verso San Teodöu?...
Mi ghe vaddo e me resciöu
De piggiâ l’aja de mâ;
Oh che vista sorprendente!
Da Cittæ e de tûtto o Porto!
Gh’é ûn continuo andâ de gente
(E de votte qualche morto!...)
Che se a fusse ben tegnûa,
Anacquâ e un pö ciù allunghïa,
A vegnieiva sciù bell’äta,
Sempre a l’ombra se passieiva,
E ciammâ allôa se porrieiva
Con raxon sta Passeggiata
“Deliziosa, varia e amena”
E gh’andieiva tûtto Zena
Ancon ciù che all’Accassêua...
Diggo ben? o diggo mâ?
Se no diggo ben, Comâ,
Dæme solo ûn-na nissêua.
Ma, v’avverto, se g’andæ
D’in Fossëlo no passæ.
Perché a stradda a l’é tappâ
Da di Banchi de Mersâ,
Da Corbon-ne de Terraggia,
Da Chinette de Limoìn,
Da Montagne de Meloìn,
Da Buzzûmmi [frutta acerba, n.d.r.] pe-a Canaggia,
E atri imbrummi [ingombri, n.d.r.] senza fin;
Ghe fan tûtti lì a sò tappa,
Gh’é ciù pesci che n’é in Ciappa.
Frûta, funzi, êuve, verdûa,
No se pêu passâ a drittûa.
Oh che brûtta tolleranza,
Vergognôsa pe-a Çittæ!
E che erroî de concordanza!
No se fan manco nee schêue...
Dæme ûn callao de nissêue [tre nocciole messe a triangolo, con una quarta sopra, n.d.r.].
Me dixeiva mæ Meziavo
Che voi Donne, Cattainin,
Ne sei un-na ciù che o diavo;
Dìme dunque ûn pittinin,
Che o saviei, perché raxon
Lascian stâ sempre in Çittæ
Tanti pöveì non nostræ,
E stroppiæ che fan ghignon [avversione, n.d.r.]?
E perché no son bandii
E a-i sò Paixi fæti andâ?...
Avanzieivan de levâ
Quelle poche parpaggiêue
A-i nostræ... Comâ? nissêue.
. . . . . . . . . . . .
Quello fûmme? che fortô!
Che negressa! e che spessô!
Tûtte e case o fa vegnî
Neigre comme i fûmmajêu,
Lonxi ûn miggio ve sentî
Palpitâ e mancâve o coêu,
Un-na cosa chi fà orrô!
Me pä d’ëse in sciû vapô,
E poi dixan che se meue!...
Dæme presto due nissêue.
E quelli atri caruggin,
D’immondizie sempre pin,
E che mai nisciùn ghe spassa?
Oh che spûssa maledetta!
A l’é tanta pæsta sccietta!
E poi dixan che se mêue!
Dæme torna due nissêue!
E quell’atra spassatûa.
In te stradde da Çittæ?
Figgi cai, che precisûa,
No pàn stæte mai spassæ,
Comâ caa, cose ne dî?
Piggian çerti professoî
Che de “netto” no s’intendan,
Coscì san dove piggiâla...
Ma ghe n’é proprio da rie?...
Due nissêue, ma brûstolie.
E... ma basta..., addio, Comâ,
Allûghæ tûtte e nissêue,
Che servian pe ûn’atra votta,
Dunque strenzo troppo a scotta
Stæme allegra, Cattainotta.
ANNO 1834
E il trionfale epicedio [canto funebre, n.d.r.] sulla fine delle grondaie ch’erano la sua ossessione, il segnacolo in vessillo dei suoi non sempre inascoltati “mugugni”? Eccolo:
Addio, Grondan-ne, addio!... vatte a negâ,
Stillicidio de Zena giastemmòu!
Che per fâte da-i teiti disertä.
Me ghe son per dex’anni spolmonòu,
Addio!... coscì porriö ûn pö passeggiâ,
Lûxindo o Sô, sens’ëse ciù bagnòu;
Addio!... porriö coscì o pægua serrâ,
Finïo de ciêuve e doppo avei nevòu;
Addio!... che sotto i “toæ” [tettoie, n.d.r.] ciù no passiö,
Tante “mostre” de fêua veddiö retiæ,
Né a-e bûttëghe all’“orbetto” ciù accattiö;
Addio Peschee, Barchî, Fontan-ne! andæ,
Passa o tempo, v’aggueito, e ve scorriö
Fin tanto che ne sei tûtte scentæ.
Ma il Lunario, alla guisa di tutti gli altri almanacchi d’allora e di poi, era fatto di cento altre quisquilie: aneddoti, massime, sentenze, indovinelli, e, per ogni mese, le sue brave previsioni meteorologiche e mondane, dove il vago ed innocuo pettegolezzo veniva condito di sali più o meno attici [arguzie, motti di spirito, n.d.r.]:
“È questo il mese (gennaio del 1828) più allegro per i disperati e il più tristo per chi ha denari e famiglia e dipendenti... e relazioni galanti. Gli uni danno e gli altri ricevono. Guai a voi, o avari! Quante pillole amare da trangugiare! Oh vi son pur delle mance di cui non potete far a meno. La noja delle visite va crescendo. I buoni augurj, le proteste di servitù, di amicizia, a fior di labbra più che mai. Il carnevale si annunzia bene. I balli pubblici saranno però più allegri de’ festini privati. Gran progetti di mascherate. Le vecchie, di solito, ameranno travestirsi da giovani e “vice versa”. Mariti all’erta! Due vedovelle offriranno materia alle ciarle de’ maligni... e i maligni daran nel segno. Disperazioni e pazzie d’una moglie golosa. Vedrà la luce una nuova commedia che farà furore. Avrà per titolo la “Cronaca Scandalosa”. Freddo e ghiaccio straordinario: il termometro sotto zero. Scoperta di nuove piramidi. Incendio di un teatro. “Virtuosi” ben pagati... e fischiati”.
E sotto il suo bravo epigramma, come questo:
Quattro cose assai modeste:
Guerra, peste... fame... e bile
Letteraria e femminile.
Per gli altri mesi di quello stesso anno si pronosticava, fra l’altro: l’introduzione dell’uso che le donne facessero la barba agli uomini; la comparsa d’una balena e due sirene nel Mediterraneo; l’eruzione (facciamo a buon conto gli scongiuri di rito) d’un nuovo vulcano; la risurrezione dei cavalieri (quelle gioie!) serventi; la verificazione e ispezione sui pesi e le misure (o avevano già a quell’epoca, i nostri graziosi bottegai, la cara abitudine di scamotare [eludere, n.d.r.]?); un grave concistoro e discussione animata sui mezzi di ravvivare la pubblica curiosità e ripopolare (di già! di già) il teatro; una rispettosa petizione di chi paga per sedere e vedere dalla platea, contro gli enormi cappelli femminili che lo impediscono; una tregua di Dio fra Classici e Romantici, grazie a un buttero rimasto sull’occhio destro della settima figlia di un capopartito; il suggerimento ai bottegai di cancellare (cose vecchie!) le iscrizioni francesi ed inglesi sulle porte de’ lor magazzini, perché si considera quanto in una città italiana, sarebbe conveniente di usare la nostra lingua che vale pur qualche cosa, e quanto disonori una piacenteria mal intesa verso de’ forestieri; un diluvio di poesie (oh fatalità dei ricorsi storici!) mistico-trascendentali seguito da osservazioni sull’inutilità della logica e della grammatica, e (udite! udite!) una forte imposizione sui celibatarj.
ANNO 1835
Per un centinaio d’anni ancora, invece, l’acqua doveva scorrere sotto i ponti, prima che soddisfazione fosse data all’ultimo postulato del Lunario reginiano; di codesto libriccino dalle paginette ruvide e oramai ingiallite, che ad ogni nuovo anno i nostri bisavoli aspettavano come la più ghiotta delle strenne, trovandoci di che passare allegramente le ore della veglia invernale, nella cerchia della famiglia radunata davanti al caminetto aristocratico o attorno all’umile braxëa.
Nella stanza, dove la luce fioca della lumeretta creava ombre gigantesche, ad ogni poco il lettore dava il segnale della risata, e ad essa faceva eco immediato uno scroscio d’altre risa su tutti i registri. Ma i vicini di casa potevano dormire sonni tranquilli, ché i muri divisorii avevano lo spessore di qualche spanna e i rumori morivano lì. Poi è venuta, purtroppo, la moda dei mattoni a coltello; e sono venuti il fonografo, la radio, l’iradiddio dei rompiscatole internazionali. Eh, ne leggeremmo delle belle se fosse ancora concesso di metter penna sulla carta al vecchio borghese che da quasi cento anni dorme il Sonno eterno nella chiesa dei Cappuccini,
Che visse con gran stento
Pe-a famiggia e per l’önô
Ma chi é morto assæ contento
Confidando ne-o Segnô.
Poiché egli, come fu amantissimo della domestica quiete, ebbe una vera fobia per gli assordanti rumori della strada.
Basta, a sincerarsene, scorrere i volumetti del suo Lunario, rivista d’un trentennio di vita genovese, denso dell’ingenuo folclore di un secolo addietro, da cui, leggendo, ci sentiamo fasciati come da un alone di patriarcale nostalgia.
Ora io me lo contemplo, questo nostro mediatore-poeta, nella fotoincisione che precede l’opera omnia, con quel suo visetto scortato da scopettoni denutriti; gli occhietti che sembrano, anche nel ritratto, irrequieti come due pulci in libera uscita; il collo solidamente protetto dal muro delle lattughe e dall’antemurale del bavero a forte altimetria. Dalla sua fisionomia traspare con evidenza pure il suo mondo interiore: la signorilità, la placidezza, l’arguzia, la ghiottoneria e, sopratutto, la coscienza a posto: cattolico militante ma non bacchettone; strettamente osservante del digiuno nelle vigilie comandate e, a suo tempo, sibarita da refettori frateschi; patriotta immune da tabe politica; mentore senza pedanteria; satirico senza veleno da acidi urici; il quale sapeva abilmente comportarsi col guardinfante del pari che con la tonaca, col pescecane di Banchi egualmente che col bozzolaro. Quanto al resto, fin troppo ossequiente all’imperativo categorico del crescite et multiplicamini, ché la sua collaborazione con Teresa Bianchi, arricchì la casata di ben undici esemplari, dei quali fece poi larga concessione al velo e alla cocolla [abito monastico, n.d.r.]. Il suo cospicuo contributo alla demografia non era tuttavia sufficiente per farlo ammettere a fruire di certe franchigie che allora il R. Governo accordava a chi aveva raggiunto la dozzina di figlioli. Ed ecco, in proposito, una sua supplica a Re Carlo Felice, al fine d’essere abilitato al godimento del sospirato beneficio:
Sacra reale Maestæ,
Ciù no pêu sperâ sto poæ
D’arrivâ a compì a dozzenn-a
Perché o passa a çinquantenn-a
E de ciù ûn brasso stroppiòu
Perché rotto, e mâ cûrou,
Chi o tormenta nêutte e giorno,
Né o pêu dâse ciù d’attorno
Comme primma e galoppâ
Da onest’ommo, e fâ o sensä:
Gran disgrazia chi o roziggia,
E fatale pe-a famiggia.
Ah! Maestæ, che sei ciammòu
Poæ do popolo, e adoròu,
Che ne-o nostro chêu regnæ,
Exaudî questo bon poæ,
Consûltæ o vostro gran chêu,
Fæghe grazia d’ûn figgiêu
Che da-o Çê ve benedixe,
Consolælo co-e “franchixe”
Che, vegnûo meno infelice,
O preghiä l’Onnipotente
Co a famiggia eternamente
Pe-o bon Re Carlo Felice
Che a nisciún mai grazie nega.
Altrettanto castigato nel discorso che nobile nel sentire, Martin Piaggio era puranco lesto a ripagare di moneta grossa qualche lingua sbardellata. Sicché a me è sempre piaciuto identificarlo con quel personaggio d’un suo sonetto, il quale, avendo pestato incautamente i calli a una virago da verziere e sentendosi da questa, inviperita, dar della capra:
No son crava (o ghe rispose)
Ma scommetto mêzo scûo,
Che se foîse vostro maio
Sæivo becco de segûo.
MARTIN PIAGGIO (da Wikipedia, n.d.r.)