L’ Angolo della Qualità
L'Angolo Della Qualità
I FORMAGGI DE IL FIORINO PROTAGONISTI DAL 10 AL 12 AL TASTE TOUR
Da sabato 10 a lunedì 12 marzo, il Caseificio maremmano sarà alla Leopolda nella sezione Taste Tour I formaggi de Il Fiorino tornano protagonisti al Taste di Firenze.
Le eccellenze del caseificio Il Fiorino si preparano a conquistare il Taste di Firenze. Da sabato 10 a lunedì 12 marzo, l’edizione 2018 del salone dedicato all’alta gastronomia e al foodlifestyle, in programma alla Stazione Leopolda avrà tra i protagonisti anche l’azienda maremmana, che presenterà i suoi formaggi. Una vera e propria kermesse del gusto quella fiorentina, che vedrà partecipare 400 imprese e operatori del settore dal panorama nazionale e internazionale.
A Taste arriva il Pecorino aromatizzato al Pesto. Nella prestigiosa cornice di Taste, inoltre, sarà presentata la collaborazione tra Il Fiorino e Pesto Rossi, azienda genovese che, dal 1947, è specializzata nella produzione e vendita di prodotti gastronomici di alta qualità. Da questa partnership sono nati due prodotti pensati per le tavole dei gourmet di tutto il mondo: il Pesto Rossi al pecorino Riserva del Fondatore e il Pecorino aromatizzato al Pesto Rossi, maturato in cella per almeno 30 giorni e dal sapore morbido e ben equilibrato.
Taste, dove trovare Il Fiorino. Le eccellenze del Caseificio maremmano potranno essere gustate alla Leopolda nella sezione Taste Tour, allo stand A/43. Per gli amanti del formaggio targato “Il Fiorino”, Taste sarà l’occasione per assaporare alcuni dei prodotti che, nel 2017, hanno conquistato i più importanti premi a livello internazionale: dalla Riserva del Fondatore a il Cacio Caterina, dal Tesoro di Giove al Fior di Natura semi stagionato biologico con caglio vegetale, dalla Grotta del Fiorino al Pecorino Toscano Dop stagionato a latte crudo fino al Fior di Maggengo. Sono solo alcune delle eccellenze che hanno portato il Caseificio maremmano nell’ ‘olimpo’ dei migliori formaggi del mondo.
Ufficio stampa Caseificio Il Fiorino
Lisa Cresti
TRENT’ANNI DI VIGNE VECCHIE, LA LUNGA VITA DELLA BARBERA D’ASTI
Di Luciano Scarzello
Grande successo della storica verticale
organizzata dalla Cantina Vinchio – Vaglio Serra, in una giornata interamente dedicata al suo miglior vino.
La Barbera o il Barbera? Da anni si discute se uno dei più noti e antichi vini del Piemonte (ma presente, ad esempio, anche nell’Oltrepò pavese e nel Piacentino) sia “maschile” o “femminile” e alla fine si è deciso per questa seconda definizione. Del resto si è sempre chiamata così. Culla per eccellenza della Barbera è l’astigiano che alcuni anni fa ha visto il riconoscimento della docg. Un vino molto apprezzato, impegnativo, diciamo quasi “Da meditazione” come il Barolo docg pur non possedendone proprio lo stesso impatto anche mediatico e le stesse caratteristiche. Specie se si tratta di “Vigne vecchie”, la produzione per eccellenza della Cantina cooperativa di Vinchio Vaglio nel territorio di Nizza Monferrato terra della “Bagna caòda” in autunno che in abbinamento alla Barbera ha dato origine ad un fantastico connubio.
Ispirato dal grande enologo Giuliano Noè, uno dei padri della Barbera, il “Vigne vecchie” è frutto delle uve raccolte in vigneti con oltre 50 anni di vita. Nel corso di una manifestazione svoltasi proprio nella sede della Cantina sono state degustate bottiglie di “Vigne vecchie” di 9 annate a partire dal 1987 e tutte accomunate da una stupefacente longevità. È questa la caratteristica evidenziata da giornalisti nazionali ed esteri, esperti di marketing e comuni amanti del buon bere che han fatto ressa al banco di degustazione.
“Oltre alla grande soddisfazione per i risultati della degustazione – afferma il Presidente della Cantina, Lorenzo Giordano – questa giornata è stata importante poiché ci ha offerto fondamentali spunti di riflessione. Il grande panel delle persone presenti, in primis giornalisti del settore, oltre a certificare la qualità del nostro vino, la sua grande longevità e le sue potenzialità, ci ha consentito anche di analizzare i principali mercati a cui il nostro Vigne Vecchie si rivolge”.
Dello stesso parere i curatori delle guide presenti, Antonio Paolini (de “L’Espresso”) , Gianni Fabrizio, Paolo Massobrio e Fabrizio Gallino, sulla longevità del ‘Vigne Vecchie’: “Le annate in degustazione hanno mostrato una grande una indiscutibile attitudine all’invecchiamento. È giunto il momento di considerare la Barbera d’Asti alla stregua dei principali vini italiani. Grande è dunque la versatilità di questo vino, in grado di collocarsi nel novero dei principali vitigni”. Opinione questa condivisa anche da Alfonso Cevola, curatore del blog On the Wine Trail in Italy e grande conoscitore del mercato statunitense. “Oltre ad essere personalmente entusiasta di questa degustazione – ha detto - ritengo che ‘Vigne Vecchie’ possa diventare un brand vincente nel mercato americano. La grande bevibilità e piacevolezza della barbera d’Asti, si sposano perfettamente con le attese dei wine lovers statunitensi, sempre più alla ricerca di esperienze organolettiche alternative”. “La Barbera – aggiunge il presidente del Consorzio di Tutela Filippo Mobrici – deve acquistare una importanza sempre maggiore e curare costantemente la qualità. La crescita di interesse sui mercati internazionali dimostra che abbiamo ancora molto spazio”. La Cantina di Vinchio è nata nel 1959 ed è un’importante realtà dell’astigiano. Oltre alla Barbera produce altri noti vini tra cui Grignolino, Freisa, nebbiolo, Bonarda, Brachetto e il Ruchè.
GOLOSITA' A MONTEBRUNO
Lo storico palazzo che ospita l'antico forno
Di Virgilio Pronzati
Per chi ama la quiete, la campagna, pane e dolci di straordinaria bontà, basta percorrere la statale 45 della Val Trebbia e raggiungere il piccolo comune di Montebruno. Il tutto a circa tre quarti d’ora da Genova. Montebruno, conosciuto sin dall’antichità col toponimo Castrum Montisbruni, è uno dei più piccoli comuni liguri contando appena 240 abitanti di cui circa cento nel nucleo comunale e il resto suddivisi in ben sette frazioni. Se nel passato era frequentato da contadini, mercanti, monaci e truppe delle ricche e potenti famiglie dei Malaspina, Fieschi e Doria che dovevano raggiungere Piacenza, oggi è la meta per gite e scampagnate fuori porta dei gourmet genovesi.
Una parte del locale
Oltre un ristorante, la farmacia e altri necessari esercizi, spicca l’Antico forno a legna Da Carlo, dove pane e dolci lievitati sono prodotti rigorosamente con il lievito madre e, non meno importante, cotti in forno a legna. Questo locale ha una storia antica. Se Montebruno fu eretto comune nel 1881, il forno risale al lontano 1886. A crearlo fu Davide Barbieri bisnonno dell’attuale proprietario Carlo, che lo gestisce con la moglie Ida e il figlio Davide, fratello di Luca e Pietro. Con quest’ultimi, la famiglia Barbieri giunge alla terza generazione. Carlo, innamorato del suo lavoro, è l’esempio di come la tradizione si coniuga con l’innovazione. Ossia la creazione di nuovi prodotti realizzati con ingredienti di altissima qualità (in certi casi Bio), caratterizzati da foggie, colori e aromi, ma cotti da sempre in forno a legna.
L’antico forno a legna
Da ormai tanti anni Orazio, lo zio di Carlo da inizio al rito quotidiano, scaldando il forno ogni sera. A riaccenderlo alle prime ore dell’alba tocca al patron Carlo, che prosegue con l’utilizzo dei panini di burro preparati la sera prima, e l’accurata copertura dell’impasto che sta lievitando con sottili panni di lino. Ecco la giornata di lavoro raccontata da Carlo: < La lavorazione dei nostri dolci lievitati inizia con la preparazione del lievito madre al mattino intorno alle 6.00. Dopo un’ora si fa il primo rinfresco con acqua e farina, si lascia riposare tre ore al caldo e si ripete l’operazione per tre volte.
I Baci di Montebruno
Nel tardo pomeriggio, il lievito madre è pronto per il primo impasto. Questa fase richiede circa un’ora di lavorazione perché gli ingredienti sono messi uno per volta per amalgamarsi molto bene tra loro. Nel caso del panettone quattro stagioni, occorrono circa 20 ore di riposo prima di poter fare il secondo impasto. Servirà un’altra ora per aggiungere farina, burro, uova, zucchero e frutta candita e portare a termine l’impasto. Quest’ultimo è diviso in 4 parti e vi si aggiunge un ripieno per ogni stagione: amarene per la primavera, albicocca per l’estate, marroni per l’autunno, cioccolato per l’ inverno >.
Il Panettone 4 stagioni
<Per gli ingredienti dei dolci lievitati - continua Carlo - abbiamo scelto una farina di grano nazionale macinata a pietra del molino Dallagiovanna che mantiene tutte le proprietà nutrizionali del grano; non contiene additivi ed è in grado di resistere ai lunghi impasti e alla tante ore di lievitazione. Il burro scelto è di pura panna fresca proveniente da latte di prima qualità. Il tuorlo d’uovo proviene da galline allevate a terra. Nessuno dei nostri lievitati contengono coloranti, conservanti o monodigliceridi. Hanno una durata di circa 60 giorni e essere conservati in un luogo asciutto e possibilmente al buio>.
Il Filoncino dolce di Montebruno
La filosofia produttiva di Carlo e Ida è apparentemente semplice ma rigorosa. Solo materie prime di alta qualità di produttori artigianali, possibilmente del territorio e bio. Due parole sul lievito madre: più digeribile rispetto al lievito di birra ed è più sano. E’ un impasto fermentato in cui si sviluppano batteri e fermenti lattici che, producendo anidride carbonica, favoriscono la lievitazione naturale. Non solo: sia i dolci che il pane hanno una maggiore durata, esprimendo esclusivi profumi e sapori.
Ida e Carlo Barbieri all’Expo Fontanabuona
Pani leggeri e fragranti e dolci irrinunciabili. Il filoncino salato è semplicemente squisito. Una specialità davvero unica: lavorato ancora con le regole artigianali di una volta. Lo stesso per la Micca di Montebruno e la mitica Focaccia Genovese con l’olio.
Ecco un piccolo elenco delle specialità create giornalmente da Ida e Carlo. Il Bacio di Montebruno, nato negli anni ’80 aggiungendo le nocciole Piemonte IGP alla ricetta della pasta frolla della nonna Il giorno seguente aggiungiamo le nocciole Piemonte e cominciamo la lavorazione. Una volta cotti e raffreddati sono uniti a mano con una crema alla nocciola e confezionati.
Le Sophie di Montebruno (di vari tipi) di cui vertice quelle al cioccolato e scorzetta di arancia. Il nome è un omaggio a Sophie Blanchard, la prima donna aeronauta professionista, la quale durante un'ascensione in mongolfiera fu spinta dalle correnti fino a Montebruno, in Valtrebbia, dove atterrò. Gli ingredienti utilizzati per le Sophie sono farina, burro di crema di latte, uova selezionate da galline allevate a terra e l'aroma distintivo per ogni sophia: caffè, cocco, cioccolato o variazioni di cereali.
La famiglia Barbieri
I Canestrelli di Montebruno, fatti con pasta frolla (che assieme alle “negie”, ossia le cialde, erano gli unici dolci di strada venduti a Genova nel Medioevo). L’impasto della pasta frolla viene fatto un giorno prima per permettere alla stessa di riposare e farle perdere elasticità. Una volta cotti e raffreddati sono uniti a mano con una crema alla nocciola e confezionati. Tre autentiche golosità: chi le assaggia, rischia di diventarne dipendente! Curiosità. Un affezionato cliente ha scritto: Essere a Montebruno è non fermarsi da Carlo, è come passare da Piazza Duomo a Milano senza voltarsi.
Poi le soffici Brioches sempre con lievito madre, il Pandolce Classico Genovese e quello Antica Genova, entrambi emblemi di Genova, i rari Canestrellini di castagne di Montebruno e tanti altri.
Tornando al pane e ai dolci, gran parte di questi, stanno meritatamente per ricevere la De. Co. Il dinamico e giovane sindaco di Montebruno Mirko Bardini, è al lavoro per far ottenere il riconoscimento dei prodotti da forno dolci e salati e altre peculiarità di Montebruno. I prodotti segnalati per la De. Co.: Dolci: Canestrelli di Montebruno, Baci di Montebruno, Canestrellini di castagne di Montebruno e Sophie al cioccolato e arancia. Salati: Micca di Montebruno e Filone di Montebruno Entrambi col lievito madre. Da Carlo oltre a vari tipi di cioccolato, conserve, pasta e riso, vini e liquori, ci sono formaggi e salumi di aziende che operano sul territorio da anni.
Antico forno a legna da Carlo - Via G. Barbieri, 41 - Montebruno (Genova) - Tel.
010/95038 - 347/066749 - idaQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.l.com - www.anticofornoalegna.i
CHIN'ORO TAVIAN
Di Virgilio Pronzati
Antico Frantoio Tavian di Druetti Milko & C. sas - Via Vezzi 16 - 17047 Vado Ligure (SV) - Tel. 019.888167 - Cell. 349.7369110 - www.frantoiotavian.it
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
CHIN'ORO
Estratto di olive e chinotto di Savona
Condimento di qualità, ottenuto frangendo contemporaneamente olive taggiasche e chinotto di Savona Presidio Slow Food, con spremitura a freddo con sistema tradizionale. Il numero di bottiglie prodotte varia fortemente in base alle campagne olivicola e di produzione dei chinotti. Nell'ultima stagione la produzione è stata di circa 2.500 bottiglie da 250 ml. Lotto: 081216 - Scadenza: 02 giugno 2019.
La conservazione del CHIN’ORO è fatta in contenitori di acciao inox in ambiente e temperatura controllata a 15-18°C. Prezzo al frantoio: € 11,00 comprensivo di IVA. In commercio, enoteche e gastronomie, € 16,00. E’ presente anche in confezione regalo con astuccio e cofanetto.
Esame organolettico: All’aspetto è limpido, di colore giallo oro vivo con lievissimi riflessi verdolini. All’olfatto è abbastanza intenso e persistente, molto fine, con netti sentori di fiori d’arancio un po’ appassiti, buccia di chinotto e limone, pasta d’olive e melissa. Al sapore è all’inizio tendente al dolce, mentre nel finale è piacevolmente amarognolo. Sapido e appena piccante, pieno, persistente e di buona armonia. Retrogusto: mandorla quasi fresca e chinotto.
Abbinamento gastronomico: insalate vegetali, pesce spada marinato, salmone affumicato, tartare di pesce e di crostacei, crostini con bottarga, pasta con le sarde, minestra d’acciughe, risotto con frutti di mare, orata e occhiata al vapore. Ideale per aromatizzare grissini, maionese, pasta frolla, e dolci come torte, panettone, pandoro, gelato e cioccolato.
L’INCONFONDIBILE BOTTIGLIA SUAVIA: UN’ICONA DI STILE PER RACCHIUDERE L’ESSENZA DEL SOAVE
“Quando la forma parla di territorio”
In un mondo in cui il design racconta sempre di più l’identità di un prodotto, Suavia si distingue con una scelta che unisce radici storiche e modernità. La cantina, che risiede nell’area del Soave Classico, presenta il suo packaging distintivo, adottato per tutte le sue bottiglie, un simbolo che celebra la tradizione contadina veneta attraverso un’interpretazione innovativa, capace di raccontare il vino e il territorio già a prima vista.
“La nostra bottiglia – raccontano le sorelle Tessari, oggi a capo dell’azienda - nasce come un omaggio al fiasco tradizionale veneto, quel simbolo intramontabile di convivialità autentica e spontanea che un tempo accompagnava il vino quotidiano sulle tavole di famiglia. La sua forma, così unica e riconoscibile, non è solo un legame affettuoso con le nostre radici, ma un messaggio visivo di cura e unicità, che invita chi la sceglie a scoprire qualcosa di speciale. È una bottiglia che si distingue, che parla al cuore prima ancora che al calice, rendendo ogni esperienza indimenticabile fin dal primo sguardo.”
A impreziosire questa scelta di design è l’etichetta, che abbandona lo schema tradizionale di due parti separate per diventare un unico foglio di carta avvolto elegantemente attorno alla bottiglia. Questa soluzione, tanto semplice quanto originale, racconta la filosofia di Suavia: unire tradizione, cura artigianale e ricerca estetica per dare al vino una veste che ne rifletta il valore intrinseco e lo renda immediatamente riconoscibile.
L’innovazione del packaging si completa con il tappo a vite, un elemento che combina funzionalità, sostenibilità e modernità. Spesso sottovalutato, il tappo a vite garantisce la perfetta conservazione del vino, preservandone le caratteristiche e permettendo un’evoluzione ottimale anche dopo lunghi affinamenti. Realizzato interamente in alluminio, è completamente riciclabile, a dimostrazione dell’attenzione di Suavia per un approccio responsabile e rispettoso dell’ambiente.
Ma c’è una novità che rende il packaging di Suavia ancora più sostenibile. La cantina ha recentemente alleggerito il modello della bottiglia, riducendone il peso da 650 grammi a 500 grammi. Questa scelta non è solo tecnica, ma fortemente legata alla filosofia di tutela ambientale che ispira da sempre l’azienda. “Un peso minore implica un impatto significativo sull’intera filiera: meno emissioni durante il trasporto su gomma, una riduzione dei costi produttivi e, soprattutto, un minore utilizzo di materie prime, contribuendo a ridurre l’impronta ambientale complessiva. Siamo convinte che ogni passo verso la sostenibilità conti, anche nelle scelte che sembrano più piccole,” affermano Alessandra, Meri e Valentina Tessari, sottolineando l’impegno costante per un futuro sempre più responsabile.
Questo packaging accompagna tutte le bottiglie firmate Suavia, dall’iconico Soave Classico alle etichette più esclusive, diventando un elemento distintivo che comunica l’essenza della cantina e il suo legame con il territorio. La forma innovativa della bottiglia, unita all’unicità dell’etichetta e alla modernità del tappo, riflette l’identità di Suavia: una cantina che si distingue per la capacità di coniugare passato e futuro, artigianalità e innovazione, tradizione e sostenibilità.
In vista delle festività, questa scelta diventa un’occasione per celebrare non solo il vino, ma anche il racconto che lo accompagna. La bottiglia Suavia, con il suo design elegante e il suo contenuto di eccellenza, si presenta come un regalo perfetto per chi cerca un’esperienza che va oltre la degustazione, racchiudendo in ogni calice il valore del tempo, della terra e della cura artigianale. Suavia dimostra, ancora una volta, che ogni dettaglio conta, e che il vino non è solo un prodotto, ma una storia che si può leggere anche attraverso la sua forma.
Silvia Comarella |
IL VINO DELL’ESTATE È ALTOATESINO. TUTTI SANNO DIRE “VINO”. POCHI RIESCONO A DIRE GEWÜRZTRAMINER
L’estate è arrivata e, dall’aperitivo in riva al mare, passando per le cene con cucina fusion fino al barbecue in giardino, ecco che arriva il momento di stappare un Gewürztraminer che, con la sua freschezza e la sua aromaticità, si candida a diventare il protagonista assoluto della bella stagione.
Profumi inebrianti e un gusto ricco: rose, litchi, frutti tropicali fanno parte del ventaglio di aromi che questo vino regala al naso, a cui si uniscono piacevoli note speziate, come i chiodi di garofano, accompagnate da una struttura generosa e morbida, bilanciata da una freschezza croccante che lo rende piacevole e mai stucchevole. Da buon vino versatile quale è, si adatta a diverse occasioni: ottimo come aperitivo per stuzzicare l’appetito, si esalta anche con primi piatti elaborati e secondi di pesce o carne bianca. Non teme i sapori decisi e si sposa perfettamente con la cucina libanese, israeliana e mediorientale, fino ad avventurarsi negli accostamenti più audaci con sushi e ricette cinesi.
Proprio la popolarità crescente di cucine etniche e sapori speziati sta aprendo nuove interessanti prospettive per il Gewürztraminer ma forse non tutti sanno che la sua storia affonda le radici nel V secolo a.C. È probabile che questo vitigno debba il proprio nome al villaggio vinicolo altoatesino di Termeno: già nel Duecento era, infatti, diffuso nei paesi germanofoni col nome di “Traminer” e oggi questo bianco aromatico è uno dei più gettonati dell’Alto Adige ed è una delle varietà a bacca bianca più diffuse sul territorio.
Il Gewürztraminer incarna proprio il simbolo della viticoltura altoatesina: un passato importante, un futuro tutto da scoprire e un presente che lo vede tra i vini maggiormente apprezzati. Divenuto oggi parte integrante della tradizione vitivinicola dell’Alto Adige, grazie soprattutto al lavoro appassionato dei viticoltori, questo vitigno ha raggiunto livelli qualitativi eccellenti, conquistando palati di intenditori e non con la sua ricchezza aromatica e la sua tradizione millenaria.
Un’ulteriore caratteristica del Gewürztraminer, che verrà sempre più valorizzata nel prossimo futuro, è la sua longevità. Degustare un Gewürztraminer a circa 6 o 7 anni dalla vendemmia rappresenta un’esperienza capace di aprire un sipario sulla complessità celata fra i piccoli acini di questa straordinaria varietà. Il Traminer aromatico si presta infatti bene anche per le vendemmie tardive, come passito o riserva.
Da servire a una temperatura di 10-12° per esaltare al meglio i suoi profumi e il suo gusto delicato, il Gewürztraminer, con il suo fascino inebriante, si presta a diventare il vino dell’estate: un vortice avvolgente di sensazioni che seduce con la sua eleganza e
Simonetta Gerra
ph credits Sudtirol Wein/ Florian Andergassen
SANTA TRESA: A VINITALY IL VITIGNO SCOMPARSO
Un vino nato dal recupero di un vitigno autoctono siciliano scomparso, riportato alla luce grazie a un progetto sperimentale. A Vinitaly (HALL 2, STAND B15) Santa Tresa fa scoprire una varietà reliquia finita nell’oblio.
Il viticoltore trentino Stefano Girelli, alla guida dell’azienda con sede a Vittoria, nel Ragusano, ha infatti riportato alla luce un vitigno che non si trovava più, l’innominabile Orisi. Innominabile perché di fatto non esiste più ufficialmente. Ci vorranno i tempi tecnici previsti dalle normative per richiamarlo con il suo nome ma intanto il vino figlio di questa varietà, l’“O” di Santa Tresa – questa la definizione attuale in etichetta – esiste e sarà tra le etichette presentate a Vinitaly dalla cantina siciliana.
“O” di Santa Tresa è un vino unico, riportato alla luce grazie all’ambizioso progetto sperimentale della Regione Sicilia, gestito dal vivaio regionale intitolato a Federico Paulsen a Marsala, dove è raccolto tutto il germoplasma viticolo siciliano, avviato in partnership con l’azienda di Stefano e Marina Girelli. La vendemmia di “O” avviene nella seconda metà di settembre, con selezione delle uve in campo, raccolta in cassette da 15 kg e stoccaggio in cella frigorifera per una notte, a cui segue una pigia-diraspatura con selezione meccanica degli acini. La fermentazione avviene in botti di rovere di Slavonia di medie dimensioni, con l’impiego di lieviti selezionati e numerosi rimontaggi. Ultimato il processo fermentativo, si ricolmano le botti con lo stesso vino fino a sommergere il cappello di bucce: in queste condizioni il vino svolge spontaneamente la fermentazione malolattica e affina fino alla vendemmia successiva, quando il vino viene svinato, separandolo dalle bucce, e passato in acciaio per 4-5 mesi.
LE ORIGINI DEL VITIGNO E IL CAMPO SPERIMENTALE DI SANTA TRESA
L’origine di questo vitigno è stata accertata come frutto della libera impollinazione tra Sangiovese e Montonico Bianco: presente in pochi esemplari, nei vigneti più antichi dell’area dei Nebrodi, fa parte dei cosiddetti vitigni reliquia siciliani, recuperati grazie a un ambizioso progetto sperimentale della Regione Sicilia, gestito dal vivaio regionale intitolato a Federico Paulsen a Marsala, dove è raccolto tutto il germoplasma viticolo siciliano. Un’attività inserita in un vasto piano iniziato nel 2003 denominato "Valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani" che ha mirato al recupero, alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio ampelografico siciliano nella sua complessità. L’attività ha avuto tra gli obiettivi, oltre la raccolta e classificazione dei vitigni antichi cosiddetti "reliquia", anche il recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani in termini di utilizzazione viticola ed enologica e la registrazione di nuovi cloni regionali.
«Abbiamo preso parte a questo progetto con orgoglio – spiega Stefano Girelli –. Siamo convinti che il recupero e la valorizzazione dei vitigni antichi rappresenti una concreta azione nella salvaguardia della biodiversità e dei territori storicamente vocati alla viticoltura. Orisi ha trovato la sua casa in un piccolo fazzoletto della nostra tenuta esposto a Nord, dove abbiamo piantato 1523 ceppi allevati a spalliera in un terreno franco sabbioso, ricco di minerali e poggiato su uno strato di calcareniti compatte».
La ricerca ha preso vita nel 2003 grazie all’Assessorato regionale all’agricoltura Unità operativa di ricerca sperimentazione e trasferimento innovazione che ha condotto una sperimentazione triennale per il recupero della biodiversità della vite in Sicilia.
Un progetto realizzato in partenariato con tre aziende vitivinicole, tra cui Santa Tresa, in collaborazione con il Centro Innovazione Filiera Vitivinicola della Regione Siciliana. Il lavoro di ricerca applicativo si è concentrato sul confronto della variabilità varietale di vitigni reliquia in siti colturali diversi sia nella Sicilia occidentale che in quella orientale, dove sorge Santa Tresa.
Nel 2008 il progetto ha visto l’impianto di circa 2.830 barbatelle innestate di diversi cloni e le cui gemme sono state prelevate presso Centro vivaio governativo F. Paulsen. Si sono approfonditi gli studi delle principali varietà caratterizzanti le risorse vitivinicole della Sicilia (Grillo, Nero d’Avola e Frappato) oltre ad alcune vecchie e quasi scomparse varietà che rappresentavano un serbatoio di biodiversità per la vitivinicoltura siciliana (Albanello, Visparola, Alicante, Nocera, Orisi) e ulteriori cloni di altre varietà considerate determinanti per la conservazione e valorizzazione del germoplasma (Catarratto, Perricone, Insolia, Zibibbo, Malvasia). A partire dal 2012 sono state effettuate anche le prime prove di vinificazione con studio dei parametri quali-quantitativi connettendo le risultanze alla tecnica agronomica svolta in campo, al periodo e modalità di potatura (guyot nel caso del campo sperimentale di Santa Tresa) ed alle epoche di vendemmia. I risultati di questa ricerca hanno consentito anche di ottenere la iscrizione di sei nuove varietà di vite da vino al Registro nazionale delle varietà di vite in un percorso di valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani.
Renza Zanin
RICERCA E TERROIR: ROENO RISCOPRE IL PINOT GRIGIO CON RIVOLI
Con il progetto di zonazione nato nel 2000 a Rivoli Veronese l’azienda propone un’interpretazione della varietà che guarda a qualità, longevità e territorio.
Rivoli Pinot Grigio di Roeno nasce dal progetto di zonazione messo a punto dall’azienda volto a riscattare un vitigno ampiamente diffuso ma spesso poco valorizzato. Il lavoro di studio, sperimentazione e scoperta del territorio, iniziato nel 2000 a Rivoli Veronese – comune ubicato tra Affi e la sede aziendale di Brentino Belluno (Verona) –, vuole comprendere quanto il terroir sia fondamentale per migliorare la capacità espressiva di una varietà viticola. Roeno, nel piccolo anfiteatro morenico che contraddistingue la zona, ha trovato le perfette condizioni geologiche e climatiche per allevare il pinot grigio, ottenendo una produzione di qualità eccellente dopo anni di ricerca agronomica ed enologica.
L’anfiteatro di Rivoli è costituito da una lingua glaciale che prosegue lungo la direttrice dell’attuale Valdadige. La sua morfologia è organizzata in una sequenza di cordoni morenici e depositi glaciali (tills) disposti in modo concentrico attorno alla piana centrale, intervallati a loro volta da strette vallecole e depositi fluvioglaciali e colluviali. Proprio sui cordoni a substrato glaciale, nelle zone con notevoli pendenze, si alternano aree erose sottili, franco-sabbiose e fortemente calcaree ad aree franco-argillose più profonde. Qui il clima è caratterizzato da importanti escursioni termiche e da una ventilazione costante che rendono la zona particolarmente adatta all’allevamento del pinot grigio.
“Dopo aver testato diverse aree vitate – spiega Giuseppe Fugatti, che assieme agli enologi Mirko Maccani e Alessandro Corazzola ha ideato il progetto di zonazione – abbiamo identificato in Rivoli Veronese un vero e proprio cru, vocato alla produzione del pinot grigio. La sinergia tra territorio, vitigno e lungo affinamento ha saputo aggiungere profondità e articolazione a un vino sorprendente, che nel tempo ha raccolto riconoscimenti autorevoli, tra questi il Tre Bicchieri assegnato quest’anno dal Gambero Rosso”.
Rivoli di Roeno abbina la ricerca in vigna a quella in cantina: dopo un’attenta vendemmia manuale, le uve sono prima diraspate e poi poste sulla selezionatrice ottica, strumento che grazie ai visori ottici permette di individuare solo gli acini di primissima qualità. Dopo una delicata diraspatura e pressatura avviene la fermentazione alcolica in acciaio fino al raggiungimento di 7/8 % vol. per poi terminare in tonneau. Segue un affinamento prima di dieci mesi in tonneau di rovere francese e poi di minimo 12 mesi in bottiglia.
Nel bicchiere Rivoli si presenta con un brillante color giallo paglierino, al naso è fine e al tempo stesso intenso. I sentori di scorza di limone, pera e pesca bianca introducono una decisa freschezza e una spiccata persistenza ricca di sfumature. L’equilibrio tra acidità e mineralità danno eleganza e grande armonia al Pinot Grigio firmato da Roeno.
Sara Stocco