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L'Angolo Della Qualità

RESISTENTI NICOLA BIASI: UNA NUOVA VITICOLTURA PER UN MONDO PIU’ PULITO E SANO

Uno studio scientifico condotto presso l’azienda Albafiorita, nato da un’idea delle aziende Resistenti Nicola Biasi, dimostra che la gestione dei vitigni resistenti produce il 37,98% di CO2 in meno rispetto a quella dei vitigni tradizionali 

 

Unire qualità alla concreta sostenibilità: è questo lo spirito che guida la rete di aziende della Resistenti Nicola Biasi. E se la qualità dei vini viene ampiamente dimostrata dai numerosi premi che si sono aggiudicati durante l’anno appena passato (primo tra tutti i 3 bicchieri del Gambero Rosso assegnati al Vin de la Neu 2020) le aziende hanno voluto produrre anche una prova concreta della loro sostenibilità.
Nasce così l’idea dello studio comparativo sull’impronta di carbonio nella produzione di vini da varietà tradizionali e vini da varietà resistenti in collaborazione con Climate Partners:
-37,98%, questo è il valore riscontrato, in termini di CO2 prodotta nella gestione di un vigneto con vitigni resistenti e uno con varietà classiche a parità di condizioni climatiche e territoriali.
Lo studio, condotto nel 2022 presso l’azienda Albafiorita in provincia di Udine, ha tenuto in considerazione tutti gli aspetti globali della produzione, dal vigneto alla commercializzazione, mettendo in luce l’importanza delle scelte imprenditoriali sul tema dell’impatto ambientale. I dati rilevati vanno dal packaging, alla chiusura, passando per la tipologia di bottiglia utilizzata fino ad arrivare a ciò che ha fatto veramente la differenza: l’utilizzo di vitigni resistenti permette oggi di avere alta qualità, alta sostenibilità e minori emissioni di CO
2. Queste nuove varietà resistenti alle principali malattie della vite (peronospora, oidio e botrite), permettono una riduzione dei trattamenti, un minor utilizzo di antiparassitari, un minor consumo d’acqua con un conseguente impatto ambientale non paragonabile alla viticoltura attuale.
Albafiorita a Latisana, Della Casa a Cormons, Ca’ da Roman a Romano d’Ezzelino, Colle Regina a Farra di Soligo, Poggio Pagnan a Mel, Nicola Biasi a Coredo, Villa di Modolo a Belluno e Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna sono le 8 aziende della rete che, guidate dall’enologo Nicola Biasi, stanno lasciando un’impronta indelebile nel mondo della viticoltura attraverso le loro attività. Una scelta che parla di difesa del territorio, valorizzazione del luogo e consapevolezza che, grazie all’innovazione, si può creare una viticoltura reale sempre più sostenibile.

 

RESISTENTI NICOLA BIASI

Resistenti Nicola Biasi è una rete di otto aziende agricole in otto territori diversi tra Friuli, Veneto e Trentino, creata nel 2021 e guidata da Nicola Biasi, miglior giovane enologo d’Italia per Vinoway, Cult Oenologist 2021 per il Merano Wine Festival ed Enologo dell’Anno 2022 per Food and Travel.

Resistenti non sono solo i vitigni, noti anche come PIWI (dal tedesco pilzwiderstandfähige, ossia resistenti ai funghi – malattie fungine) ma anche gli stessi produttori che hanno abbracciato la sfida della sostenibilità in territori differenti e caratterizzati da altitudini e climi che fanno della loro viticoltura qualcosa di davvero innovativo. Questa difesa del territorio, coniugata a una viticoltura di precisione e a un’enologia dedicata e scrupolosa, permette di esaltare le qualità di queste nuove varietà e di conquistare così anche i palati più esigenti e rigorosi.

 

LE IMPRESE DELLA RETE:

Albafiorita a Latisana, nella riviera friulana. 

In un zona non conosciuta per l’innovazione, Dino de Marchi decide di puntare sulla sostenibilità producendo i suoi vini bianchi esclusivamente da vitigni resistenti. 

 

Ca'da Roman a Romano d'Ezzelino. 

Ai piedi del Monte Grappa, Massimo e Maria Pia Viaro Vallotto nel 2015 danno vita all’azienda di soli vitigni resistenti con cantina dedicata che a oggi, risulta essere la più grande d’Europa. 

 

Colle Regina a Farra di Soligo, tra i colli trevigiani. 

Nel cuore del prosecco Docg Marianna Zago decide di andare controcorrente concentrando la sua produzione su vini ad alta sostenibilità grazie all’impianto di vitigni resistenti. 

 

Poggio Pagnan a Mel, nella Valbelluna. 

Gianpaolo Ciet e Alex Limana coltivano esclusivamente varietà resistenti e le vinificano nella loro cantina, la prima di Borgo Valbelluna.  

 

Della Casa a Cormons, in pieno Collio.

Renato Della Casa decide di affiancare l’innovazione alla tradizione dei vitigni autoctoni del suo Collio bianco. 

 

Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna, sull’alta costa veronese del Garda

Mauro e Leonardo Bonatti, per il loro progetto di coltivare esclusivamente vitigni resistenti, in un territorio quasi inesplorato per la viticoltura ad oltre 700 metri s.l.m 

 

Villa di Modolo, Belluno, nel cuore delle Dolomiti venete

Francesco Miari Fulcis, decide di ridare lustro alla dimora storica di Modolo, con un progetto unico nel suo genere che, come protagonista, prevede la produzione di vino da vitigni resistenti

 

L'azienda dell'enologo. 

A Coredo, tra le Dolomiti trentine, Nicola Biasi crea un vino che nasce per rompere gli schemi, il Vin de la Neu. 

 

NICOLA BIASI 

Nicola Biasi nasce in Friuli terra di vini e, dopo il diploma di Enotecnico, lavora per importanti aziende del Friuli come Jermann e Zuani della famiglia Felluga. Prima di trasferirsi in Toscana, Nicola lavora per  Victorian Alps di Gapsted in Australia e poi in Sud Africa per Bouchard Finalyson, dove amplia le sue conoscenze enologiche internazionali.  

Marchesi Mazzei, San Polo a Montalcino e Poggio al Tesoro di Bolgheri di Allegrini sono le aziende Toscane per cui lavora come enologo per quasi dieci anni. 

Nel 2016 Nicola decide di intraprendere l’attività di libero professionista fino ad arrivare nel 2020 a fondare la Nicola Biasi Consulting che vanta consulenze in Toscana, Piemonte, Veneto, Friuli, Trentino e Marche.  

Nicola viene premiato nel 2020 durante la Vinoway Wine Selection 2021 come Miglior Giovane Enologo d’Italia e a giugno 2021 durante l’anteprima del Merano Wine Festival riceve l’ambito premio Cult Oenologist, riservato ai 7 migliori enologi italiani. Il più̀ giovane di sempre a ricevere questo riconoscimento. Nello stesso fonda la rete d’imprese Resistenti Nicola Biasi, un progetto che raggruppa al momento otto aziende vitivinicole differenti accomunate da un unico obiettivo: produrre vini di eccellenza praticando la vera e reale sostenibilità in vigna e in cantina, salvaguardando in maniera concreta l’ambiente. 

A ottobre 2022 resistenti Nicola Biasi riceve l’ambito riconoscimento “progetto vino dell’anno” da Food and Travel Italia, nell’ambito della stessa serata Nicola Biasi viene anche insignito del titolo enologo dell’anno. 

 

 

Giacomo Tinti

VINO IN ANFORA, SOTTO LA LENTE A SIMEI 

IL RITORNO DELL’ARGILLA DA RETAGGIO DEL PASSATO A TREND COMMERCIALE

 

Da passato remoto del vino a fenomeno di nicchia declinato al futuro. È l’anfora, antico contenitore del nettare di Bacco protagonista oggi al Simei di Unione italiana vini (in programma a Fiera Milano fino a venerdì 18 novembre) del convegno “Vino e anfore: il ritorno all’argilla”, un focus che ne ha ripercorso la storia e ne ha indagato prospettive e sviluppi commerciali.

Per l’international editor del Gambero Rosso, Lorenzo Ruggeri: “I vini in anfora stanno vivendo un momento di forte sperimentazione. Si tratta di un fenomeno dal futuro roseo, in particolare perché sfrutta una dinamica di comunicazione orizzontale che coinvolge da un lato i giovani produttori, molto interessati alla ricerca delle potenzialità di questa pratica di vinificazione, e dall’altro i giovani consumatori, che rispondono con interesse. Un trend che osserviamo anche giornalisticamente: al Gambero Rosso ne riceviamo ogni settimana uno nuovo da campionare”. E questo sviluppo si osserva bene anche in Paesi come il Portogallo, come sottolinea il produttore Paulo Amaral (José Maria da Fonseca – Vinhos SA): “La produzione in anfora della Doc Alentejo è cresciuta tra il 2014 e il 2021 più di sette volte, con buone performance anche sul fronte export”. 

“L’anfora è stato non solo il primo contenitore, ma anche uno dei primi strumenti di marketing per il vino, con le incisioni che rappresentavano il commerciante e la forma che ne svelava la provenienza”, ha spiegato Attilio Scienza, docente universitario e tra i maggiori esperti mondiali di viticoltura. “L’anfora – ha proseguito – rappresenta un ‘iconema’, l’immagine di un luogo o di un oggetto che si fissa nella memoria e che trasforma il paesaggio in monumentum attivando un processo di sinestesia: lo stimolo visivo dell’anfora viene associato alle sensazioni del vino e al desiderio di ripetere l’esperienza gustativa, facendola divenire un’espressione estetica”. Un trait d’union con il territorio osservato anche dalla produttrice Elena Casadei, che da anni investe e sperimenta in questo campo: “L’anfora rappresenta il ritorno alla terra dopo la lavorazione in cantina. Un contenitore che, come una cassa acustica, fa risuonare la qualità delle uve che ci mettiamo dentro”. “La varietà dall’uva è cruciale per determinare la qualità del prodotto – ha detto il capo redattore della casa editrice Meininger, Robert Joseph –, ma bisogna ricordare che, nonostante le evocazioni che l’argilla suscita, i vini in anfora non sono necessariamente biologici o sostenibili”.

“Il ritorno all’anfora rappresenta oggi una novità destinata a crescere ed affermarsi – ha concluso il Master of Wine Gabriele Gorelli –. Ma bisogna ricordare che, al di là del marketing, questa vinificazione non rappresenta in sé una garanzia di piacevolezza o di stile. I produttori dovranno trovare il modo di differenziare le loro etichette dandone un’interpretazione soggettiva e distintiva”.

 

Marina Catenacci

Gattinara Il Chiosso

 

 

Nel vigneto Galizja, il calice nr. 4 delle vie dei calici

 

Quanta bellezza sulle colline del Gattinara, salire quassù un'esperienza che toglie il fiato. Chi arriva per la prima volta in cima al Galizja, rimane incantato ad osservare le forme del paesaggio: la natura le ha rese dolci, l'uomo le ha ornate di filari.

Lo sguardo poi si perde all'orizzonte: riconosci il Rosa e le sue cime da una parte, la pianura dall'altra. Nelle giornate più limpide scorgi il profilo urbano del capoluogo novarese - su cui domina la cupola dell'Antonelli - e, un po' più a est, persino Milano coi suoi grattacieli. 

Proprio sul colmo della collina da cui prende il nome il nostro Gattinara - il Galizja appunto - trova oggi posto il calice nr. 4 di un'iniziativa denominata "Le vie dei calici”.

Il progetto celebra la ricchezza enologica del territorio con l'installazione di grandi calici in ferro in altrettanti luoghi simbolo. Le opere portano la firma di Ruben Bertoldo, artista eclettico il cui lavoro trae spesso spunto dalla natura e dai temi del luogo.

Le opere si inseriscono in un progetto ancor più ampio, la Via della luce che ha visto anche l’illuminazione dei ruderi del castello di San Lorenzo. 

VENISSA ANNUNCIA LA NUOVA ANNATA DI VENISSA BIANCO 2016 CELEBRANDO LA BIODIVERSITÀ LAGUNARE

 

Venissa, in occasione della Giornata Mondiale della Biodiversità, annuncia in anteprima il lancio della nuova annata del suo vino-simbolo, il Venissa Bianco 2016, per sottolineare l’importanza del tema della biodiversità lagunare all’interno del progetto di recupero agricolo e di ospitalità sostenibile che porta avanti sull’isola di Mazzorbo. 

Una biodiversità che parte dal vitigno da cui questo vino è prodotto, la Dorona, e prosegue con la gestione del vigneto e con i valori che alimentano l’intero progetto, incluso il Ristorante Stellato, l’Osteria Contemporanea e il Wine Resort.

 

Varietà nativa della laguna, data per scomparsa dopo l’acqua alta del 1966 e in seguito riscoperta e reintrodotta in queste “terre d’acqua” per volere di Gianluca Bisol, dal 2007 la Dorona viene coltivata all’interno delle mura della tenuta Venissa, ora guidata dal figlio Matteo. Un vitigno, la Dorona, che in questi anni ha dimostrato non solo una grande resilienza, ma anche una perfetta adattabilità, trovandosi perfettamente a suo agio in un ambiente dove la salinità del suolo, l’umidità e le estati calde ne hanno evidenziato il livello di simbiosi con il suo terroir d’origine, producendo effetti come una maggior concentrazione delle uve, una resistenza intrinseca alla botrite, e una capacità di mantenere un’ottima acidità anche a temperature elevate.

 

“La Dorona è una pianta speciale per le isole della Venezia Nativa che, ad eccezione di Burano – isola di pescatori – hanno sempre avuto una forte tradizione agricola,” commenta Matteo Bisol, direttore del progetto. “Noi a Venissa abbiamo voluto recuperare questa tradizione partendo dalla viticoltura, molto praticata in laguna, e in particolare dalla Dorona. Un vitigno autoctono e semi-scomparso che nei secoli ha imparato ad adattarsi e a vivere in questo ambiente, sviluppando delle caratteristiche uniche che le hanno permesso di sopravvivere in condizioni davvero particolari. Ora che l’abbiamo reintrodotta nel suo terroir nativo, ne siamo custodi all’interno di questa vigna murata. Non possiamo che seguirla e osservarla nel suo percorso, tutelandone il valore culturale e ambientale.”

 

La 2016, la settima annata di Venissa Bianco, risalta in modo paritcolare questa perfetta simbiosi e promette di essere la migliore del decennio. Per questo, in occasione del suo lancio, si è voluto riflettere in maniera particolare sul tema quanto mai attuale della biodiversità lagunare, di cui la Dorona è un esempio.

 

“Il 2016 è l’anno in cui il vigneto di Venissa ha raggiunto la sua piena maturità, potendo così iniziare ad esprimere il suo massimo potenziale” racconta Stefano Zaninotti, agronomo di Venissa, il cui approccio olistico, con un occhio attento alla tutela della flora e della fauna autoctona, è perfettamente in linea con i valori di Venissa. “Si è trattato di un’annata in cui il meteo ci ha aiutato parecchio, molto bilanciata tra pioggia e sole, non troppo calda, per cui la vite ha potuto lavorare dal germogliamento fino alla maturazione nelle migliori condizioni”, aggiunge. “Nel vino questo si traduce in grande freschezza e piacevolezza tanto nei profumi quanto nella sapidità, che ritroverete ora nel bicchiere.”

 

“Sicuramente la 2016 è stata un’annata perfetta, certamente l’annata del decennio” riflette Matteo Bisol. “Un’annata di grande equilibrio e di grande finezza, a testimonianza della simbiosi che la Dorona ha saputo trovare in questo territorio. Una finezza che non ci si aspetterebbe dai vini di laguna ma che proprio grazie a questo equilibrio ci consente di arrivare a questi livelli di eccellenza.”

 

La sfida, per Venissa, rimane quella di produrre un vino che sia non solo l’espressione più fedele della Dorona e della sua simbiosi col terroir lagunare, ma di fare di questo vino una perfetta rappresentazione della Venezia Nativa nella sua interezza. E, con la 2016, l’impressione è quella di esserci andati molto vicino.

 

IL VINO

Di colore dorato, il naso esibisce aromi di frutta gialla, camomilla e cenni di scorza di agrume essiccato. Il palato è ben strutturato, pieno e fresco con una texture vellutata. Note di miele, noce e liquirizia appaiono nel finale secco, sapido e persistente. Venissa è un grande bianco da collezione con un’eccellente longevità. Alla fermentazione in acciaio seguono 48 mesi di affinamento in contenitori inerti di cemento. I numeri: 3880 bottiglie da 0,5l, 80 magnum (1.5l), 40 jeroboam (3l) e 20 imperiale (6l). Una produzione che rimane estremamente limitata e ne sottolinea la rarità.

 

LA BOTTIGLIA

Nell’ideazione di Giovanni Moretti, l’etichetta cede il posto ad una preziosa foglia d’oro realizzata dall’attuale discendente dell’antica famiglia Berta, gli ultimi battiloro rimasti a Venezia. L’applicazione è stata eseguita a mano da mastri incisori muranesi (ogni annata presenta un motivo diverso ed identificativo). La bottiglia viene poi messa a ricottura nei forni delle vetrerie di Murano, diventando essa stessa un simbolo dell’eccellenza artigiana di Venezia.

 

 

Valeria Necchio

CALABRIA TERRA DI SOLE E DI SAPORI

 

Fotoservizio di Alessandra Pocaterra

 

La Calabria Regione tutta da scoprire, la terra dei Bronzi di Riace dei bellissimi parchi (gioia per chi ama il trekking) la Riviera dei Cedri, del bergamotto e della liquirizia e dei salumi particolari ma anche terra di ottimi oli e di eccellenti vini.

In Calabria  troviamo piante di ulivo un po' ovunque e tre sono gli olii d’oliva DOP.

Olio Bruzio DOP:  ottenuto da olive della varietà Tondina, Carolea, Dolce di Rossano o Grossa di Cassano; ha colore verde con riflessi giallini, odore e sapore fruttato. 

Olio Lametia DOP: ottenuto in prevalenza da olive della varietà Carolea colore che va dal verde al giallo paglierino; odore fruttato sapore delicato e fruttato. 

Olio Alto Crotonese DOP ottenuto prevalentemente da olive della varietà Carolea ha un colore tra il giallo paglierino e il verde chiaro odore delicato e sapore fruttato leggero

L’olio di Calabria IGP  è ottenuto da olive prodotte in tutta la Regione con un colore che va dal verde al giallo paglierino con note aromatiche erbacee  a volte di carciofo o floreali. Al gusto è mediamente amaro e piccante. 

 

 

Non solo olio ma convivialità con i salumi prodotti in  tutto il territorio: 

Capocollo di Calabria DOP

Pancetta di Calabria DOP 

Soppressata di Calabria DOP

Salsiccia di Calabria DOP

‘Nduja prodotta un po' in tutta la Calabria un’eccellenza alimentare unica al mondo 

E ancora: la cipolla rossa di Tropea IGP ,  i fichi dottati di Cosenza DOP, il limone di Rocca Imperiale IGP , il Bergamotto di Reggio Calabria DOP, la liquirizia di Calabria DOP,  il torrone di Bagnara IGP e una menzione speciale  per il tartufo di Pizzo,  un gelato con forma semisferica fatto di nocciola e cioccolato …una vera leccornia !

Non si possono dimenticare poi, tra le eccellenze della Calabria  il Caciocavallo Silano DOP, uno dei più antichi e caratteristici formaggi a pasta filata del Sud Italia,  prodotto con latte di vacca intero e ancora  il Pecorino Crotonese Dop, un formaggio a pasta dura prodotto con il latte intero di pecora. 

 

 

E arriviamo così alla Viticoltura: si sa che  fin dai tempi remoti la Calabria si è rivelata terra di ottimi vini. 

Dalle vigne in riva al mare a quelle che si inerpicano in stretti terrazzamenti sulle montagne o le colline.

Il vitigno più coltivato è il gaglioppo utilizzato nella produzione del Cirò DOP, un’uva presente nel territorio da millenni. Il magliocco dolce “Terre di Cosenza” DOP (chiamato anche Arvino, Lagrima o Guarnaccia nera, e Magliocco Canino  a seconda della zona in cui viene coltivato).  Troviamo poi il Greco Nero,  il Calabrese detto anche Nerello d’Avola o Nerello Calabrese, il Nerello Cappuccio e il Nerello Mascalese il Castiglione e il Nocera, la Malvasia nera di Brindisi, la Marsigliana Nera e il Montonico tra i più coltivati;  tra i bianchi: il Pecorello, il Greco Bianco , il Guardavalle naturalmente ho citato i più coltivati, i vitigni autoctoni più utilizzati nella produzione dei vini Calabresi.

Vi consiglio l’acquisto di alcuni vini che ho assaggiato e che mi sono piaciuti particolarmente.

 

 

A’ VITA  Una piccola Azienda a conduzione biologica,  dove Laura friulana e Francesco calabrese  curano le vigne nel totale rispetto della natura creando vini dalla grande personalità e profondamente legati al territorio.

Ho assaggiato il Cirò (uve gaglioppo) base  mi è piaciuto anche nella versione rosato che ho trovato piacevolissimo come aperitivo fresco e sapido si accompagna perfettamente a finger food anche di mare. 

Il Cirò Rosso Classico Superiore Riserva è uno di quei vini che ti rimangono impressi nella memoria un vino che coinvolge tutti i sensi, viene proposto a quattro anni dalla vendemmia dopo un lungo affinamento di 30 mesi  in acciaio,  un vino elegante ed equilibrato la cui componente alcolica ne esalta la morbidezza. Un vino da meditazione da gustare durante uno di quei momenti di tranquillità che durante la reclusione forzata abbiamo ritrovato, magari leggendo un libro. 

IL GARDA UNICA AREA ITALIANA TRA LE DIECI DESTINAZIONI VINICOLE TOP AL MONDO DEL 2019 SECONDO WINE ENTHUSIAST

 

 

 

La testata americana premia la regione gardesana grazie al suo vino e al paesaggio e il Chiaretto di Bardolino è indicato come “uno dei migliori rosati d’Italia”

 

Il lago di Garda, la terra del Chiaretto e del Bardolino, è l’unica zona italiana segnalata dalla rivista statunitense Wine Enthusiast tra le dieci destinazioni vinicole al mondo da vedere nel 2019. La responsabile per l’Italia della testata americana, Kerin O’Keefe, suggerisce un soggiorno sul territorio gardesano per la qualità dei vini prodotti, per la varietà e la bellezza dei paesaggi e per la sua ricchezza storica e culturale. “A parte gli olivi e i limoni, che sono inusuali così a nord - scrive -, la regione è tappezzata dai vigneti ed è patria di alcuni dei classici vini del paese: i rossi del Bardolino, i rosati del Chiaretto e i bianchi Lugana e Custoza”. Dopo aver ricordato che il Bardolino sta per vedere riconosciute tre specifiche sottozone, ossia La Rocca, Montebaldo e Bardolino, capaci di produrre vini di maggiore longevità, Kerin O’Keefe sottolinea che con le stesse uve del Bardolino si produce “uno dei migliori vini rosati d’Italia, il fresco e speziato Chiaretto”.

 

Assieme all’area del Chiaretto e del Bardolino, Wine Enthustiast ha selezionato per gli amanti internazionali del vino altre nove mete, sia realtà enoiche storiche che emergenti, da visitare durante il 2019. Vengono segnalati in Europa il Beaujolais francese, recente protagonista dell’evento di presentazione delle sottozone bardolinesi a Verona, e poi Salonicco in Grecia, la capitale portoghese Lisbona e la svizzera Lavaux, coi suoi vigneti terrazzati affacciati sul lago di Ginevra. Fuori dai confini europei, invece, vengono proposti i vini californiani della Temecula Valley e quelli della zona di Seattle, nello stato di Washington, la capitale thailandese Bangkok, che è anche una delle città emergenti per l’alta ristorazione, la valle di Maipo, in Cile, e per finire la Tasmania, terra emergente del vino.

 

“L’articolo di Wine Enthusiast - spiega Franco Cristoforetti, Presidente del Consorzio di tutela del Bardolino e del Chiaretto - premia la professionalità e la caparbietà dei nostri viticoltori e dei nostri produttori, che in questi anni hanno intensamente lavorato per rafforzare e rendere percepibili i valori della nostra identità territoriale, l’elemento in grado di creare vera distinzione nell’attuale scenario competitivo del vino. Se questa importante rivista americana ci ha scelto come unica destinazione italiana tra le centinaia possibili, significa che stiamo percorrendo la strada giusta. I nostri vini sono davvero i frutti di un territorio unico al mondo, come ha sottolineato Kerin O’Keefe".

 

 

Chiara Brunato

VINO, ISTAT: VERDICCHIO TRAINA LA CRESCITA DELL’EXPORT MARCHIGIANO. +9%

 

 

Effetto Verdicchio, grazie anche ai 50 anni della Doc Castelli di Jesi, sull’export enologico marchigiano. Secondo Istat, che ha aggiornato i dati regionali sul commercio estero, i primi nove mesi di quest’anno si sono infatti chiusi con una crescita in valore del vigneto Marche nel mondo del 9%, quasi il triplo rispetto alla media nazionale (3,4%) con un controvalore di oltre 41 milioni di euro e una proiezione sui 12 mesi che supera i 56 milioni di euro. “La nostra azione promozionale, ma soprattutto il lavoro dei produttori in vigna e in cantina, cominciano a dare risultati più che soddisfacenti – ha detto il direttore dell’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt), Alberto Mazzoni -.

 

Il dato è come al solito sottostimato perché parte delle merci prendono destinazioni estere da hub extraregionali, ma è significativo il salto di qualità nei trend di crescita in particolare nell’area di Ancona-Jesi. Detto questo – ha aggiunto Mazzoni – ritengo che i target commerciali siano ancora ben lontani se rapportati alla qualità di prodotto che esprimiamo e che ci viene riconosciuta ormai in tutto il mondo; sarà anche interessante capire come nei prossimi mesi ci giocheremo la partita del prezzo medio in un’annata ricca come quella attuale”.

 

Nell’incrocio con i dati relativi alle province su vini e bevande (dove queste ultime pesano per il 10% sui valori totali), è quello di Ancona – e quindi l’area jesina – il territorio più prolifico, con una crescita del 14% e una quota di mercato sull’intero export vinicolo regionale del 60%. Bene anche le altre province, fatta eccezione per Macerata (-4%), con l’area ascolana (seconda per vendite) a circa +4% e Pesaro-Urbino che sfiora un +8%.

 

“Quest’anno – ha aggiunto il direttore Imt, che conta 472 aziende associate per 15 denominazioni di origine – abbiamo investito in promozione oltre 3,2 milioni di euro tra il Programma di sviluppo rurale e i fondi Ocm lavorando con oltre 200 aziende in particolare sui mercati di sbocco del Nord America (Usa e Canada) e su emergenti come Cina e Russia, ma peculiare attenzione è stata riservata anche a eventi internazionali – Vinitaly in primis – e alle azioni di incoming. Tra queste, l’evento Collisioni Jesi di Ian D’Agata e Imt per i 50 anni del Verdicchio dei Castelli di Jesi, con oltre 30 stakeholder ed esperti provenienti da tutto il mondo.

 

Grazie anche alla forte sinergia con l’assessorato all’Agricoltura della Regione Marche, proprio ieri abbiamo rilasciato la domanda per il progetto promozionale Psr Marche 2014/2020, per un importo complessivo di oltre 1,4 milioni di euro solo per l’annata 2019; a questo si aggiunge il nuovo plafond previsto dai fondi comunitari dell’Ocm Promozione, su cui è stata ammessa una spesa complessiva di 2,2 milioni di euro”.

 

Il Verdicchio (dei Castelli di Jesi e di Matelica) è da 4 anni il bianco fermo più premiato d’Italia dall’incrocio delle guide di settore, la sua produzione supera i 20 milioni di bottiglie di cui circa la metà destinate all’estero in particolare negli Usa, che vale il 22% delle vendite oltreconfine, Nord Europa, Germania, Regno Unito e Cina. Il maxi-Consorzio Imt rappresenta l’89% dell’imbottigliato dell’intera area di riferimento delle 15 Doc, che conta una superficie vitata di oltre 8mila ettari tra le province di Ancona, Macerata, Pesaro-Urbino e Fermo.

 

 

Ispropress

Eugenia Torelli, 328.6617921 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

CIVA - CONSEIL INTERPROFESSIONNEL VINS D'ALSACE: VERSO UN APPROCCIO COLLETTIVO

 

 

Nel 2017 il Conseil Interprofessionnel des Vins d’Alsace ha iniziato un percorso di riflessione rispetto al futuro dei Vini d’Alsazia e, in particolare, alla definizione di un posizionamento marketing che sia marcante e rappresentativo dell’evoluzione che sta avvenendo nei vigneti alsaziani negli ultimi anni.

Per questo motivo numerose sono state le occasioni di confronto in stretta collaborazione con i rappresentanti dei vigneti ossia i viticoltori, le aziende vinicole, i responsabili marketing delle aziende.

 

Invitando i viticoltori e le case vinicole a far parte del gruppo di lavoro interno all’Interprofessione, il CIVA desidera unire e rafforzare le competenze degli esperti su ciascun mercato di riferimento, le riflessioni legate al terroir e gli sbocchi futuri.

Il marketing non è il solo settore ad essere al centro dell’attenzione da parte dei viticoltori alsaziani in questo momento.

Gli effetti del cambiamento climatico, la volontà affermata di voler preservare l’ambiente e i territori dei vitigni alsaziani e la costante ricerca per un miglioramento continuo per quanto riguarda la qualità dei vini costituiscono gli assi principali sui quali il CIVA rafforza la sua manovra d’azione.

 

Per condurre al meglio questo cambiamento, il CIVA ha riorganizzato i suoi dipartimenti marketing, tecnico ed economico. È nato così un “servizio dedicato alle aziende” che desidera porsi all’ascolto dei professionisti. 

Già da un anno sono in atto importanti progetti all’insegna di uno spirito di squadra, collettivo, che possa essere a stretto contatto con i professionisti della filiera, cominciando dagli stessi viticoltori.

 

IL DNA DEI VINI D’ALSAZIA. RITORNO ALL’ESSENZIALE

Per essere visibili e riconosciuti dal consumatore, i Vini d’Alsazia devono saper comunicare in modo chiaro il loro valore unico e  cosa li contraddistingue rispetto ai vini di altre regioni.

 

Un marchio percepito nel modo corretto aiuta a differenziare l’offerta. Diventa un punto di riferimento per il consumatore, è facilmente identificabile e inimitabile!” dichiara Gilles Neusch, direttore del CIVA.

 

Per riuscire a realizzare il progetto, una delle prime sfide è stata quella di identificare un messaggio di forte impatto e le differenze che distinguono i Vini d’Alsazia dalla concorrenza:

 

TUTTI I GRANDI TERRITORI DEL MONDO SONO PRESENTI IN ALSAZIA

Su uno stretto cordone composto da vigneti, l’Alsazia concentra una ricchezza geologica senza equivalenti. La maggior parte dei vitigni comuni sono stabiliti su 4 o 5 formazioni geologiche differenti. Tutte le formazioni coesistono e formano un mosaico di suoli singolari, matrice dei grandi vini del territorio.

 

CAPACITÀ E SAVOIR – FAIRE RICONOSCIUTO PER I VINI BIANCHI

Tutte le nuance del bianco si declinano in Alsazia, rappresentate da 9 bottiglie prodotte su 10: grandi vini secchi e minerali, effervescenti, vini freschi e aromatici o liquorosi d’eccezione. Da secoli i Bianchi d'Alsazia si declinano con precisione secondo i vitigni, il clima, il sole, la sensibilità. Cura e grande ambizione sono qualità che vengono perseguite anche dalle nuove generazioni.

Una pagina della storia che continua a rinnovarsi e che dona lustro a questi vitigni.

 

UN VITIGNO FAMILIARE E A MISURA D’UOMO

In Alsazia le proprietà vinicole si trasmettono da famiglia in famiglia da ormai 12 generazioni. Questa è senza dubbio la ragione per la quale i viticoltori alsaziani sono così legati alla conservazione dei terreni e alle loro tradizioni. Ne deriva l’innata ospitalità che porta i produttori ad aprire le porte delle proprie cantine ai visitatori per mostrare e condividere il loro "saper fare", i loro prodotti, i terroir.

 

NUOVA IDENTITÀ GRAFICA PER I VINI D'ALSAZIA

La nuova immagine grafica che contraddistingue i Vini d’Alsazia è stata rivelata in occasione della IV Edizione del Salone Millésimes Alsace, svoltosi a Colmar nel mese di giugno scorso. I visitatori hanno avuto modo di apprezzare la nuova proiezione a grande impatto emozionale che allo stesso tempo è stata lanciata su tutti i Social Network ufficiali del CIVA

 

Il logo trova ispirazione dalla natura, dai vitigni alsaziani, dai valori e dai simboli che animano da sempre la cultura di questa regione.

Lo sguardo si rivolge alla vigna, alla verticalità delle travi e al posizionamento delle viti, sottolineando così il rigore dei viticoltori. Il carattere utilizzato per definire le iniziali è solido, come quello dei Crus che si può identificare nelle profondità del suolo alsaziano. Senza dimenticare il simbolo della regione, la cicogna, elegante e maestosa, che vola verso il cielo evocando la finezza di questi vini così eleganti. La ricerca tipografica racconta questo movimento slanciato. Senza dimenticare la scelta dei colori: l’antracite si ispira alle travi e al terreno, l’oro identifica il riflesso cristallino e brillante dei Vini d’Alsazia.

 

Il nuovo logo dei Vini d’Alsazia è l'equilibrio perfetto tra tradizione e modernità.

 

 MILLESIMES ALSACE:

UN INSIEME DI TERROIR

 

La IV Edizione di Millesimes d’Alsace, Salone che ha luogo ogni due anni a Colmar, si è chiusa con successo:

-       750 visitatori (di cui 110 invitati)

-       15 i Paesi esteri rappresentati 

-       Più di 600 vini in degustazione

-       Due giornate dedicate alla degustazione e alla scoperta dei terroir

 

Il primo giorno si è caratterizzato per la presenza unica di 107 produttori alsaziani, i più importanti nomi della produzione regionale. Un’occasione unica per degustare una vasta gamma di Crus appositamente selezionati.

 

La IV Edizione è stata dedicata al vitigno Riesling, secco, proveniente da grandi terroir d’Alsazia.

La degustazione si è svolta a banco aperto e ogni visitatore ha potuto perciò dedicarsi, ascoltando le proprie esigenze, alla conoscenza delle Maison presenti e all’assaggio dei vini, in tutta libertà.

 

Inoltre durante il salone si è svolta una conferenza che ha visto protagonisti tre grandi produttori: Maurice BARTHELME - Domaine Albert MANN, Oliver HUMBRECHT - Domaine ZIND-HUMBRECHT e André OSTERTAG - Domaine OSTERTAG.

 

Il filo conduttore di questo momento è stata la discussione ampia su tre tematiche faro per i tre produttori e la coltura vinicola alsaziana:

 

- ciò che si può vedere rappresentato dalla nascita del paesaggio, il disegno formato dalle rocce nel tempo, il valore dei differenti tipi di terroir. 

- ciò che si può toccare, l’evoluzione di una denominazione e la sua conseguente valorizzazione. 

- ciò che non è visibile, quello che fa di un luogo un grande territorio.

 

La seconda giornata è stata dedicata alla visita dei terroir caratterizzanti la regione, accompagnati dai produttori. Il risultato: 8 percorsi dedicati ai Grands Cru alsaziani.

 

 

Per maggiori informazioni:

Alessandra Zaco - Ufficio stampa CIVA Italia

 

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