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GIANNITESSARI PRESENTA DURELLO IN MALGA, TRA SENTIERI E SAPORI DELLA LESSINIA
Nel mese di luglio l’azienda di Roncà proporrà un'iniziativa enogastronomica per valorizzare lo Spumante Monti Lessini e la cucina tipica della montagna veronese. L’azienda vitivinicola Giannitessari rinnova il proprio impegno nella promozione del territorio con Durello in Malga, iniziativa enogastronomica volta a rafforzare il legame tra la proposta enologica autoctona e la gastronomia montana. Il progetto nasce dal coinvolgimento di rifugi, malghe e ristoranti della Lessinia che nel mese di luglio 2025 proporranno esperienze di assaggio dedicate. Camminatori e buongustai potranno, infatti, degustare piatti tipici locali in abbinamento a due etichette di Monti Lessini Metodo Classico da uva durella dell’azienda di Roncà: il Brut, versione più immediata e versatile, e il Dosaggio Zero, pensato per chi ricerca una maggiore complessità e profondità.
"Il Durello è un vino di grande carattere, espressione autentica del terroir vulcanico da cui ha origine, che nella versione Metodo Classico raggiunge la sua massima eleganza e ricchezza aromatica – afferma Gianni Tessari, titolare ed enologo dell’omonima azienda, neoeletto Presidente del Consorzio di Tutela Vino Lessini Durello DOC –. Con Durello in Malga il nostro obiettivo è sottolineare quanto sia fondamentale creare e potenziare un sistema territoriale che unisca mondo enologico e ristorazione, uniti nell’intento di attestare la Lessinia come meta attrattiva per il turismo enogastronomico”.
Aderiscono al progetto diverse attività ristorative della Lessinia: Lenci 3 a Bosco Chiesanuova, storico locale attivo dal 1973 rinomato per la cucina tradizionale e le pizze artigianali; Ristorante Al Caminetto a Malga San Giorgio, che propone piatti a km 0 e specialità di propria produzione; La Stua a Erbezzo, dall’impronta trentino-tirolese, la cui offerta spazia dalla selvaggina alle selezioni di formaggi e salumi lessini; Parparo Vecchio a Rovere Veronese, locale dall’atmosfera rustica che propone cucina di montagna, con piatti cotti nel suo grande camino; Rifugio Primaneve sul Monte Tomba, a 1766 metri, il più alto del Parco Naturale della Lessinia, dove gustare pietanze genuine preparati con ingredienti di qualità; e infine Osteria al Ritorno a Grezzana, il cui menù reinterpreta con un occhio contemporaneo i piatti veneti tradizionali.
Anita Bonani
ENRICO RIVETTO RACCONTA IL NEBBIOLO D’ALBA VIGNA LIRANO
L’uso dell’anfora per restituire l’essenza più pura del nebbiolo
Nel panorama della viticoltura piemontese, la ricerca sull’identità del nebbiolo ha portato Enrico Rivetto a sperimentare nuove vie espressive. Il Nebbiolo d’Alba Vigna Lirano nasce dalla volontà di esplorare la purezza del vitigno attraverso l’uso dell’anfora, in un percorso che unisce tecnica e sensibilità. Un progetto che affonda le radici nella filosofia biodinamica dell’azienda e che trova nella collina di Lirano il suo habitat ideale. “Il Nebbiolo d’Alba Vigna Lirano nasce un po’ per curiosità e un po’ per gioco. In diverse regioni d’Italia, come Friuli, Sicilia e Abruzzo, si sono sempre fatte lunghe macerazioni in anfora, per cui iniziai a sperimentare anche io, considerando anche la capacità del nebbiolo di prestarsi bene ai lunghi invecchiamenti.” spiega Enrico Rivetto.
Dietro questa curiosità, però, c’è anche una provocazione, ovvero andare alla ricerca dell’essenza del nebbiolo per ritrovare la sua versione più pura, senza influenze esterne che alterino la natura del vino. Per raggiungere questo obiettivo, Rivetto ha scelto la terracotta, uno dei materiali più antichi utilizzati nella vinificazione. Grazie alla proprietà traspirante dovuta dalla sua porosità, permette una delicata ossigenazione senza cedere aromi. Inoltre, la presenza della buccia per periodi prolungati, permette la formazione di catene tanniche molto raffinate, conferendo complessità al nebbiolo. È stato dedicato molto tempo alla sperimentazione dei diversi tipi di anfora per individuare quella più adatta, dapprima con i palloni toscani in terracotta, poi i Kvevri georgiani da 15-20 ettolitri, scelti per la loro ottima traspirazione, che esalta il processo evolutivo tra la buccia del nebbiolo e il vino.
“Stiamo anche sperimentando con l’argilla locale.” racconta Enrico. “L’anno scorso, con l’aiuto di un artigiano, abbiamo realizzato la prima anfora in argilla di Lirano, fatta con materiale recuperato a 50 metri sottoterra, in seguito ad alcuni lavori nella vigna. Stiamo quindi iniziando a testarla e vedremo come si comporterà.” Rivetto ha scelto di adottare tecniche di vinificazione ancestrali per il Vigna Lirano, con lunghe macerazioni e fermentazione spontanea in anfore di terracotta utilizzando lieviti indigeni. Questa scelta permette di esaltare la purezza e la freschezza del Nebbiolo, offrendo un profilo organolettico unico. La vinificazione si svolge in terracotta, un materiale neutro che, pur permettendo una leggerissima ossigenazione rispetto all’acciaio, consente di conservare assolutamente intatto il profilo varietale delle uve. “Per quanto riguarda la vinificazione non c’è molto da dire, perché il nostro intento è proprio quello di intervenire il meno possibile – spiega Enrico.
Dopo la vendemmia manuale, si passa alla diraspatura e poi alla pigiatura, per proseguire con la macerazione in anfora di diversi mesi. Una volta terminata la fermentazione, l’anfora viene sigillata fino alla primavera, quando viene svinata all’incirca in maggio, per poi sostare qualche mese nel cemento per sedimentazione, così da stemperare senza influenze, che verrebbero invece da altri materiali come il legno. Dopo l’imbottigliamento, il vino riposa per almeno sei mesi prima della messa in commercio.” Questa metodologia conferisce al vino una personalità distintiva, in cui emergono sfumature vegetali più marcate rispetto ai nebbioli vinificati tradizionalmente, dove appare maggiormente la parte del frutto. “È un vino che consiglierei naturalmente a un pubblico giovane, ma in realtà è per chiunque sia curioso e voglia mettere in discussione ciò che viene normalmente concepito come nebbiolo.
È un vino che abbinerei con tutto e con niente, nel senso che ha la semplicità per essere abbinato a qualsiasi portata, ma al contempo necessita una profondità di pensiero per essere degustato così com’è. Se lo paragonassi a una persona la descriverei, infatti, come genuinamente scomoda, vera, che non ha paura di dire chi è, senza sovrastrutture e trasparente.” racconta Rivetto. Anche l’etichetta ha storia particolare, un po’ provocatoria e che si lega bene alla sua personalità. “Iniziai a produrlo nel 2014, ma per due anni venne bocciato alla commissione d’assaggio in quanto non aveva le caratteristiche standard del nebbiolo. Per reazione di pancia iniziai a usare un’etichetta fatta casualmente da mia figlia a sei anni, che stava disegnando il logo aziendale. Mi sembrò un modo un po’ dissacrante per rappresentare un nebbiolo, che secondo alcuni non poteva essere considerato tale, e per questo scelsi di usarla proprio come etichetta.”
Paola Chiapasco
ZERO TOLLERANZA PER IL SILENZIO: IL RUZZESE SI FA VOCE, VINO, DICHIARAZIONE D’INTENTI
Zero Tolleranza per il Silenzio non è solo un vino. È un atto di coraggio, una presa di posizione. È il rifiuto di restare in silenzio, di lasciarsi scivolare addosso la vita senza dire la propria. Nasce a Bonassola, nel Levante ligure, tra le vigne affacciate sul mare di Ca’ du Ferrà, dall’incontro tra storia e contemporaneità, tra la volontà di recuperare un vitigno dimenticato e il desiderio di dare forma nuova a un’identità. Il Ruzzese, uva autoctona dalle radici profonde, per la prima volta “si veste di bianco fermo” e lo fa con potenza, eleganza e visione. Dopo la prima vinificazione in versione passito con il progetto “Diciassettemaggio”, i produttori Davide Zoppi e Giuseppe Luciano Aieta hanno deciso di esplorare una nuova via, affiancati dall’enologa Graziana Grassini.
L’intuizione nasce dal passato – come testimonia già Andrea Bacci nel 1596 – ma guarda dritta al futuro. Il Ruzzese, con la sua acidità fissa e la maturazione tardiva, è un vitigno contemporaneo nella sua essenza e resilienza, resistente alla siccità e al cambiamento climatico. Il progetto si inserisce nella missione della Comunità Slow Food per la Protezione e Valorizzazione del Ruzzese del Levante Ligure, di cui Ca’ du Ferrà è parte attiva. Un impegno condiviso che unisce agricoltura, etica e territorio in un’ottica di tutela e rigenerazione. «Siamo partiti da una sensazione. Il desiderio di raccontare il nostro territorio attraverso un linguaggio che unisse bianco e nero, passato e presente, il gesto antico della vigna e l’urgenza moderna di farsi sentire. Questo vino – raccontano Davide e Giuseppe – è la sintesi di un percorso fatto di studio, sperimentazione e ascolto.
È il nostro modo per dire che il silenzio non fa per noi. Che ogni bottiglia può essere una voce. E che la bellezza sta anche nel rompere gli equilibri, per crearne di nuovi.» Il nome, Zero Tolleranza per il Silenzio, è frutto di una riflessione profonda: una provocazione culturale, prima ancora che estetica. È un messaggio rivolto al mondo, ma anche un invito alla responsabilità individuale. Contro l’omertà, l’indifferenza, la paura di esporsi. Anche il vino, nella sua espressività, diventa vibrante e diretto: non rimane mai muto nel calice, ma dialoga, sorprende, stimola. A dare corpo e anima al progetto, l’enologa Graziana Grassini, che ha seguito passo dopo passo il lavoro nei filari, la vinificazione e l’evoluzione del vino: «Il Ruzzese è un vitigno meraviglioso, capace di raccontarsi prima ancora che diventi vino.
Il risultato è un riflesso limpido dell’uva, come se la vite avesse già scritto, con il suo gesto, la storia nel calice.» La presentazione ufficiale si è svolta il 27 marzo presso la Biblioteca Internazionale “La Vigna” di Vicenza, luogo simbolo della cultura enologica europea. L’evento, arricchito da un’esperienza immersiva sulle note evocative di Zero Tolerance for Silence di Pat Metheny, ha visto gli interventi del Prof. Franco Mannini, esperto di genetica viticola, dell’agronomo dell’azienda Gabriele Cesolini e dei protagonisti del progetto, Davide e Giuseppe. Anche la bottiglia racconta una storia: l’etichetta, con uno strappo netto, svela il nome come una dichiarazione.
Una piccola rivoluzione visiva, coerente con la filosofia che accompagna tutto il lavoro dell’azienda. Con sole 635 bottiglie prodotte per l’annata 2023, Zero Tolleranza per il Silenzio si colloca all’apice della gamma aziendale. Ma soprattutto, segna l’inizio di un nuovo percorso. Un vino che è punto di arrivo e di partenza, linguaggio e contenuto, gesto agricolo e pensiero culturale. Un vino che parla. E invita a fare altrettanto. Informazioni: www.caduferra.wine Sarà possibile degustare Zero Tolleranza per il Silenzio a Vinitaly dal 6 al 9 Aprile a Verona presso lo stand Ca’ du Ferrà - Padiglione 8, Area C8/C9, Desk 3.
Federica Schir
MANDRAROSSA SCOMMETTE SULLA MENFI DOC: NUOVA DENOMINAZIONE PER URRA DI MARE
Al Sauvignon Blanc, che debutta con la nuova annata a Vinitaly, seguiranno le altre referenze del brand. Obiettivo: rilanciare e valorizzare la denominazione Consapevole del ruolo di ambasciatore del territorio, Mandrarossa – top brand di Cantine Settesoli – scommette sulla Menfi Doc e debutta a Vinitaly con l’annata 2024 di Urra di Mare, rivendicando l’etichetta non più come Doc Sicilia, ma con la denominazione menfitana. In un futuro prossimo passeranno da Sicilia Doc a Menfi Doc anche i vini Cartagho, Bertolino Soprano, Cavadiserpe, Santannella e Bonera. L’obiettivo di Mandrarossa è infatti rilanciare e valorizzare la denominazione puntando sulla forte identità territoriale ed enologica, oltre che sull’enoturismo. “Il territorio menfitano – spiega Giuseppe Bursi, Presidente di Cantine Settesoli – è un luogo unico, dove le condizioni per la viticoltura sono ottimali: la zona si estende fino a 440 metri di altitudine, con significative escursioni termiche e la costante presenza di brezze marine.
Queste caratteristiche donano ai vini Menfi Doc di Mandrarossa una spiccata mineralità, acidità e freschezza, peculiarità che li rende immediatamente riconoscibili. Su queste colline si trovano inoltre cinque diverse tipologie di suoli: dopo un attento studio di zonazione abbiamo selezionato i terreni più vocati per ciascun vitigno, conferendo ancora più valore ai nostri prodotti. Il nostro obiettivo è dunque sottolineare il forte legame tra Mandrarossa e il suo luogo d’origine, ancora poco conosciuto e valorizzato”. Un’altra leva fondamentale per la promozione della Menfi Doc è l’enoturismo, asset strategico in cui Mandrarossa crede fortemente: “Qui le colline incontrano il mare, accanto ai vigneti troviamo distese di ulivi: è un paesaggio ancora incontaminato, un incantevole idillio mediterraneo. Quando accogliamo le persone nella nostra winery, raccontiamo anche di questo luogo selvaggio e di grande fascino. Promuovere il menfitano significa puntare sul turismo esperienziale: la bellezza della natura deve diventare un valore aggiunto per attrarre i visitatori e dare slancio alla denominazione.
Per preservare questo patrimonio straordinario dobbiamo pensare anche al futuro, facendo fronte ai cambiamenti climatici in atto: stiamo adottando potature più corte, reti ombreggianti e valutando l’utilizzo di portainnesti resistenti, oltre che promuovendo tra i nostri soci tecniche di aridocultura”. Il primo vino Menfi Doc è Mandrarossa Urra di Mare, 100% Sauvignon Blanc. L’azione benefica delle brezze marine regala un vino fresco dalle delicate note vegetali, un’espressione nuova e territoriale del Sauvignon. Di colore giallo paglierino con riflessi dorati brillanti, il suo profumo è intenso, con aromi di agrumi, pesca, albicocca e sentori di menta e basilico. Al palato presenta ottima armonia tra aromi di frutta e mineralità, con un finale fresco e persistente.
Mandrarossa Nata nel 1999 a Menfi, in provincia di Agrigento, Mandrarossa è il brand ontrade di Cantine Settesoli dedicato alla ristorazione, alle enoteche e ai wine bar italiani e internazionali. I suoi vini sono frutto di oltre vent’anni di studi mirati a individuare la perfetta combinazione tra varietà e terroir. Questa ricerca ha consentito a ogni tipologia di uva di esprimere al meglio le proprie potenzialità, dando vita a vini che raccontano una Sicilia diversa, innovativa e autentica, che non risponde agli stereotipi. Una Sicilia che non ti aspetti.
Stand Vinitaly Cantine Settesoli - Mandrarossa: Padiglione 2 – Stand D39 Ufficio Stampa Chiara Brunato | Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. | 371 3350217 Veronica Guerra | Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. | 380 2363563
VECCHIE TERRE DI MONTEFILI È ANFITEATRO:IL SIMBOLO DI UN'EREDITÀ SENZA TEMPO 50 ANNI DI UN VIGNETO STRAORDINARIO:
La Leggenda di Anfiteatro Vecchie Terre di Montefili è Anfiteatro. Questo vino ha sempre rappresentato l’espressione più profonda dell’azienda, il simbolo di un viaggio iniziato nel 1975 con la piantumazione della sua prima vigna. Quest’anno, Montefili celebra con orgoglio il 50° anniversario di questo sito straordinario, testimone vivente di mezzo secolo di dedizione, cura meticolosa e rispetto assoluto per la terra. Un Vigneto che Racconta una Storia, un Ecosistema Vivo Adagiata a 500 metri sul livello del mare, la vigna di Anfiteatro è un luogo di rara bellezza e incredibile energia. Qui, le viti affondano le loro radici in suoli ricchi di Galestro, una composizione sassosa e ben drenante che favorisce la profondità e la complessità del vino.
Il microclima unico—con giornate calde tipicamente toscane e notti fresche—garantisce un Sangiovese di straordinaria finezza, equilibrio ed eleganza. Anfiteatro è molto più di un vigneto: è un ecosistema vivo, il cuore pulsante di Montefili. Simbolo della sinergia perfetta tra terra e vite, tra tradizione e visione, questa vigna è stata preservata con un rigoroso processo di selezione massale, per garantire che il suo patrimonio genetico venga tramandato intatto alle future generazioni. Un testimone di longevità e finezza, il Sangiovese di Anfiteatro resiste in modo eccezionale al passare del tempo. Degustare un’annata 2015 oggi significa scoprire un vino di grande profondità e struttura, mentre una 2008 svela un’evoluzione straordinaria, con sfumature complesse e stratificate - la prova dell’eccezionale capacità di invecchiamento di Anfiteatro.
“La vigna di Anfiteatro è un’eredità che curiamo con un’attenzione meticolosa: ogni ceppo viene seguito con scrupolo, nel rispetto della sua età e del suo equilibrio naturale. La nostra filosofia è quella di ascoltare la vigna e accompagnarla nel suo ciclo, senza forzature, per ottenere un Sangiovese che sia pura espressione del suo terroir” – afferma Serena Gusmeri, enologa di Vecchie Terre di Montefili. Un Vino che guarda al Futuro Anfiteatro non è solo un vino: è l’anima di Montefili, una testimonianza di passione che guarda avanti senza dimenticare le proprie radici.
Con la sua struttura raffinata, acidità vibrante e profondità aromatica, Anfiteatro è un Sangiovese di potenza ed eleganza. Le sue note di ciliegia nera matura, erbe selvatiche, violetta e spezie sottili si intrecciano armoniosamente, evolvendo nel tempo in un vino di straordinaria complessità. Con 50 anni di esperienza e dedizione, Vecchie Terre di Montefili continua il suo impegno per l’eccellenza, custodendo con orgoglio questo angolo straordinario del Chianti Classico. La storia di Anfiteatro non è solo un racconto del passato, ma una promessa per il futuro: affinché questo vino iconico resti un ambasciatore senza tempo del suo terroir.
Lara Buscato