NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta.

Approvo

Cibi

7 RICETTE NATE PER SBAGLIO E DIVENTATE DI SUCCESSO

 

Dalla cotoletta sbagliata al ghiacciolo, i piatti e gli ingredienti creati come “rimedio”

che piacciono più degli originali

 

La cotoletta sbagliata di Matteo Stefani, ristoratore della micro-catena di locali *Anche

Si dice che sbagliando si impara, ma alle volte uno sbaglio si può rivelare un grande successo, anche migliore dell’originale. In cucina capita spesso di sbagliare, ma la storia è piena di errori che si sono rivelati dei capolavori, apprezzati da tutti.

Ultimo caso quello della cotoletta sbagliata nata nella capitale del piatto, Milano, nella cucina di un ristoratore. Matteo Stefani ha saputo trasformare quello che era nato come esperimento il suo marchio di fabbrica e il modo per sopravvivere alla crisi scatenata dalla pandemia lo scorso anno. Ma gli errori celebri in cucina sono molti, anzi molte ricette golose o prodotti sono nati da distrazioni, mancanze di ingredienti in cucina o addirittura per scherzo.

 

TARTE TATIN

Si racconta che a fine Ottocento una delle due sorelle Tatin, proprietarie dell’Hôtel-restaurant Tatin di Lamotte-Beuvron nella Loira in Francia, si sia dimenticata di mettere la pasta brisée nella teglia preparando la torta di mele. Invece di buttare tutto, mise la pasta sopra tutto e rovesciò la torta solo una volta finita la cottura. Il successo fu immediato e la torta di mele sbagliata divenne piatto simbolo dell’hotel e poi copiata in tutto il mondo.

 

COTOLETTA SBAGLIATA

La più giusta cotoletta sbagliata d’Italia nasce da una casualità in uno dei ristoranti della micro-catena di locali *Anche di Milano. Il macellaio chiede al proprietario Matteo Stefani di aiutarlo a smaltire braciole di maiale e lui chiede cosa possa farsene: “Cotolette”. “Un milanese come te che mi propone di fare la cotoletta con braciole di maiale, invece che con il vitello?”. E lui pronto: “Chiamala sbagliata allora!”. Così ha preso vita la cotoletta sbagliata: lonza di maiale, uova, pane panko, mandorle, arancia e cristalli di sale, fritta in burro immersione. Durante il 2020, con i ristoranti chiusi, Stefani ha iniziato a confezionare sottovuoto le sue famose cotolette spedendole in tutta Italia e in Europa.

 

CRÊPES SUZETTE

Anche un altro dolce d’Oltralpe, e famoso in tutto il mondo, è stato creato per un errore di distrazione. Nel 1895 Henri Charpentier, apprendista cuoco e cameriere del Monte Carlo Café di Parigi, bruciò la salsa di accompagnamento delle crepês. Molto probabilmente l’errore fu dettato dall’emozione: in sala ad attendere il dolce c’era il principe di Galles Edoardo, figlio della regina Vittoria. Assaggiando per curiosità il risultato, cuoco e aiuto cuoco lo trovarono buono e decisero di servirlo. I commensali ne furono entusiasti e chiesero di nominare il dolce con il nome dell’unica donna seduta a tavola, Suzette.

 

CORN FLAKES

Alzi la mano chi non li ha mai mangiati… A inventarli nel 1894 furono i fratelli Kellogg in un tentativo di creare un alimento per i pazienti del loro sanatorio. Durante la preparazione sorsero dei problemi tra i pazienti e i due dovettero abbandonare la preparazione. I semi di grano cotto divennero immangiabili, almeno com’erano allora. Decisero di lavorarli ancora, appiattendoli e ottenendo dei fiocchi granulari. Questi vennero tostati, zuccherati et voilà… i corn flakes conquistarono le tavole delle colazioni di tutto il mondo.

 

GORGONZOLA

È uno dei formaggi più gustosi, almeno tra quelli italiani la cui origine non è certa. Una delle storie più affascinanti rispetto alla sua nascita vuole che sia nato per sbaglio o meglio per una dimenticanza di un oste originario di Gorgonzola che avrebbe messo alcuni stracchini freschi in una cantina troppo umida e questi, invece di conservarsi, svilupparono rapidamente muffe verdi. Senza scorraggiarsi l’oste assaggiò il formaggio e scoprì che era buonissimo, lo servì nella sua osteria e da subito diventò molto richiesto.

 

PANETTONE

Altro simbolo di Milano, il Panettone è il rimedio a un guaio accaduto nelle cucine di Ludovico Il Moro la vigilia di Natale, quando il cuoco bruciò il dolce. Il garzone del cuoco, Toni, cercò allora di improvvisare utilizzando gli ingredienti che aveva a disposizione per aggiustare l’impasto rimasto. Gli Sforza si innamorarono del risultato che chiamarono pan de Toni, da cui panettone. Seppure abbia tutto il sapore di una leggenda, è troppo affascinante per non credere che sia vera.

 

GHIACCIOLO

Tra gli errori “in cucina” più belli c’è la storia di Frank Epperson, un bambino di 11 anni che una sera nel 1905 lasciò nella veranda di casa un bicchiere con dentro un bastoncino che usava per mescolare la bevanda gassata. Di notte il liquido si ghiacciò e la mattina con un po’ di fatica il bambino riuscì a far uscire il “cubo di ghiaccio” e a tenerlo in mano grazie a quel bastoncino, scoprendo che la bevanda si poteva comunque “bere”. Dopo quasi 20 anni, nel 1924, il ragazzo brevettò la sua invenzione.

 

Irene Longhin - Marta Rezzolla

FOOD: DALLA PIZZA AL SUSHI, IL DELIVERY CONQUISTA GLI ITALIANI

 

LA CLASSIFICA DEGLI ALIMENTI PIÙ ORDINATI E I CONSIGLI DELL'ESPERTA PER CONSERVARLI CORRETTAMENTE ED EVITARE BRUTTE SORPRESE

 

La classica pizza mangiata guardando la partita in tv? Mai riscaldarla in forno quando è ancora nel cartone. Ben venga il gelato, ma solo se la vaschetta non viaggia troppo a lungo e viene finita nell’arco di pochi giorni. Il cibo a domicilio ha più gusto se è sicuro: troviamo tante indicazioni utili nel vademecum della MOCA Specialist Serena Pironi.

 

Complici le misure di contenimento del Covid-19 che hanno costretto bar e ristoranti ad abbassare le serrande, ormai da un anno la classica cena fuori ha lasciato il posto al delivery. I dati dell’Osservatorio 2020 di JustEat sono eclatanti: il solo delivery mediante app e piattaforme digitali ha raggiunto lo scorso anno un valore stimato tra i 700 e gli 800 milioni di euro e nel 2021 procede spedito verso la soglia del miliardo. A questo giro d’affari bisogna poi aggiungere quello di tutti i bar e i ristoranti che raccolgono gli ordini per telefono “alla vecchia maniera”. Più che a una semplice moda passeggera, siamo di fronte a un’evoluzione delle nostre abitudini, come dimostra il fatto che ormai 9 consumatori su 10 annoverino la consegna di cibo a domicilio tra i servizi essenziali. Tant’è che il nuovo trend sono le dark kitchen, locali che non hanno tavoli né arredi perché gli unici a frequentarli sono i rider.

 

Sappiamo che bar e ristoranti devono seguire norme e ispezioni molto severe, ma cosa succede quando le pietanze escono dal locale diretti verso le nostre case? “Ad oggi non esiste una normativa verticale che disciplini il food delivery; solo la regione Veneto durante il lockdown ha emanato alcune linee guida vincolanti per il proprio territorio” spiega Serena Pironi, tecnologa alimentare e MOCA Specialist. In tempi di pandemia, va da sé che la nostra preoccupazione numero uno è il contagio. “Appena il rider consegna la busta, è bene tenere l’imballo esterno fuori dalla sala da pranzo, buttarlo nella spazzatura e igienizzare la superficie dov’è stato appoggiato. Dopodiché bisogna lavare accuratamente le mani con acqua calda e sapone o, in alternativa, un gel igienizzante”. Non sapendo dove sono stati i contenitori né chi li ha toccati, è buona norma travasare il cibo: ci toccherà lavare un piatto in più, ma ci guadagneremo in sicurezza.

 

Poi entra in gioco un’altra questione, garantire che la pietanza arrivi a destinazione in condizioni igienico-sanitarie ottimali. La regola di base che gli esercenti devono seguire è una: “Scegliere i MOCA (materiali e oggetti a contatto con gli alimenti) che siano idonei al contatto con quella specifica pietanza e resistano alle temperature di stoccaggio e di trasporto. L’alluminio per esempio non va d’accordo con i cibi acidi, le plastiche invece non sono tutte idonee al contatto coi grassi”, continua Pironi. Ma come facciamo a capire se la confezione che ci viene recapitata dal nostro ristorante preferito è quella corretta? Se avanziamo qualcosa, possiamo tenerlo da parte? Serena Pironi viene in nostro aiuto passando in rassegna le 10 cucine più ordinate in Italia secondo l’Osservatorio di JustEat e condividendo con noi delle vere e proprie “istruzioni per l’uso”.

 

1.           Pizza. Compagna irrinunciabile delle serate conviviali e delle partite di calcio in TV, la pizza è l’autentica regina della tavola degli italiani. “Le normative vietano i cartoni riciclati perché, con il calore della pizza, potrebbero rilasciare sostanze potenzialmente dannose. Un cartone a norma è contrassegnato dalla scritta ‘per alimenti’ o dal simbolo di idoneità alimentare e, se stracciato, all’interno dovrebbe essere di colore bianco o avana. Questi requisiti però non garantiscono al 100% che il materiale sia sicuro”, spiega Pironi. Visto che le sostanze migrano con il calore, riscaldare la pizza mettendola in forno dentro il suo cartone è una pessima idea: dovremmo liberarci anche dall’abitudine di mangiarla nel cartone, perché rischiamo di portarne alla bocca qualche piccolo frammento.

2.           Hamburger. Merita un po’ di attenzione anche l’hamburger, secondo in classifica, perché arriva caldo ed è costituito da un mix di ingredienti acidi, grassi e acquosi. Il contenitore può essere in carta o multistrato con alluminio, purché a contatto con l’alimento ci sia una materia plastica.“Tassativo che ci sia un contenitore separato per le patatine, sia perché contengono più sostanze grasse, sia perché – a differenza del panino – devono rimanere croccanti”, continua la MOCA Specialist. E se l’abbiamo ordinato ma, per vari motivi, decidiamo di tenerlo da parte per il giorno dopo? “Di base, un hamburger andrebbe consumato entro mezz’ora o poco più, sia per mantenerne il sapore sia per evitare la proliferazione di microrganismi. In alternativa, dovremmo raffreddarlo rapidamente (non in frigo, ma magari in un contenitore immerso in acqua fredda e ghiaccio) per poi riscaldarlo bene al cuore prima del consumo”.

3.           Sushi. Non sarà parte della nostra tradizione, ma il sushi negli ultimi anni ha conquistato tutti o quasi, tanto da ritrovarsi sul terzo gradino del podio. Per gustarlo senza pensieri, innanzitutto dobbiamo affidarci a un ristorante di fiducia che abbia seguito scrupolosamente le norme igieniche, abbia eseguito il trattamento di bonifica contro il parassita aniskis e l’abbia refrigerato immediatamente. “La catena del freddo non va mai interrotta. Se il sushi ci arriva nella stessa busta di un piatto caldo, corriamo ai ripari”, commenta Pironi. Se ne abbiamo ordinato troppo, possiamo conservarlo in un contenitore coperto nel ripiano più freddo del frigorifero, a patto però di consumarlo al pasto immediatamente successivo.

4.           Cinese. Appena fuori dal podio troviamo un’altra cucina etnica, stavolta quella cinese. A caratterizzarla è un largo uso di salsa di soia (salata), aceto di riso (acido) e altre salse, che possono risultare aggressive per i contenitori in alluminio o in carta. “I materiali più inerti sarebbero vetro o acciaio inox, ma non si prestano all’usa e getta. La plastica è adeguata ma solo per il tempo strettamente necessario”, puntualizza la MOCA Specialist, invitandoci a travasare in un piatto la nostra porzione di noodles o maiale in agrodolce.

5.           Pollo. Per l’assenza di acidità e la presenza di grassi, il tradizionale pollo arrosto si presta a essere confezionato nell’alluminio, ma solo se non ha sale in superficie. Bene anche alcune plastiche, purché non contengano PVC.

6.           Panini. “Il contenitore in cartone per panini può essere smaltito nella carta solo se è perfettamente pulito; se resta unto o contiene residui, va nel bidone dell’indifferenziata”, specifica Serena Pironi.

7.           Dolci. Il vero confort food del lockdown di aprile-maggio 2020 è stato il gelato; complici le giornate calde e soleggiate, gli ordini su JustEat sono aumentati del 110%. Scegliamo però una gelateria vicina a casa: “Un tempo di trasporto inferiore ai 20 minuti assicura il rispetto della catena del freddo, evita lo sviluppo di patogeni e mantiene cremoso il gelato”, avverte Serena Pironi. Se lo avanziamo, ricordiamo che un prodotto artigianale è molto più delicato di quello industriale. “Se non si è già sciolto, possiamo metterlo in freezer solo una volta e consumarlo entro qualche giorno. I cicli di congelamento e scongelamento favorirebbero il suo deterioramento microbico e chimico”. Se invece vogliamo concederci una ricca colazione domenicale a base di croissant, teniamo presente che quelli farciti con marmellata, miele e Nutella sono i più sicuri a livello igienico-sanitario.

8.           Pokè. Fino a qualche anno fa era un perfetto sconosciuto, oggi il pokè continua la sua marcia trionfale con una crescita degli ordini pari al 133% anno su anno. “In termini di sicurezza valgono le stesse indicazioni valide per il sushi: rispetto rigoroso della catena del freddo, niente avanzi lasciati in frigo troppo a lungo, evitare il contatto tra l’alluminio e le salse molto salate”.

9.           Messicano. Dichiarata ufficialmente patrimonio Unesco, la cucina messicana spopola anche in Italia. Nel 2020 i nostri connazionali hanno ordinato su JustEat circa 8mila kg di tacos (+40% rispetto all’anno precedente) e 16mila kg di burritos (+20%). “I contenitori più adatti sono quelli multistrato con coating plastico”, spiega Pironi. “Attenzione alle salse: se sono in monoporzioni devono stare a temperatura ambiente, se invece sono fatte dal ristoratore vanno refrigerate”.

10.      Greco. In chiusura della top 10 troviamo un’altra new entry, la cucina greca. “Gli alimenti che contengono tanti ingredienti, come la pita greca, il kebab o l’hamburger, hanno caratteristiche similari. È compito del ristoratore scegliere il materiale idoneo, è compito nostro verificare ed evitare gli sbalzi caldo-freddo”. 

 

“Il fatto che manchi una norma verticale sul food delivery fa pensare e, lo dico da addetta ai lavori, andrebbe affrontato. La consapevolezza dei consumatori può fare la differenza, perché lancia un segnale sia all’esercente che al legislatore”, conclude Serena Pironi. “Ormai siamo abituati a dare i voti a qualsiasi cosa: la bontà del piatto, l’efficienza della consegna, la cortesia del rider. Perché non introdurre anche un rating di qualità e sicurezza per i ristoranti?”.

 

Serena Pironi, tecnologa alimentare, si è specializzata nei MOCA (materiali a contatto con gli alimenti). Con il ruolo di MOCA Specialist, aiuta le aziende del settore alimentare e MOCA nel migliorare i processi ed a tradurre operativamente le normative cogenti e volontarie di settore. www.mocaspecialist.it

 

Giovanna Castagnetti

EXQUISA : I BOCCONCINI MIMOSA 

 

 

La proposta più deliziosa per la festa della donna!

 

L’impegno e l’attenzione di EXQUISA verso il consumatore sono da sempre la premessa per proporre prodotti che soddisfino le scelte alimentari più diverse, anche in caso di intolleranze alimentari e in base allo stile di vita. Un sodalizio che si rivela prezioso soprattutto per mamme, mogli e single di tutte le età che affrontano la sfida quotidiana di dover conciliare innumerevoli impegni con la ricerca di un’alimentazione sana e genuina, per sé e per i propri cari; un patto di fiducia e complicità che EXQUISA, alleata di Bontà e Benessere, mantiene con tutte le donne da oltre 100 anni!

 

Bocconcini Mimosa* saranno perfetti per allestire il buffet dell’8 marzo: una vera coccola, gustosa e dal colore raggiante, pensata proprio per rendere omaggio alle magiche vibrazioni della femminilità e alla gioia di essere donna. Preparata con ingredienti semplici come uova, zucchine e pane in cassetta, e farcita con Exquisa Fresco Cremoso Senza Lattosio, dal sapore così morbido e delicato che dà forma a un manicaretto stuzzicante, coreografico e delizioso, per accompagnare un divertente brindisi…al femminile! 

 

EXQUISA, Specialista dei Freschi Cremosi, offre una varietà di proposte di altissima qualità, che spaziano dai morbidi Formaggi Spalmabili, i Fiocchi di Latte Freschi, il prodigioso superfood Exquisa Skyr, agli Hummus di Ceci NOA e alla varietà di basi dolci e salate Mulino Bertotti. Tutte le sue linee sono OGM free, senza conservanti e prodotte nel pieno rispetto dell’ambiente e del territorio. 

Il Fresco Cremoso dalle Prealpi Bavaresi Senza Lattosio è disponibile nel formato da 175g al prezzo consigliato di € 1,49 e distribuito a livello nazionale presso le più importanti catene GDO.

 

*Come tutte le ricette di Exquisa, anche i Bocconcini di Mimosa sono stati realizzati da Tiziana Colombo, in arte social @nonnapaperina (ricetta in fondo). 

 

I BOCCONCINI MIMOSA

PREPARAZIONE

Lavate le zucchine, tagliate le punte, affettatele finemente, cuocetele alla griglia e poi lasciatele raffreddare. Dopo aver rassodato le uova, passatele al setaccio i tuorli con l’aiuto di un colino per sbriciolarli, riproducendo l’effetto mimosa. Raccogliete tutto in una ciotola senza esercitare pressioni per preservare l’aspetto.

In una ciotola a parte mescolate il Fresco Cremoso Senza Lattosio di Exquisa, con la maggiorana e il pepe macinato fresco per ottenere un composto soffice e delicato. Tagliate il pane in modo da creare delle fette rotonde: spalmare il composto ottenuto tra le due fette, aggiungere le zucchine grigliate e infine guarnite la superficie con le “uova mimosa”, un po’ di maggiorana e un pizzico di pepe.

Scopri altre ricette su https://www.exquisa.it/it/ricette-13.html

 

Per ulteriori informazioni:

On Point Pr – Monica Carbonio, e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Tel +39 02 3651 5820 – Mob +39 392 4565940

 

COMPANY PROFILE 

EXQUISA appartiene al Gruppo Karwendel, fondato in Baviera nel 1909 da una famiglia di imprenditori locali, oggi alla sua terza generazione: un impegno di oltre 100 anni nella trasformazione del latte per ottenere prodotti di assoluta qualità e freschezza. Presente in Italia dal 2005 15 anni con la sua sede a Bolzano, EXQUISA è stata la prima azienda a lanciare il formaggio fresco spalmabile Senza Lattosio sul mercato italiano. La sua produzione è particolarmente indicata per una dieta sana ed equilibrata, nel rispetto di elevati standard di freschezza, naturalità, affidabilità, genuinità e innovazione, che sono gli stessi principi guida dell’azienda bavarese. Dall’esordio nel mondo dei formaggi spalmabili negli anni Sessanta, nascono i Freschi Cremosi dalle Prealpi Bavaresi, i Fiocchi di Latte Freschi, le soffici Mousse di formaggio Miree, Exquisa SKYR, le basi fresche Mulino Bertotti e, nella costante attenzione rivolta alle nuove esigenze del consumatore, l’azienda valica i confini del mondo lattiero caseario, specializzandosi nel sapiente impiego di ingredienti vegetali per la produzione degli Hummus Vegetali NOA a base di ceci. Un’evoluzione che oltre a decretare EXQUISA “Specialista dei Freschi Cremosi”, arricchisce una gamma di prodotti sempre più varia, ideale per la creazione delle più svariate proposte dolci e salate e per soddisfare i gusti più diversi.

EXQUISA distribuisce i suoi prodotti attraverso i canali GDO, Discount e Food service, ed è uno dei marchi che collabora maggiormente con i più noti distributori italiani nella realizzazione di prodotti Private Label

 

Monica Carbonio

ANTONIANO E ALCE NERO, IL CIBO CHE ACCOGLIE

 

 

Dalla “Scuola del Pane” alla collaborazione sull’orto sinergico

 

 

Carpire i segreti della preparazione di pane e pizza da grandi chef come Simone SalviniMatteo Aloe e Matteo Calzolari e allo stesso tempo fare solidarietà: è quanto realizzato lo scorso febbraio con la prima edizione de “La Scuola del Pane”, 3 giornate di formazione svolte presso il laboratorio del Pane dell’Antoniano e organizzate in collaborazione con Alce Nero.

Hanno aderito al primo ciclo 44 partecipanti, iscritti ai corsi a fronte di una donazione a sostegno delle attività che Antoniano onlus rivolge alle persone che vivono in povertà ed emarginazione. E per l’occasione gli stessi chef hanno prestato servizio in forma totalmente gratuita, mentre Alce Nero ha fornito in donazione gli alimenti e gli utensili necessari all’organizzazione dei corsi.

 

Visto l’ottimo risultato, dato che sono stati garantiti circa 1500 pasti alla “Mensa Padre Ernesto”, la “Scuola del Pane” torna anche in autunno sempre presso la sede di via Guinizelli 3, con un nuovo ciclo di 4 giornate a partire da sabato 6 ottobre e per i tre sabati successivi. Stessa finalità solidale, stesso impegno ma in cattedra qualche novità. Per la nuova edizione hanno dato la propria disponibilità Matteo Calzolari, Matteo Aloe e Gino Fabbri, l’Associazione Panificatori di Bologna.

 

“La Scuola del Pane” è uno dei tanti progetti realizzati con Alce Nero, per una collaborazione ormai consolidata che pone al centro il cibo e in particolare il pane, elemento semplice ed essenziale e che rappresenta al meglio i valori di dignità umana, inclusione e rispetto che Alce Nero e Antoniano promuovono. Alla base delle molte iniziative messe in campo negli anni, torna inoltre l’incontro tra accoglienza e cultura della qualità del cibo.  

 

Da 40 anni Alce Nero si dedica alla produzione di un cibo proveniente da campagne libere da erbicidi e pesticidi, custodite e coltivate ogni giorno con rispetto. Un’agricoltura di tradizioni immutate e di innovazione, in equilibrio tra nuove tecnologie, sperimentazione di ricette ed ingredienti, e i rigorosi disciplinari che il biologico autenticoimpone.

 

Ed è su questa linea che nel 2015 viene avviato, all’interno della struttura di Antoniano e in collaborazione con Alce Nero, un orto sinergico, un progetto corposo nato con un duplice obiettivo: offrire un'attività che potesse servire a produrre prodotti utili per la cucina della mensa “Padre Ernesto” e creare uno spazio in cui coinvolgere gli ospiti che la frequentano. Nasce così una vera a propria mensa a chilometro zero, dunque, in cui i prodotti derivanti dall’orto vengono coltivati a pochissimi metri dalle cucine e in cui l’orto stesso diventa occasione per mettere in pratica il reinserimento attraverso acquisizione di strumenti spendibili nel mondo del lavoro.

 

Con il 2018 siamo al terzo anno di attività e l'orto di Antoniano è ancora uno spazio in funzione, oltre a rappresentare terreno fertile di integrazione e socializzazione: ne è un esempio la storia di Ansumana, ragazzo del Gambia coinvolto fin da subito nel progetto insieme a un gruppo di volontari, composto da giovani studenti di Bologna, e alcuni tra ospiti della mensa e ragazzi richiedenti asilo inviati da altre strutture di accoglienza. Ansumana oggi è un vero e proprio referente e grazie a questa attività Antoniano onlus è riuscito ad attivare un tirocinio formativo che ha dato la possibilità ad Ansumana di riuscire a versare un contributo per il servizio di accoglienza abitativa.

 

Dalla buona esperienza dell'orto sinergico – che lo scorso anno ha prodotto oltre 80 kg tra zucchine, pomodori, fave, patate, fagioli, fagiolini, arachidi, bieta, peperoncini, cipolle, aglio, rucola -  Antoniano onlus sta avviando la sperimentazione degli orti anche in altre strutture di accoglienza gestite da Antoniano a Bologna, come il Centro d’Accoglienza San Ruffillo che ospita persone italiane e straniere in stato di forte disagio sociale, e Casa Makeba, struttura dedicata invece ai richiedenti asilo e ai nuclei familiari colpiti dalle nuove povertà.

 

 

 

www.onlus.antoniano.it

 

Manuela Gargiulo 

BREADSTICK DAY

BREADSTICK DAY, LA PASSIONE PER I GRISSINI NON CONOSCE CONFINI: PER 7 ITALIANI SU 10 SONO IDEALI PER OGNI MOMENTO DELLA GIORNATA

 

Ricchi di tradizione e significati storici secondo i docenti universitari, leggeri e dalle numerose proprietà benefiche secondo i nutrizionisti, gustosi, facili da digerire e un must have sulla tavola per il 71% degli italiani. Sono queste alcune delle caratteristiche che rendono ancora oggi i grissini tra le prelibatezze alimentari più amate in Italia e all’estero, tanto da essere celebrati in occasione del Breadstick Day, ricorrenza che si tiene negli USA ogni anno l’ultimo venerdì di ottobre

 

Sani, leggeri, gustosi e con una storia secolare alle spalle, i grissini rimangono ancora tra le pietanze più amate non solo in Italia, la loro patria, ma anche all’estero. Nati secondo gli studiosi nel XVII secolo a Torino, i grissini sono stati apprezzati da figure storiche illustri come Napoleone Bonaparte, che creò un servizio di corriere dedicato al loro trasporto, Re Carlo Felice, che li sgranocchiava per passatempo al Teatro Regio, e Vittorio Amedeo II, che li prediligeva al pane. Una passione che coinvolge ancora oggi milioni di persone: ben il 71% degli italiani infatti considera i grissini come uno snack perfetto durante i vari momenti della giornata. Un apprezzamento che si estende ben oltre i confini del Belpaese dal momento che, come riportato dal Daily Mail, il vincitore di Masterchef Australia Adam Liaw ha ideato per i propri figli una ricetta a base di grissini e cioccolato, diventata virale in poco tempo. E ancora, come riportato su Usa Today, la catena di ristorazione statunitense Olive Garden ha proposto ai suoi clienti un particolare bouquet di grissini per celebrare San Valentino in maniera non convenzionale. Ma non è tutto, perché la passione per i grissini coinvolge anche il mondo social: su Instagram l’hashtag #grissini raccoglie oltre 61mila menzioni, mentre #breadstick e #breadsticks totalizzano quasi 200mila post. Ma qual è il rapporto degli italiani con i grissini? I momenti in cui i grissini sono maggiormente protagonisti sono la cena (54%), il pranzo (45%) e lo snack pomeridiano (39%), mentre gli abbinamenti più gettonati sono quelli con salumi (69%), formaggi (60%) e salse (53%). Tra i maggiori estimatori in rete del grissino troviamo gli italiani tra i 30 e i 45 anni (39%), mentre le regioni breadstick-lover sono Piemonte (21%), Lombardia (17%) e Lazio (15%). È quanto emerge da un’indagine promossa da Espresso Communication per Vitavigor, storico marchio dei grissini di Milano che ha deciso di celebrarli in occasione del Breadstick Day attraverso un monitoraggio online su circa 1400 italiani tra i 18 e i 60 anni su social, blog, forum e community, coinvolgendo un panel di 20 esperti tra docenti e nutrizionisti; una ricorrenza nata negli Stati Uniti e portata in Italia proprio dall’azienda del “Super Grissin de Milan”: “La passione per i grissini non conosce confini, soprattutto quando gli ingredienti di qualità e le ricette originali di una volta, come quelle di mio nonno Giuseppe, garantiscono un gusto e una croccantezza davvero inconfondibili – spiega Federica Bigiogera, marketing manager di Vitavigor – Abbiamo deciso di celebrare anche in Italia questa passione proprio perché i nostri prodotti hanno oltre 60 anni di storia alle spalle e sono amati da grandi e piccini in tutto il mondo; un amore che ancora oggi ci spinge a innovare e investire in questo settore, ricercando i trend più amati nei diversi mercati a livello internazionale e creando grissini sempre più buoni e salutari”.

 

Ma quali sono i momenti della giornata preferiti per gustare i grissini? Dalla cena (54%) al pranzo (45%), dallo snack pomeridiano (39%) agli aperitivi (37%), fino allo spuntino mattutino (22%). E ancora, i grissini sono perfetti da sgranocchiare durante le pause in ufficio (19%) e pratici da portare con sé durante gite fuori porta (18%). Ma quali cibi vengono abbinati più di frequente sulla tavola degli italiani? Se l’abbinamento più apprezzato è quello con i salumi (69%), molto gettonati sono anche gli accostamenti con formaggi (60%), salse (53%), creme spalmabili (48%), vini e drink (31%), carni bianche o rosse (28%), verdure (23%), pesce (19%), sottoli e sottaceti (16%), ma anche da soli (46%). Ma non è tutto, perché la passione per i grissini coinvolge persone di tutte le fasce d’età: tra gli amanti dei breadstick i più giovani della fascia tra i 18 e in 29 sono il 30%, gli adulti della fascia 30-45 il 39%, fino ad arrivare alla fascia degli over 50 (31%). E ancora, da Nord a Sud i grissini continuano a essere uno degli alimenti più amati e postati in rete e sui canali social, soprattutto in Piemonte (21%), Lombardia (17%), Lazio (15%), Puglia (12%), Campania (11%), Emilia Romagna (9%) e Toscana (7%). La popolarità dei grissini è davvero molto ampia, ma quali sono le ragioni storico-culturali secondo gli esperti? “La caratteristica principale della passione degli italiani verso i grissini è proprio la sua italianità – spiega Antonella Campanini, docente di Storia della cucina e delle Culture alimentari presso l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Cuneo – Seppur non abbiamo certezze storiche risalenti alla sua creazione, molti studiosi ritengono che l’inventore sia un fornaio piemontese, Antonio Brunero. Non c'è però concordia sulle ragioni dell'invenzione: c’è chi ritiene che sia stato creato per favorire la digestione di un rampollo di casa Savoia dalla salute cagionevole, altri pongono l'accento sulla necessità di essere sicuri che il pane, in un periodo di peste, fosse sufficientemente cotto per scongiurare il propagarsi dell'epidemia. In ogni caso ci troviamo nell'Italia del XVII secolo. Una storia comprovata del grissino però non è ancora stata scritta”.

 

Ma quali sono le caratteristiche più ricercate dagli italiani in un grissino? Tra le qualità che contraddistinguono il “grissino perfetto” spiccano il gusto (46%), gli ingredienti naturali (37%), la croccantezza (33%), la leggerezza o scarso contenuto di grassi (28%) e l’assenza di additivi chimici o di OGM (24%). Le proposte sul mercato delle differenti varietà di gusto però sono davvero numerosissime, ecco infine quali sono quelle più popolari in rete e sui social: oltre a quelli dal gusto classico (32%), tra i più apprezzati rientrano quelli arricchiti da semi di sesamo (18%), al rosmarino (16%), quelli realizzati con farine integrali come crusca di frumento o kamut (13%), al gusto pizza o insaporiti con pomodoro e origano (10%) e al gusto formaggio (8%) in differenti varietà. Un alimento non solo molto amato, ma anche amico del benessere e della salute, come sottolineato dal dott. Luca Piretta, gastroenterologo e nutrizionista presso l'Università Campus Biomedico di Roma: “Il grissino, oltre a rappresentare un alimento della tradizione italiana alimentare e culturale, costituisce uno dei modi migliori di introdurre la fonte più importante di energia, ovvero i carboidrati complessi. Nutrienti ed energetici dunque, ma non solo: basti pensare alla quantità di sali minerali e proteine vegetali, circa il 13% ogni 100g. Se si scelgono quelli integrali si garantisce, inoltre, anche un buon apporto di fibra. Attenzione però a verificare l'utilizzo di olio di oliva tra i grassi aggiunti per assicurare la presenza di acidi grassi salutari e all'apporto calorico superiore a quello del pane”. Dello stesso pensiero è la dott.ssa Valentina Schirò, biologa nutrizionista specializzata in scienze dell’alimentazione: “Oltre ad essere ingrediente di antipasti e aperitivi, i grissini sono alternativi alimenti spezza-fame, se possiedono però alcune caratteristiche nutrizionali. In genere possiedono un elevato valore energetico per la presenza di grassi come lo strutto. Per limitare l’apporto calorico sarà opportuno scegliere quelli con olio extravergine di oliva e farine non OGM, meglio ancora se integrali: la presenza delle fibre favorisce un maggior senso di sazietà. Altro aspetto fondamentale dev’essere l’assenza di grassi idrogenati e un contenuto discreto di sale”.

 

 

Matteo Gavioli

EUBIOCHEF

 

 

BISTECCA PATRIMONIO DELL'UMANITA': CONFAGRICOLTURA TOSCANA DICE SI' AL COMITATO PROMOTORE

 

 

 

 

 

Il presidente Miari Fulcis: «Pronti a collaborare per l'avvio delle procedure di candidatura»

                                                                       

L'associazione si schiera a favore della proposta del sindaco Nardella per inserire questo taglio di carne nella lista dell'Unesco: «La bistecca alla fiorentina è un caposaldo della nostra tradizione, rappresenta la storia e la cultura gastronomica della nostra città, e ha contribuito a trasmettere in tutto il mondo il nostro stile di vita e la passione per il gusto, la semplicità e la sostenibilità» dichiara il presidente di Confagricoltura Toscana, Francesco Miari Fulcis all'indomani della proposta lanciata dal sindaco di Firenze, Dario Nardella, di inserire questo taglio di carne nell'elenco dei patrimoni dell'umanità.

 

«Come associazione di categoria siamo pronti a fornire il nostro supporto per la costituzione del comitato promotore, così come ipotizzato da Nardella, in previsione dell'incontro del 4 ottobre con il presidente dell'ufficio italiano dell'Unesco, Franco Bernabé» prosegue Miari Fulcis.

Il primo cittadino fiorentino, dopo aver comunicato all’ambasciatrice d’Italia presso l’Unesco a Parigi, Vincenza Lomonaco, l’intenzione del Comune di Firenze, in accordo con l’Accademia della Fiorentina, di avviare la relativa procedura di candidatura, ha infatti auspicato la creazione di un “comitato promotore”.

 

«Confagricoltura Toscana è pronta a fare la sua parte» conclude il presidente. «Tutelare questo piatto significherà anche affermare e promuovere il rispetto di principi fondamentali come la sostenibilità e la tipicità dei prodotti delle nostre terre». 

 

 

Barbara Gabbrielli

NASCE “Well-Bred”, IL PANE VIOLA CHE FA BENE ALLA SALUTE

Il prodotto, sviluppato all’Università di Pisa, è a lievitazione naturale, ricco di antiossidanti e a prolungata conservabilità

 

Un pane viola a lievitazione naturale, con tre “super ingredienti” che lo rendono un prodotto in grado di coniugare gli elementi dell’innovazione e quelli della tradizione: è nato “Well-Bred”, il pane dal caratteristico colore dato dalle patate viola, ricco di antiossidanti, a prolungata conservabilità e adatto a consumatori con esigenze particolari (intolleranti al glutine, vegani, ipertesi, ecc.). Il prodotto è il frutto degli studi del gruppo di Tecnologie alimentari, in collaborazione con alcuni ricercatori di Biochimica Agraria dell’Università di Pisa, in particolare della laureanda Anna Valentina Luparelli e della dottoranda Isabella Taglieri, coordinate dalla loro professoressa Angela Zinnai. Il pane viola è stato uno dei progetti che ha partecipato alla finale del PhD+, il corso dell’Università di Pisa che insegna a pensare innovativo e a trasformare le idee in impresa

«“Well-Bred” rappresenta un prodotto in grado di sintetizzare una serie di aspetti positivi per un alimento, quali l’elevato valore nutraceutico, le migliorate caratteristiche tecnologiche e sensoriali, nonché la maggiore sostenibilità ambientale – spiegano le ricercatrici - Il prodotto può rappresentare un modello per l’intero comparto dei prodotti da forno, che prevedrebbe la rivisitazione delle ricette sia di merende o snack, per uno spuntino nutrizionalmente bilanciato, sia di quei dolci che fanno parte a pieno titolo della grande tradizione dolciaria italiana (panettone, pandoro, colomba, schiacciata pasquale, ecc.). Abbiamo scelto il nome “Well-Bred” (cresciuto bene), giocando sull’assonanza con il termine bread (pane), per valorizzare allo stesso tempo le sue caratteristiche altamente salutari».

I tre “super ingredienti” utilizzati dal gruppo di ricerca sono il lievito madreantiossidanti naturali e pectine. Il primo è il più antico metodo di lievitazione al mondo che permette di incrementare sapore, valore nutrizionale e conservabilità del pane, apportando composti probiotici e sali minerali. L'uso di pasta madre permette inoltre di ridurre o eliminare la quantità di sale aggiunta nell’impasto e ritardare il processo di raffermamento, proteggendolo dalle muffe e dal deterioramento organolettico. Inoltre, questo pane a lievitazione naturale è stato prodotto sostituendo parte della farina con un’equivalente aliquota di patate viola liofilizzate (Vitelotte) che conferisce al prodotto finale un peculiare colore viola associato a un maggior livello di composti antiossidanti. Infine le pectine, sostanze naturali contenute nella buccia della frutta (ad es. albedo degli agrumi), che essendo in grado di assorbire acqua, garantiscono migliore struttura, sofficità e serbevolezza del prodotto finale. Questi composti possono essere ricavati da altre filiere alimentari, come ad esempio quella dei succhi di frutta, contribuendo a ridurre e valorizzare gli scarti di produzione.

«L’insieme di queste considerazioni rendono “Well-Bred” un prodotto nuovo, in grado di soddisfare le esigenze di un segmento di consumatori in continua crescita, non solo in Italia, ma anche all’estero, soprattutto in quei Paesi che sono i principali importatori dei prodotti della filiera agro-alimentare italiana, come gli Stati Uniti o la Germania – concludono le ricercatrici - Inoltre, questo tipo di prodotto, che ancora è in fase di studio, potrebbe rappresentare una risorsa economica per tutti gli operatori della filiera, in particolare per i produttori primari, perché potrebbe diventare uno strumento di valorizzazione del territorio di produzione, analogamente a quanto accade spesso nel settore vitivinicolo. Un’adeguata retribuzione dei produttori di varietà di grano tradizionali (grani antichi) costituirebbe un valido aiuto per arginare la continua perdita crescente di superficie agricola utilizzabile». 

 

 

Francesca Ferretti

Ufficio stampa

Università di Pisa

tel. 050 2212220 - 113 

 
2024 © Enocibario P.I. 01074300094    Yandex.Metrica