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LORENZO "KUASKA" DABOVE

Di Mara Musante

Di bionde, brune e rosse… se ne intende davvero! 

Intervista a Kuaska, al secolo Lorenzo Dabove, il maggior esperto degustatore di birra in Italia, noto soprattutto all’estero, grande fautore del lambic e paladino dell’homebrewing.  Ci siamo dati appuntamento in una mattina di luglio 2010 all’ombra delle palme secolari dei parchi di Nervi (estrema propaggine a levante di Genova, dove entrambi abitiamo). Ci conoscevamo da qualche anno e perciò il tono è  stato confidenziale. Kuaska era appena rientrato da Roma, dove aveva partecipato alla presentazione della prima guida turistica della birra in Europa “Eurhop” della Publigiovane, di cui aveva curato la parte sull’Italia. 

 

Lorenzo, perché il soprannome, Kuaska? 

L’ho adottato il 19 novembre 1982. Recitavo delle poesie in una TV privata e avevo inventato un personaggio alieno con orecchie finte che suonava flauti da naso e scelsi questo nome.... Quando passai alla birra lo mantenni: tutti ormai mi chiamano così (eccetto mia madre). Sono sempre stato attirato dall’arte, fin da ragazzo e avrei voluto avere successo nella poesia - mia prima passione - anche se mi dispiacerebbe deludere i miei fans attuali, in particolare John Hemingway, nipote del grande Ernest, che conobbi in una trasmissione televisiva. 

 

Kuaska e una bruna!

 

Da quanti anni e come è nata in te questa passione per la birra? 

Un giorno di trent’anni fa entrai in un negozio dove c’era un angolo di delikatessen: paté, foie gras, liquori… io acquistai una birra perché colpito dal colore: credevo che le birre fossero “gialle” invece questa era “marrone” (uso i termini sbagliati apposta) la assaggiai e ne comprai altre, staccai le etichette e iniziai a conservarle. Nel frattempo facevo il traduttore di Dylan Thomas, il mio poeta preferito, e cominciai a fare recensioni sulla birra, finché fui invitato al Festival della Birra di Londra dove la prima volta lavai e asciugai bicchieri… Adesso sono il loro assaggiatore preferito! In Inghilterra ho imparato a degustare la birra ed è stata la mia fortuna, perché era difficile trovare delle peculiarità in birre simili, tutte calde e uguali, mentre se avessi iniziato in Belgio sarebbe stato un gioco da ragazzi: là c’è una fantasmagoria di birre (acide, amare, dolci…). Il mio maestro è stato l’inglese Michael Jackson, il più grande esperto mondiale di birra, omonimo del cantante americano. Ho avuto l’onore di scrivere un capitolo sulla birra italiana nel suo ultimo libro, pubblicato prima che morisse (agosto 2007). Adesso c’è chi dice che io sia il suo erede, ma lui è lui ed io sono Kuaska.

 

Sei esclusivamente un beer- taster o svolgi qualche altra attività?

Sono un beer-taster da tempo, ma nel 2002 scelsi la birra come unica fonte di reddito. Faccio magari fatica ad arrivare a fine mese, ma in questo settore sono incorruttibile e questa fama ha fatto bene a me e anche all’Italia. Inoltre scrivo moltissimo, di solito per riviste straniere. E’ una vergogna che io non abbia una rubrica su un giornale italiano... Mah, forse sarà perché mi hanno censurato più volte!

 

Kuaska giudice a Monaco di Baviera 

 

In quali paesi esteri ti rechi prevalentemente per lavoro?

Vado spesso in Belgio, dove all’inizio degli anni ’80 scoprii le birre a fermentazione spontanea dette “lambic”. Belga è anche la mia “seconda famiglia” Van Roy Cantillon di Anderlecht, Jean Pierre, che per me è il “dio della birra”, adesso è in pensione e mi chiama “mon fils” (figlio mio). Mi ritengo un combattente del lambic e sulla lapide della mia tomba - spero molto più avanti - vorrei che ci si scrivesse “Principe del Pajottenland” (dalla piccola regione del lambic) titolo che mi hanno dato i belgi e di cui sono molto fiero. Altre destinazioni dei miei viaggi sono il Regno Unito e più recentemente gli USA dove gli homebrewers sono trainanti.  

 

Quali ragioni ti hanno portato a promuovere il lambic tradizionale? 

Il lambic è proprio una passione, con cui si fa una birra difficile. C’è gente che la rifiuta perché acida, ma se si è introdotti bene a questo tipo di bevanda,ci se ne innamora, come è successo a me. Un giorno ero alle Tuilleries a Parigi, ne ho bevute dieci di seguito... mentre bevevo, degustavo anche la loro tradizione e la loro cultura. Il lambic è a rischio di estinzione: alcuni dei produttori ne producono un 94% “falso” pieno di zuccheri e sciroppi (per venderlo) inoltre si può produrre solo nella regione a sud-ovest di Bruxelles, perché lì ci sono 84 famiglie di batteri e lieviti selvaggi che formano una microflora che esiste soltanto in quella zona del pianeta. In Italia, un birraio geniale è Renzo Losi  (birrificio Panil) di Torrechiara (PR) figlio di un produttore di vino - della zona fatata del Parmigiano reggiano, del prosciutto di Langhirano, del salame di Felino e del culatello di Zibello - ha iniziato a lasciare fermentare il mosto all’aperto per una notte intera; la sua birra non la chiama certo lambic, ma semplicemente a fermentazione spontanea. 

 

Seattle WBC Jury: Kuaska con Michael Jackson 

 

Come si è sviluppato e come si sta evolvendo il comparto dell’homebrewing?

E’ un settore cardine negli USA. Il grande papà americano dell’homebrewing, Charlie Papazian, presidente dell’Association of Brewers, ha scritto un libro fondamentale “The Complete Joy of Homebrewing”. Negli States un birraio casalingo e uno professionista fanno parte dello stesso mondo. La quasi totalità dei grandi birrai americani viene dall’homebrewing. In Italia, gli homebrewers organizzano campionati ed hanno un sito vivacissimo (www.hobbybirra.com) e una delle culle dell’homebrewing è proprio Genova: qui abbiamo il grande docente Massimo Faraggi che ha scritto il best-seller “La tua birra” con l’altro “mostro” dell’homebrewing, Davide Bertinotti di Novara. Le tendenze sono due: chi fa l’homebrewer per passione e chi invece diventa professionista, investe denaro e passa a farne un’attività. Fare homebrewing è vitale per partire in modo sano come produttore professionale. 

 

Di recente sei uscito dalla Unionbirrai ed hai fondato, insieme a Davide Bertinotti, il MoBI (Movimento Birra Italiano). Quali sono i tuoi nuovi obiettivi e quanto si discostano da quelli precedenti? 

Ti ringrazio per questa domanda così chiariamo una volta per tutte... Quando, nel 1998, nacque Unionbirrai Microbirrifici io con un “golpe” riuscii a farla entrare nell’Unione Europea dei Consumatori di birra. Due anni dopo venne rifatto lo statuto e fu chiamata semplicemente Unionbirrai, si aprirono le porte a homebrewers, beer-lovers e bevitori comuni, ma ai vertici c’erano dei dilettanti poco lungimiranti, io ero l’unico con una visione internazionale. Non ci si rendeva conto che in Italia eravamo passati da ultimi, a sesti al mondo per livello di qualità e inoltre c’era un conflitto di interessi tra produttori ed homebrewers. Così ho fondato il MoBI, che è appena nato e ha già 500 iscritti, di cui molti consumatori di birra consapevoli che fanno domande per farsi una cultura sulla birra. E’ nato passo dopo passo, con Faraggi abbiamo iniziato a fare corsi - sempre “a tappo”- e a fare una legislazione sulle etichette, affinché siano più precise e dettagliate. E poi c’è il problema dei prezzi, argomento piuttosto spinoso (meglio non toccarlo). Il Presidente del MoBI, Carlo Canegallo, è genovese e la sede, è a Genova: insomma MoBI è “de Zena”, quindi, occhio ai prezzi!

 

Dabove Kuaska col suo libro

 

A distanza di 6 anni, nell’estate 2016, ci siamo incontrati per una colazione al porticciolo di Nervi e in quell’occasione Kuaska mi ha fatto un regalo, una copia del suo libro “La birra non esiste” edito da Altreconomia, con tanto di dedica. Dopo averlo letto, posso dire di avere ritrovato alcune risposte alle mie domande della precedente intervista e molto di più, ma ho avuto la conferma che Kuaska è il vero “guru” della birra artigianale.

 

 

LA BIRRA NON ESISTE

di Lorenzo “Kuaska”  Dabove 

Altreconomia edizioni

ISBN 8788865161647   14,50 €

 

 

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