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LA DIRETTISSIMA GENOVA-MILANO

A COMPAGNA

Uno sguardo al passato

 

 Articolo a firma Jacques Guiglia, pubblicato sul bollettino n° 4  Aprile 1929

 

Erano pochi anni che la «succursale» di Giovi – per la quale si erano spesi oltre 100 milioni in confronto dei previsti – era entrata in esercizio per supplire le deficienze e le difficoltà di smistare il traffico del porto di Genova, e già si parlava della insufficienza dei due valichi dell’Appennino e i tecnici si affannavano intorno allo studio di progetti, che, per mezzo di nuove vie attraverso l’Appennino permettessero di congiungere Genova alla pianura. Quando ancora il progetto della «succursale» era in corso di esecuzione già pubblicamente veniva rilevata la deficienza di questa soluzione escogitata dalle Ferrovie dello Stato; se sfogliamo gli atti della Società di Letture e Conversazioni Scientifiche vi troviamo il testo di una conferenza letta dall’Avv. Agostino Rossi la sera del 23 Luglio 1883, nella quale si accennava alla possibilità di costruire una lunga galleria, che permettesse di raccorciare notevolmente il percorso dal porto alla pianura. Sono questi gli anni delle polemiche vivacissime e talora aspre sul problema del porto di Genova: ogni anno le statistiche del movimento del nostro porto segnavano nuovi progressi: dalle 700.569 tonn. del 1874 si saliva gradualmente a 1.155.763 tonn. nel 1880, a 2.072.605 nel 1882, a 3.098.664 nel 1887, a 4.099.615 nel 1889, e poi dopo un periodo di sosta, a 4.553.931 nel 1890, 5.076.398 nel 1899, a 5.406.208 nel 1900. E ad ogni aumento di traffico si accrescevano le ansie e le preoccupazioni: il porto era insufficiente ad accogliere le navi e le merci in arrivo; le ferrovie non riuscivano a smistare con rapidità le merci dirette all’interno. Sono di quegli anni fortunosi le polemiche aspre suscitate dalla famosa relazione Gadda, apparsa nel 1896, ed il susseguirsi di interpellanze alla Camera sulla necessità di fronteggiare questo aumentato traffico, che apportava ricchezze e prosperità non solo a Genova. Inutile ricordare le vicende di quegli anni, che portarono poi alla costituzione del Consorzio, ed all’attuazione di un piano organico di grandi lavori per l’ingrandimento del Porto mercé la legge dell’agosto del 1897.

Non era però questo ciò che chiedevano le classi commerciali ed industriali di Genova: non certo questi provvedimenti, presi volta a volta, sotto l’impero delle necessità e le pressioni parlamentari, potevano risolvere quella situazione dolorosa, di cui l’on.le Fasce aveva fatto un fosco quadro in un discorso pronunciato alla Camera il 12 Febbraio del 1900. In quella stessa seduta il Ministro dei Lavori Pubblici Lacava, al quale già era stato fatto conoscere il voto espresso dal Comune di Genova per la costruzione di un quarto valico appenninico, dichiarava che la linea dei Giovi e la «succursale» avrebbero potuto provvedere allo smistamento di 2000 vagoni al giorno, dopo l’attuazione di alcuni provvedimenti.

Il Consiglio Comunale di Genova, Sindaco il compianto comm. F. Pozzo, nella sua riunione del 21 febbraio 1900 votava un ordine del giorno con il quale faceva voti che una via più celere e più diretta venisse studiata per unire Genova al Sempione. L’ing. Carlo Navone, che da anni spendeva ogni sua attività per lo studio dei problemi ferroviari, prendendo lo spunto dalla deliberazione del Consiglio Comunale pubblicava sul Cittadino del 14 marzo 1900 una lettera, la quale si può dire costituisce il vero atto di nascita della Direttissima. Scriveva l’ing. Navone: «...A Milano quindi, a Milano vicina ed italiana, io penso si giovi intendere precipuamente lo sguardo. A Milano cui manifestamente anche il Sempione dovrà apportare più diretto e maggiore profitto; imperocché un’altra via ancora aprirà il nuovo valico: «Le Chemin d’Italie». A Milano che aspira, da sola, quasi una metà del traffico del porto di Genova con l’interno».

E più avanti continuava: «Io penserei doversi assegnare a un non lontano avvenire l’allacciamento di Genova con Milano, mediante un lungo tunnel di base nell’Appennino, che facesse luogo all’impianto indipendente di una linea elettrica direttissima, la quale, per andamento, acclività, mezzi di locomozione etc. potesse consentire, fra le due città, il tragitto nel breve lasso di un’ora».

Nello stesso 1900 l’ing. Navone pubblicava sul Monitore tecnico e sul Cittadino altri articoli sostenendo la necessità di un nuovo valico attraverso il Monte Porale. Ed alla tesi dell’ing. Navone facevano eco gli altri giornali: scriveva il 14 febbraio 1900 il Corriere Mercantile, commentando le dichiarazioni del Ministro Lacava:

«Non daremo tregua all’Amministrazione del Ministro Lacava finché, dal campo delle promesse, non passi a quello dei fatti. L’esperienza del passato ci attesta che il Ministro dei LL. PP. ha bisogno di essere spinto. Spinto molto; e noi, per i nostri doveri verso Genova commerciale ed industriale, non ci stancheremo dall’adoperare il pungolo».

 

La Commissione Adamoli

Gli anni intanto passavano e nulla di concreto veniva fatto: il Municipio (Sindaco Pozzo) aveva affidato all’ing. Navone lo studio di un progetto di massima per una linea diretta Genova-Tortona, senza però speranze concrete che il progetto potesse venire attuato. L’ing. Traverso pubblicava nel 1901 un suo progetto per la costruzione di una terza galleria da Busalla a Pontedecimo in modo da dividere il movimento di ascesa da quello in discesa.

Sul finire del 1902 la Camera, dopo una discussione che ebbe larga eco in tutto il Paese, e dopo aver approvato la base costitutiva del Consorzio del Porto, votava un ordine del giorno con il quale «invitava il Governo a studiare il problema delle ferrovie che fanno capo al Porto di Genova». Fu in quella seduta che l’on. Bettolo esplicitamente portò in Parlamento, per la prima volta, il problema dell’apertura di un quarto valico attraverso l’Appennino, dimostrando la immensa portata che questo avrebbe avuto nell’accrescere la potenzialità del nostro Porto. E più tardi, nel marzo del 1903, il Ministro dei LL. PP. di allora senatore Balenzano, in adempimento alle promesse allora fatte alla Camera, (nella seduta del 2 dicembre 1902 egli aveva detto di «vagheggiare la possibilità di un nuovo valico») nominava una Commissione presieduta dal Sen. Adamoli, e della quale facevano parte tra gli altri il sen. Pelloux, il sen. Capellini, il comm. Vincenzo Crosa, il cav. E. Ehrenfreund, attuale capo del compartimento delle FF. SS. di Torino, con il mandato di «studiare il problema delle ferrovie che fanno capo al Porto di Genova e di riferire in proposito, formulando inoltre tutte quelle proposte che credesse utili allo scopo di agevolare il movimento ferroviario del porto di Genova».

Il 23 novembre del 1904 la commissione presentava all’on. Tedeschi, allora Ministro dei LL. PP., una relazione, le conclusioni della quale non erano quelle che Genova si aspettava; infatti i giornali del tempo riflettono il senso quasi di disillusione che la lettura della lunga relazione aveva determinato. ln sostanza, la Commissione si era preoccupata, nel fare precise e concrete proposte, soprattutto della questione finanziaria ed aveva perciò voluto limitarsi a suggerire provvedimenti urgenti atti a supplire alle più gravi deficienze che si erano osservate nell’esercizio. La Commissione aveva inteso predisporre, con misure non eccessivamente costose e con opere che non avrebbero poi intralciato l’esecuzione di altri grandi lavori per supplire alle necessità che inevitabilmente si sarebbero presentate in un non lontano avvenire, i mezzi per fronteggiare un movimento giornaliero di duemila vagoni. La Commissione infatti prevedeva, argomentando dall’incremento verificatosi fra il 1882 ed il 1903, che nel 1923 si sarebbe raggiunto un traffico di entrata ed uscita di 10 milioni di tonnellate; il che veniva a corrispondere appunto ad un movimento di circa 2.000 carri in partenza al giorno. La Commissione però riconosceva che, una volta avvicinatisi a questa cifra, sarebbe stato necessario adottare altri provvedimenti e tra questi in prima linea, l’apertura di un quarto valico attraverso l’Appennino.

 

Il progetto Navone

Veniva intanto a quell’epoca reso pubblico il progetto dell’ing. Carlo Navone per la «direttissima» Genova-Tortona. Il Consiglio Comunale, nella sua seduta del 10 aprile 1901, prendeva atto del progetto, approvando un voto di plauso per l’ing. C. Navone. Il progetto, scartava l’idea di una linea per Val di Lemme, contemplava la costruzione di una galleria lunga m. 19.564 con imbocco nella val Secca e con sbocco presso Rigoroso. La pendenza massima della linea era di circa l’8 per cento e la quota massima raggiunta veniva ad essere di 250 m. Il progetto, esaminato subito dai tecnici, fu approvato nelle sue linee di massima e soprattutto nel concetto che lo aveva inspirato. Però obiezioni di vario genere furono opposte circa la possibilità della sua attuazione.

 

Il Comitato Ligure-Lombardo

È in questo stato di cose che si costituisce a Genova con personalità liguri e lombarde, sotto la presidenza del sen. Erasmo Piaggio, un Comitato per la pronta esecuzione di un quarto valico attraverso l’Appennino. Mal si adattava al carattere degli industriali e dei commercianti di Liguria e di Lombardia il tergiversare intorno a un problema di tanta importanza e di tanta urgenza ed il proporre soluzioni parziali ed intese a risolvere solo in modo temporaneo la quistione delle linee ferroviarie facenti capo a Genova. Il Comitato veniva costituito nelle persone dei sigg.: Balduino Giuseppe, Bauer Roberto, Bensa avv. prof. Paolo Emilio, Bombrini sen. Giovanni, Bozzano ing. Cristoforo, Falcone avv. Giacomo, Odero Attilio, Pastorino Carlo, Piaggio sen. Erasmo, Pignone Tito, Bossi Martini sen. Gerolamo, Sciaccaluga Antonio di Genova, e Aman Edoardo, Bertarelli Tommaso, Borromeo conte Gilberto, Colombo sen. prof. Giuseppe, De Angeli sen. Ernesto, Gerli Carlo. Joel Otto, Mangili Sen. Cesare, Molina Tito, Nava ing. Cesare, Pirelli ing. G. B., Ilva Celestino, Saldini prof. Cesare, Silvestri ing. Giovanni di Milano.

Il Comitato si era proposto di studiare un proprio progetto completo per una «direttissima» Genova-Milano; progetto che doveva tener conto di tutte le obiezioni avanzate in passato e che doveva aver essenzialmente di mira lo smistamento delle merci giunte nel Porto e l’acceleramento delle comunicazioni fra Genova e la pianura.

Il 20 Dicembre del 1906 la Commissione presentava al Ministero dei Lavori PP. un’ampia e documentata relazione, nella quale, dopo aver ribadito la necessità del quarto valico Appenninico, veniva esposto per sommi capi il progetto. La relazione terminava con questa esplicita dichiarazione di somma importanza: «E perché poi non si creda che la sua opera si limiti ad una discussione prettamente accademica e ad uno studio destinato a rimanere lettera morta, esso Comitato nel presentare il progetto all’esame delle competenti Autorità Governative, si è dichiarato disposto ad assumere la costruzione e l’esercizio della nuova ferrovia: giacché siamo sicuri del buon esito finale sia dal lato tecnico che da quello economico della grande opera non lo spaventa l’ingente capitale necessario alla medesima che facilmente sarà messo assieme, quando il Governo conscio del proprio dovere di fronte ad una situazione tanto grave come quella che si presenta in oggi nel primo emporio commerciale  marittimo dell’Italia e che andrà sempre peggiorando, dia il suo incondizionato appoggio alla grandiosa opera testé progettata».

 

Il tracciato della linea

La linea, proposta dal Comitato, partiva da Genova nel largo ove trovasi il monumento al Duca di Galliera, e cioè in stazione propria assai prossima alle banchine del porto, superava con la galleria del Promontorio il nucleo montuoso a ponente di Genova, entrava nella valle del Polcevera ad est del parco del Campasso, mantenendosi poi sulla sinistra del torrente fino alla confluenza con la Secca a monte degli abitati di Rivarolo e Bolzaneto. Dopo 9 chilometri di percorso con alcune gallerie, la linea poggiava verso la sponda destra del Polcevera che attraversava con un viadotto, passando a ponente di Pontedecimo. A metà circa tra Pontedecimo e Campomorone si iniziava la Grande Galleria di valico della lunghezza di m. 18.271, con sbocco a Rigoroso. La galleria risultava costituita da due rettilinei, accordati al 23.o Km. da una curva del 7,6 per mille. Da Rigoroso la linea procedeva verso Tortona, sulla sinistra della Scrivia fino alla confluenza con il Borbera a Precipiano e sulla destra fino a Tortona; lasciando a ponente Stazzano, Cassano Spinola, Villavernia. Da Tortona a Milano la linea veniva a tagliare con un unico rettilineo, lungo 67 Km. la pianura; a Milano la linea giungeva in una nuova grande stazione tra il Naviglio Grande a S. Cristoforo e il Viale Michelangelo Buonarroti. La lunghezza della linea era di Km. 124.45, di cui ben 109 Km. in rettilineo con una pendenza massima dell’8,4 per cento [sic, n.d.r.] in un breve tratto prima di imboccare la galleria di valico, e con pendenza dal 7 al 6 per mille fino a Tortona.

 

In ore 1.25’ da Genova a Milano

Le distanze virtuali erano quindi nel progetto uguali a quelle reali, ché le pendenze massime non giungevano al 10 per mille, mentre nella vecchia galleria dei Giovi si giunge al 35 per mille e nella «succursale» al 16 per mille.

Il progetto contemplava l’adozione della trazione elettrica; dalle quattro del mattino alle 24 ogni due ore si sarebbe seguito un treno diretto nei due sensi di Genova-Milano e Milano-Genova con un treno omnibus raccoglitore che avrebbe preceduto il diretto fino a Tortona.

Calcolando una velocità di 80 Km. all’ora sulle rampe ed una di 120 Km. sui rettifili, la Commissione calcolava che il viaggio da Genova a Milano sarebbe stato compiuto in ore 1,25’ dai diretti ed in ore 2,5’ dagli omnibus ed in senso inverso rispettivamente in ore 1,20’ e ore 1,55’. La Commissione calcolava di poter trasportare giornalmente 6.000 passeggeri con 20 coppie di treni, intercalando un movimento di 70 treni merci, costituiti ognuno da 30 carri. Per il servizio merci la nuova linea avrebbe potuto così fronteggiare un movimento giornaliero di 2100 carri. Il costo della linea era considerato allora in Lire 149.300.000 (Lire 117 milioni tronco Genova-Tortona e Lire 32,5 milioni tronco Tortona-Milano). Tenendo conto del costo dei necessari raccordi, delle spese per le stazioni di Genova e Milano, per l’impianto elettrico e per il materiale mobile, il costo complessivo veniva allora ad elevarsi a 236 milioni.

Il progetto presentava quindi indubbi vantaggi tecnici sugli altri che erano stati proposti per ovviare alle critiche ed alle proteste, più o meno vivaci che già venivano adombrate in riunioni ad Alessandria ed a Torino.

I tecnici avevano tenuto conto di tutte le osservazioni precedentemente fatte preoccupandosi soprattutto della struttura geologica dei terreni da attraversare. Nulla quindi mancava perché al progetto venisse data pronta esecuzione: l’opinione pubblica a Genova ed a Milano si era dichiarata entusiasta del nobile gesto delle cospicue personalità che si erano offerte di finanziare l’opera ed unanime era l’approvazione dei tecnici circa il tracciato.

 

Speculazione?

Assai curiosa è la storia della Direttissima Genova-Milano nel periodo susseguente alla presentazione ed alla pubblicazione del rapporto e del progetto del Comitato Ligure-Lombardo: unanimemente, è riconosciuta la necessità della costruzione di un quarto valico attraverso all’Appennino, che valga a fronteggiare l’aumentato traffico del porto di Genova, ed intanto la ferrovia non si fa. Il rievocare le polemiche e le discussioni di quei giorni varrebbe quanto far rivivere una mentalità, della quale oggi va perdendosi financo il ricordo. Erano i piccoli interessi della borgata tale o del villaggio tal altro che, per mezzo dei rispettivi rappresentanti, interloquivano per fare approvare ognuno il proprio progetto; erano ideologie socialistoidi che paventavano quasi, con la realizzazione del progetto, la ricomparsa dell’iniziativa privata nel campo delle ferrovie; erano infinite discussioni bizantine sulla «produttività» o meno di un così ingente stanziamento sul bilancio statale. Ma conviene procedere con ordine.

L’offerta del Comitato Ligure-Lombardo, che ebbe il merito di mettere il governo colle spalle al muro, aveva altresì aperto il campo ad un dibattito, che raggiunse anche una certa vivacità, sulla possibilità che la costruzione e l’esercizio della nuova ferrovia Genova-Milano potessero venire assunti da privati. Non bisogna dimenticare che era da poco che lo Stato aveva riscattato dalla «Meridionale» e dalla «Mediterranea» le rispettive reti ferroviarie (non era trascorso ancora un anno da quando gli ultimi 2000 km. delle «Mediterranee» erano passati allo Stato) e non ancora era spenta la eco dei violenti attacchi dei socialisti contro l’intervento del capitale privato nel campo dei servizi pubblici. Una eco di queste polemiche si ebbe anche in Parlamento, ove, nel marzo del 1907, al sen. march. ing. Giacomo Reggio – allora deputato ed uno dei più tenaci assertori della necessità della Direttissima al quale dobbiamo rivolgere un deferente ringraziamento per le cortesi informazioni che volle fornirci – che diceva: «...Si è detto speculazione! Io dico: sì, speculazione; ma speculazione sana e previdente, che il Governo non ha alcun obbligo di lasciar fare ai privati», il Ministro dei Lavori Pubblici on. Gianturco rispondeva: «E che non si farà mai».

Mentre si perdeva del tempo in queste discussioni vane e inconcludenti, a Genova non ristava la campagna in favore della Direttissima. Il marchese Da Passano, allora a capo dell’Amministrazione Comunale, convocava il 24 febbraio del 1907 i rappresentanti dei Comuni di Genova, Milano, e Torino e in una riunione memorabile, tenuta a Palazzo Tursi, veniva approvato all’unanimità un ordine del giorno con il quale si affermava l’urgente necessità della attuazione della Direttissima, con un «allacciamento per Torino».

 

La seconda relazione Adamoli

In questo frattempo la Commissione Adamoli, che, come è già stato detto, aveva presentato nel 1904 una relazione riflettente una prima parte dei lavori, stava completando una seconda relazione, nella quale venivano prospettate le possibili soluzioni per fronteggiare l’aumento del traffico del porto in un avvenire più lontano. La relazione, riccamente documentata, e resa nota il 2 giugno 1907, così concludeva l’esame minuto e dettagliato dei vari progetti che erano stati presentati per un nuovo valico attraverso l’Appennino: «Quando saranno terminati i lavori urgenti prospettati da questa Commissione, e cioè intorno al 1927, sarà necessario che una nuova linea sia aperta ai traffici e questa è la Direttissima Genova-Tortona; è necessario quindi, dato che si prevede un periodo di costruzione da 10 a 12 anni, che si provveda subito agli studi per il progetto esecutivo». L’indomani il «Corriere Mercantile» scriveva: «La Direttissima ha avuto ormai la sanzione dalla Commissione Adamoli. Il progetto esposto lo si adotti e lo si metta in esecuzione così come è proposto, senza dubbiezze e senza tergiversazioni che parrebbero colpevoli, di fronte alle presenti esigenze della nostra attività commerciale».

Non era però ancora detto che la Direttissima fosse entrata nella sua fase conclusiva: il progetto del Comitato non era rimasto privo di ripercussione nei centri che venivano ad essere scartati dalla nuova linea. Torino, Alessandria, Novi elevano alte le loro proteste, di cui una eco troviamo anche nell’ordine del giorno del 24 febbraio 1907, in cui si parla di un «allacciamento con Torino», ed è di quell’epoca il rifiorire di numerosi altri progetti, che tengono conto di questi malcontenti locali. Citiamo alcuni fra i tracciati proposti: quello di una Genova-Gavi-Novi; quello dell’ing. Lodigiani contemplante una lunga galleria sotto l’Appennino con sbocco a Carrosio; quello dell’ing. Tancredi Attendoli per una linea Brignole-Montesano-Val Bisagno-Trensasco-Sardorella-Val della Secca e quindi galleria fino a Pietrabissara. Questa numerosa serie di progetti, che riflettevano uno stato d’animo che doveva essere più tardi esiziale all’attuazione della Direttissima aveva alquanto disorientato l’opinione pubblica, tanto che anche a Genova si riaccesero le discussioni e le polemiche: degna di essere ricordata quella tra il Caffaro ed il Secolo XIX, nella quale rifulsero la vivacità e la versatilità della penna del grande «Gandolin».

 

La “Legge delle tre direttissime”

Nel 1908 si ha il primo atto ufficiale per la attuazione del tronco Arquata-Tortona della «Direttissima»: in quell’epoca infatti, presentata dall’allora Ministro dei LL. PP. on. Bertolini, veniva approvata la famosa «Legge delle tre direttissime»: la Genova-Tortona (da prolungarsi in seguito a Milano), la Firenze-Bologna, e la Roma-Napoli, con la quale si autorizzava il Governo a fare stanziamenti in Bilancio – tra le spese straordinarie – per un ammontare complessivo di 450 milioni di lire per la esecuzione di queste linee. La Direzione delle Ferrovie dello Stato, cui veniva ad essere demandato lo studio del progetto esecutivo, iniziava i suoi lavori, creando a Genova un «ufficio staccato delle costruzioni per la studio del progetto esecutivo». Rapidamente l’ufficio provvedeva allo studio ed alla preparazione del progetto definitivo per il tratto più facile: quello della Arquata-Tortona. Il progetto preparato dalle Ferrovie dello Stato per questa tratta non si scostava sensibilmente da quello del Comitato. Con decreto del Ministero dei LL. PP. del 12 luglio del 1910 veniva finalmente approvata la costruzione di questo tronco. Stanziati i fondi occorrenti (30 milioni) il 29 novembre 1910 si procedeva all’appalto dei lavori, che venivano intensificati notevolmente nei primi mesi della guerra. Il 1° ottobre del 1916 il breve tronco della Direttissima tra Arquata e Tortona veniva aperto al traffico. Si constatò allora che il costo della linea era stato alquanto inferiore ai 30 milioni preventivati ed il Ministro dei LL. PP. poteva usufruire dei risparmi così realizzati per altri lavori urgenti.

ln quel lasso di tempo veniva pure accelerata la preparazione del progetto di quella variante Ronco-Arquata, che già la Commissione Adamoli aveva prospettata. Con questo nuovo tronco si intendeva supplire alle difficoltà del tracciato della vecchia Ronco-Arquata. Con la legge del 21 luglio 1911 veniva approvato il progetto esecutivo che contemplava una galleria sotto Borlasca, accorciando il percorso totale tra le due stazioni di circa 5 km. I lavori per questo tronco non venivano iniziati che assai tardi e solamente con il 1° giugno del 1922 poteva entrare in esercizio il nuovo tronco a doppio binario tra Ronco ed Arquata.

 

Il progetto delle Ferrovie

La Direzione delle Ferrovie, attraverso l’Ufficio staccato di Genova, aveva intanto approntato il suo progetto per il tronco della Direttissima tra Genova ed Arquata comprendente la galleria di valico ed ai primi del 1913 lo rendeva pubblico. Il tracciato proposto non era molto dissimile da quello del Comitato, che abbiamo illustrato più in alto, la principale variante era costituita da uno spostamento della galleria di valico verso ponente per la necessità di trovare condizioni geologiche più favorevoli.

La opportunità di questo spostamento aveva portato a dividere la galleria in due tronchi rettilinei, raccordati in curva: il primo con imbocco a Campomorone diretto fin verso Voltaggio nella Valle del Lemme; il secondo ripiegante verso oriente con sbocco a Rigoroso. Fu l’esame di questo progetto che fece rinascere le speranze di Torino e di Alessandria e l’agitazione dei centri lasciati fuori dalla Direttissima riprende intensa. Vediamo così novamente apparire il progetto della galleria di valico sboccante a Carrosio, che permetteva poi di scendere da un lato ad Arquata con un nuovo ponte sulla Scrivia e dall’altro l’innesto ad una nuova linea, che lungo la Valle del Lemme, attraverso Gavi e Basaluzzo si dirigesse verso il Piemonte.

In questo frattempo il sen. ing. Giacomo Reggio pubblicava sul «Corriere Mercantile» del 1° luglio 1913 un articolo nel quale, tenendo conto del contrasto sorto tra i propugnatori dei due tracciati, proponeva che all’angolo formato tra i due tronchi della galleria di valico della Direttissima, approssimativamente sotto i Molini di Voltaggio - venisse innestato un tronco per Carrosio e Gavi. Questa soluzione offriva la possibilità di dare immediata esecuzione e senza varianti al progetto preparato dalle FF. dello SS. e permetteva in un secondo tempo di innestare sulla Direttissima Genova-Milano una diramazione verso il Piemonte.

Il 7 luglio dello stesso 1918 si riuniva a Palazzo Marino il Comitato Ligure-Lombardo, presieduto dal sen. Erasmo Piaggio, con la partecipazione del Sindaco di Genova, avv. Grasso e di quello di Milano, conte Greppi, oltreché di tutte le autorità politiche di Genova, Milano e Torino. La riunione terminò con l’approvazione di un ordine del giorno con il quale, dopo una serie di «considerando››, si deliberava di comunicare ufficialmente al Governo il deciso unanime pensiero dell’Assemblea sull’assoluta improrogabilità dei lavori di esecuzione della Direttissima e di invitare il Governo ad indire senz’altro l’appalto dei lavori della galleria di valico.

Per quanto si riferiva alla diramazione verso il Piemonte, l’ordine del giorno osservava che il progetto delle Ferrovie non escludeva «la possibilità di attuare anche un eventuale raccordo in galleria per uno sbocco per Carrosio», (evidente era l’accenno alla proposta del sen. Reggio, che aveva avuto larghi consensi).

Frattanto appariva un’altra proposta dell’ing. Navone per una correzione della Genova-Ovada-Acqui-Asti-Torino con una galleria che unisse la stazione di Pontedecimo con quella di Ovada: in tal modo si sarebbero superate le opposizioni piemontesi.

 

Il progetto di Torino

Il 10 luglio aveva luogo a Torino una riunione di personalità piemontesi; dopo lunga discussione veniva deliberato di insistere in modo assoluto sul valico per Carrosio. Il 12 luglio l’Amministrazione Comunale di Torino dava mandato ad una Commissione, composta dal prof. Domenico Regis, dal prof. Vittorio Baggi e dall’ing. Francesco Lodigiani, di studiare una variante al progetto della Genova-Tortona «allo scopo di portare l’imbocco nord della galleria di valico nella valle del Lemme presso Carrosio››. La Commissione completava rapidamente i suoi studi e nel novembre presentava le sue conclusioni, con le quali proponeva tre soluzioni: un tracciato Stazzano-Carrosio-Campomorone, un tracciato Cassano-Gavi-Carrosio-Campomorone, ed infine un tracciato Cassano-Carrosio-Campomorone. Il costo della variante veniva preventivato in 34 milioni circa.

Con un senso quasi di stanchezza proseguiva intanto sui giornali genovesi la polemica con i piemontesi; troviamo così ancora sul Corriere Mercantile tre lettere del sen. Reggio per ribattere alle argomentazioni del sindaco di Carrosio ed un articolo colmo di amarezza dell’ing. Navone. Questo dibattito aveva disorientato un poco l’opinione pubblica e soprattutto aveva indotto le Ferrovie a soprassedere ad una decisione definitiva, tanto più che il Governo era assillato da ben più gravi preoccupazioni di bilancio. La situazione alla vigilia della grande guerra era ben tratteggiata, con quello spirito arguto e caustico che lo distingueva, dall’on. Cavagnari, il quale osservava che la Direttissima Genova-Milano era ormai diventata la Direttissima Genova-Tort-Osio. «Intanto – egli aggiungeva - «dum Romae consulitur – il Porto – Saguntum va espugnandosi dai concorrenti». Il movimento ascensionale dei traffici del porto pareva intanto aver subito una sosta: mentre tra il 1908 ed il 1909 l’aumento era stato di oltre 600.000 tonn., negli anni successivi invece l’incremento annuo scende a circa 150-200.000 tonn.: nel 1914 si hanno le prime ripercussioni della guerra: dalle 7.427.272 tonn. del 1913 si scende a 7 milioni 014.509 tonn.

 

“La direttissima è seppellita”

Sopravvenuta la guerra cessa ogni discussione sulla «Direttissima»; le necessità militari pongono però in rilievo di quanta utilità sarebbe stato un quarto valico attraverso l’Appennino. La Vittoria ci trova esausti fisicamente e moralmente: un senso profondo di pessimismo ostacola ogni iniziativa e fa apparire l’avvenire quanto mai incerto e difficile. Non è per vero il momento di parlare di attuazione di grandi opere ferroviarie: uno degli ultimi Ministeri, che hanno preceduto l’avvento del Fascismo, crede anzi di poter seppellire definitivamente la Direttissima e depenna dal bilancio lo stanziamento annuo di 30 milioni, che ancora veniva fatto in esecuzione del decreto del 1913, stornando dai residui le somme che erano state impegnate, ma non mai erogate negli anni precedenti.

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