NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta.

Approvo
image1 image2 image3 image3

“A COMPAGNA DI ZENEIXI”

 

A Compagna 

 

Articolo a firma F. M. Zandrino, pubblicato sul bollettino n° 6 – settembre 1928

 

La Patria degli Italiani di Buenos Ayres, l’autorevole giornale che tanta meritata diffusione si è acquisita nella capitale del Plata dove è nobile portavoce del sentimento dell’italianità, pubblica un articolo del suo chiaro corrispondente genovese, l’amico prof. F. M. Zandrino, sulla “Compagna di Zeneixi”. Riteniamo far cosa grata ai lettori riproducendolo testualmente:

 

Mi è venuto di questi giorni il dubbio che i miei lettori liguri di costà e in ispecial modo i genovesi, si siano talvolta domandati perché, io che scrivo da Genova e intenzionalmente più di tutti per i liguri, non abbia mai loro parlato di una giovane e pur potente istituzione, che è genovese per eccellenza storicamente e materialmente.

Col dubbio di esser sembrato, per lo meno, uno smemorato, m’ha nel tempo stesso addentata la coscienza, il rimorso; e il pentimento mi ha suggerito di andarlo a cercare dalla parola del padre spirituale della “Compagna”, padre che, per fortuna io ho or non è molto, l’8 gennaio di quest’anno, ricordato con deferente cordialità, ai lettori della “Patria”, alludo ad Amedeo Pescio, lo storico poeta della “Domina Maris” Genova. Questa mia corrispondenza ha avuto un premio inatteso e gradito: fu integralmente riprodotta a Genova ed a Milano: a Genova, sul “Secolo XIX”, e nella capitale lombarda sulla grande rivista “L’Eroica”.

Ho ritrovato il forte scrittore ligure, che scaldò nel suo cuore ardente a lungo, prima di darle vita “A Compagna”, di nuovo nella biblioteca Lercari, nel Palazzo dei Marchesi Imperiale. Tutt’intorno a lui, mutamente parlavano quelle anime trapassate, e pure senza tempo viventi, che sono i libri... Io interruppi il colloquio, ed egli me ne volle ancor meno, allor che seppe ch’io volevo mi parlasse per voi, lettori, della sua “Compagna”. Che l’“o” della prima sillaba suoni quasi “u” e “gna” suoni come se avesse due “g”! Dico questo per i non liguri.

 

Come nacque “A Compagna”

- Qual è l’intento fondamentale della “Compagna di Zeneixi”?

- Quello di aggruppare comunicando nella madre Genova, in un loro istituto, i Liguri tutti, in modo da formarne una sola famiglia... etnografica. Le famiglie etnografiche esistono, come esistono le regioni. Famiglia e regione sono i due primi nuclei che finiscono alle patrie, alle razze e all’umanità.

- Tuttavia, l’emigrazione e l’immigrazione...

- Comprendo quanto vuoi dire; per quanto l’emigrazione diradi e la immigrazione sostituisca, le famiglie etnografiche permangono e vivono per forza di tradizione storica e di condizioni climatiche, sarei per dire, chimico-fisiche. La famiglia ligure è una di quelle che hanno più singolari e permanenti e forti caratteristiche che le danno una sua personalità fra le altre.

- “A Compagna” è nata anch’essa dalla grande guerra?

- Sì e no! No, come concezione; sì, come fatto. Io vagheggiava una istituzione del genere, sino dall’anteguerra, una società di genovesi di Genova, o meglio di Liguri in Liguria, e me ne sono più volte intrattenuto con due amici indimenticabili, che tu pure amasti, lo squisito poeta genovese Carlo Malinverni e Salvatore Ernesto Arbocò...

Restammo un momento assorti nei ricordi lontani, nei quali passavano vive tante ombre care di amici partiti lontano, poi continuai:

- Certo l’idea geniale della “Compagna” non poteva venire che da chi, come te, vive assurto nella lontana storia di nostra terra. Anche Gabriele d’Annunzio ha fugacemente fatto il nome di essa nella “Canzone del Sangue”. Ricordi: “E la Compagna incastellava cocca e galea grossa...”.

 

A 1000 anni di distanza: dal secolo X al XXI

- Ricordo. Ho infatti richiamato a vita la “Compagna” delle storiche lontananze del 1000. Essa fu la prima istituzione democratica, che incontro al feudalesimo si costituì in Europa, dopo la lunga notte del Medio Evo. Da essa sorse, in Italia, il primo libero Comune, Zenua! Prima d’allora, la nostra città era rimasta abbandonata a sé stessa, pur pagando tributo all’Impero, per mezzo del marchese che viveva dentro terra. I suoi uomini, e, poi che hai ricordato l’Abruzzese, lo cito anch’io:

 

“... la grande schiatta

sperta di mille vie come Odisseo,

di mille astuzie arguta, assuefatta ai mali

ai rischi pronta... a spada tratta...

indomita a periglio ed a guadagno,

or tutt’ala di remi al folle volo,

or piantata nel sodo col calcagno…”

 

- I genovesi, “uomini diversi”, per difendersi e, più ancora, per vivere e conquistare, si concertarono fra loro, si... accompagnarono, si riscattarono dal tributo feudale, e così nacque il libero Comune, la Patria! Dal caos, sorsero per il senso dei padri l’ordine e la libertà, così, come più tardi, nel caos della Repubblica dilaniata dalle fazioni, Stato nello Stato, nacque o meglio fu costituito, a salvar Genova, il Banco di San Giorgio. E fu precisamente in un’altra ora di caos dissennato, quando il bolscevismo dilagante minacciava di travolgere nell’estrema rovina la Patria, che risorse nel mio pensiero l’ideale un tempo vagheggiato. E per la prima volta feci cenno di essa, scrivendo per l’inaugurazione del monumento al poeta dialettale Nicolò Bacigalupo, accennai alla opportunità di costituire una Società dei Genovesi residenti in Genova. Ripetei poi l’idea, scrivendo il necrologio del nostro indimenticabile poeta Carlo Malinverni. Debbo confessare che la prima enunciazione fu giudicata con qualche ostilità. Amici e colleghi non genovesi ed anche qualcuno genovese di sangue e di origine, vi annusarono un campanilismo inesistente, invece di vedervi quello che v’intendevo, la costituzione di un nucleo naturale e spontaneo regionale, così forte da potere con la parte contribuire a mantenere il tutto della Patria italiana.

La lotta cominciò. In quei primissimi momenti mi fu validissimo ed entusiasta collaboratore Giacomino Carbone, direttore del Museo Pedagogico Civico. Egli ebbe fede e, senz’altro, precisamente presso il Museo, s’offerse di aprire le inscrizioni alla nuova società genovese, però ancora innominata. Con gioia e stupore, constatammo subito come l’idea fosse matura; le adesioni si preannunziavano numerosissime, di persone di ogni ceto, e anche di diversa ed avversa parte politica. Me ne compiaccio qui molto, poiché “A Compagna” doveva essere ed è associazione assolutamente apolitica, per quanto di intento precipuamente patriottico. Fu ciò che mi convinse a chiedere l’adesione e l’appoggio di quel grande e nobile cuore genovese che è l’avvocato Giuseppe Macaggi, uomo popolarissimo e specchio di cultura e probità, e l’ottenni a mezzo del suo amico avv. Giovanni Guido Triulzi, che abbozzò la prima circolare che convocava la nuova società, alla quale aveva, nel frattempo, aderito anche Umberto Villa, direttore del “Successo”. Mentre accadeva quanto io narro, era avvenuta la marcia su Roma, e nei primi giorni del gennaio 1923, ebbe luogo la costituzione della nuova istituzione, che ebbe per fondatori Luigi Augusto Cervetto, Umberto Villa, prof. Giacomo Carbone, Giuseppe Macaggi, G. G. Triulzi, Gaetano Magnone, Amedeo Pescio ed i signori Camere e Ferrari. La costituzione ufficiale, cui seguì in un’altra sede la nomina dei primi Consoli, dei Consultori, dei Cancellieri, ecc., avvenne nel grande salone del Palazzo Ducale, la domenica di San Giorgio del 1923. Così “A Compagna” ha oggi quasi tanti anni quanti ne ha il Fascismo, col quale mantiene i più cordiali rapporti a modesta collaborazione di regionali al miglior avvenire d’Italia.

- Insomma un grande successo di idea e di fatto!

- E come poteva essere altrimenti con tutte le entusiastiche adesioni e collaborazioni, che sono venute dai maggiori uomini di Genova? Ti ho già ricordato Umberto Villa e Giuseppe Macaggi. Il primo, così immaturamente rapito a Genova, ha dedicato con cuore di fiamma quasi presago, tutto il suo supremo fervore alla “Compagna”. Le ha disegnato il magnifico gonfalone; con i professori Campora e Debarbieri ha tutto fatto per la fusione del campanone di Torre Ducale e cento altre cose preparava quando la morte lo percosse improvvisa.

Di Giuseppe Macaggi rimarrà classica la sua commemorazione del 10 dicembre in dialetto genovese, prosa forbita e vibrante né eguagliata, né superata. E ricordo anche Cesare Gamba, anch’esso recentemente scomparso, che diede alla “Compagna” tutta l’autorità del suo provato patriottismo; il nostro carissimo e sempre vibrante David Chiossone, ieri nominato coadiutore del Podestà, giornalista genovese che non vien meno alle benemerenze cittadine dei suoi maggiori, il prof. Giovanni Campora, l’archeologo geniale delle nostre passeggiate storiche, l’impareggiabile Gaetano Magnone, re della Darsena e del Porto, quel grande cuore del prof. Ramoino che presiede alla Commissione d’igiene cui collaborano uomini come i proff. Arduino, L. Sivori, Rapallo, Rosciano, Grossi, ecc. Né puoi dimenticare il nostro caro G. B. Leale, il sempre attivissimo avv. comm. Riccardo Castelli, gli ingegneri Olivari, Picasso, on. Reggio e cento e cento altri che ora mi sfuggono.

- Tutti “zeneixi!” Non ci sarebbe in essa un po’ di assorbimento metropolitano?

- No! No! “A Compagna” è ligure, e non soltanto genovese; e difatti buona parte di coloro che ho nominato vengono dalle due Riviere. Genova è alla testa, e non potrebbe essere altrimenti, ma “A Compagna” è viva e sola in ogni parte del mondo dove è un ligure vive e si gloria di essere tale, per modo ch’essa più che genovese, ligure o regionale, è prima di tutto italiana!

 

pastedGraphic.png

 

IL GONFALONE DELLA COMPAGNA IDEATO E DISEGNATO DA UMBERTO VILLA

 

Prima scuola d’educazione civile

- Eppure vi è chi ciancia ancora di regionalismo, nemico dell’unità, della Patria, o chi, per spirito centralista, vorrebbe vederla più che assorbita, annullata in altre istituzioni statali.

- Come pretendere che i ciechi vedano i colori, come impedire alla sciocchezza di blaterare? Ti ripeterò quanto ho detto, or non è molto, in un mio discorso per ben scolpire la missione che si è imposta “A Compagna”. Ideale scopo, speranza e volere della “Compagna” è restituire all’Italia nella sua integrità spirituale tradizionale, uno dei popoli più gloriosi d’Italia, mantenerlo nella giusta e storica via del suo destino, riscuotere a ciò tutte le sue migliori energie, alimentarle e confortarle con la storia, colla tradizione, col costume, col linguaggio; conservarlo nelle sue tumultuose correnti di immigrazione e nella massa sempre varia, e talora discorde, delle genti immigrate, uno di sangue, di volontà, d’anima, d’opera; costituire in esso, alto mirando, al passato e all’avvenire, un patriziato conscio e responsabile della nobile terra di Liguria. Ciò esprime infatti la dichiarazione statutaria, tanto deve essere sempre più fermo e luminoso e limpido. Ricordiamoci che l’Italia deve vantare le sue regioni, stupenda opera di natura e di multanime umanità, di genialità italiana, di provvidenza divina. È questa che volle, come le terre, diverse - nei mutevoli scenari pittoreschi regionali - le attitudini, le attività, i costumi; vari gli spiriti, mirabilmente espressi negli usi come nelle opere, varia la terra armoniosa con le sue genti, le storie e le glorie delle collettività diverse, e però concordi nei loro individui.

- E che cosa avete fatto?

- Forse non molto. Non è facile dissodare un terreno duro e sassoso. D’altra parte ci è necessario far attenzione che l’iniziativa non invada il campo dell’Autorità. e della responsabilità. Poi, né passato, né tendenze, né persone possono offrire subito un’armonia, che per sé stessa preesistendo avrebbe eliminato l’esistenza stessa della “Compagna”. Il nostro lavoro è oggi inteso a preparare il cantiere, gli istrumenti e gli operai per rimettere al mare la bella nave ligure che alla sua croce unisce sempre più alta la bandiera tricolore. E però dapprima, si è rifuso il bronzo storico del Campanone della torre del nostro Comune. Abbiamo voluto ciò come un simbolo, io che ho fatto la proposta così l’ho spiegata ai miei compagni e così essi l’hanno intesa. Abbiamo partecipato, come privati collegiati, alla vita pubblica, cosa che non avveniva da secoli. L’Italia ci ha avuti in tutte le sue manifestazioni presenti e concordi con Chi d’Italia è al timone. Abbiamo dimostrato come in noi non fosse alcun campanilismo celebrando con Serenissima il 12 Ottobre, la festa di Colombo e di Marco Polo. E val ricordare che questa giornata colombiana fu a Genova per la prima volta istituita. Abbiamo sollecitato che quelle ceneri dello scopritore dell’America, che qui sono conservate, nel Palazzo del Comune fossero traslatate nella nostra Cattedrale.

Ciò avverrà al di fuori d’ogni discussione o critica storica, perché “A Compagna” vuole soprattutto dare a quel trasporto un valore di sentimento e di affermazione.

- Quanti siete?

- Oggi già 25.000 e fra questi sono numerosissimi gli aderenti che abbiamo in America.

- Si maligna che molti non pagano!

- Tutti i cattolici non sono praticanti! - sorrise Pescio - Come è possibile togliere da molti spiriti il concetto che solo vale ciò che ci dà una utilità immediata? D’altra parte “A Compagna” vuole compiere un’opera spirituale, creare dal passato per l’avvenire la Chiesa dei Liguri, alla quale tutti in ogni parte del mondo possano ascendere. Ed ancor altro abbiamo fatto, ancor recentemente, qui in Genova, abbiamo eretto un ricordo che non morrà al sorriso di Gandolin.

- E l’Argentina?

- Il ministro degli esteri della repubblica, S. Gallardo, ha voluto essere nostro socio. La nostra partecipazione alle onoranze a Belgrano è stata primaria. E poi, come potrebbe la “Compagna” non amare la nobile Argentina, fecondata da tanto sangue e da tanta opera ligure? Essa è per tutti noi liguri una seconda patria spirituale; se per tanti dei nostri colà residenti la Liguria è la Madre amatissima, l’Argentina è la sposa affettuosa.

- E ora - conclusi - ti lascio la gioia severa dei tuoi studi, se tu mi confermi che “A Compagna” non fa assolutamente né della politica né del regionalismo! - Io insistevo con intenzione un po’ maligna, poi che sapevo come la mia insistenza fosse poco sincera.

Amedeo Pescio levò le braccia al cielo ed esclamò:

- Ma se “A Compagna” vuole essere una scuola d’educazione civile, come può fare della politica? E come quest’opera di educazione può essere soltanto regionale? Sarebbe come se si dicesse che l’educazione delle membra del corpo potesse portare nocumento al corpo stesso.

Penso ch’egli ha perfettamente ragione!

 

__________________________________

  

LO STEMMA DI GENOVA

 

Articolo a firma Marino Merello, pubblicato sul bollettino n° 7 – luglio 1931

 

Per loro insegna, i Genovesi presero, dopo le imprese di Terra Santa e in relazione a quelle, l’emblema della “croce rossa in campo bianco” (e altre città d’Italia ebbero consimile stemma crociato: Messina, Milano, Modena, Padova, Parma, Pavia).

Questa fu l’insegna di comunità.

Ma nel 1130, essendo stata divisa Genova in sette quartieri, ossia Compagnie, ciascuna di esse ebbe, poi, la sua propria arme.

Nel 1134 fu aggiunto un ottavo quartiere: di Porta.

La Compagnia di Castello (o Palazzolo) aveva questo stemma: un castello sopra archi con in cima la bandiera bianco-crociata. Quella di Piazza Lunga: uno scudo terzato in palo di azzurro. Quella di Porta Nova: uno scudo inquartato di azzurro e bianco. Quella di S. Lorenzo: un campo ondeggiante, rosso. Quella della Porta: con orlo rosso e un grande P in centro. Quella di Susilia: banda di rosso e campo bianco. Quella di Maccagnana (o Mascherona): partito di azzurro e bianco, o argento. Quella di Borgo: cinque pali azzurri in campo bianco.

È degno di menzione il fatto che ad alcune famiglie patrizie, e a luoghi e città di suo dominio, il Comune di Genova, in tempi antichi e moderni, permise l’insegna sua della croce rossa.

Tra le famiglie ebbero quella concessione: i Boccanegra, i Pinelli, i Cibo, i De Franchi, i Promontorio e i Passano.

Tra i luoghi: la Corsica, il Finalese (nel 1347); la comunità di Chiavari (nel 1355, e, con rinnovazione, nel 1416).

L’ultima assegnazione di quel privilegio a persona fu al duca di Boufflers nel 1748, in premio della sua difesa di Genova contro gli Austriaci.

I due grifoni che sostengono lo stemma sono derivazione dell’antichissimo sigillo della città: il grifone rosso, la croce e l’iscrizione Janua.

Si disse anche griffo il castello con tre torri scolpito su le monete. (Giustiniani - Annali - lib. 11 cap. 37).

E ancora riferisce F. M. Accinelli, sotto la data del 1244: “...e per dare in questi tempi a divedere la resistenza all’Imperatore Federico ed a’ Pisani ad esso collegati, improntarono altro sigillo cioè un Griffone che tenea sotto gli artigli acuti un’Aquila ed una Volpe, essendo l’Aquila insegna dell’Impero e la Volpe insegna comune de’ Pisani, il che si vede figurato anco al dì d’oggi in un antico marmo nella sala della Casa di S. Giorgio presso la statua di Francesco Lomellino, e prima era nella facciata di detta Casa, con sotto l’iscrizione: Griphus ut has angit, sic hostes Janua frangit”.

Occorre appena avvertire che talvolta lo stemma ebbe aggiunte di fantastiche allegorie.

In una carta bollata del 1741, i grifoni d’appoggio sono sostituiti da due rami: di palma e di alloro.

Quando, agli 11 di Giugno del 1802, la Repubblica di Genova venne unita alla Francia, e l’ultimo suo doge Girolamo Durazzo fu dal Buonaparte nominato Prefetto provvisorio del dipartimento, le insegne francesi sostituirono lo stemma crociato.

Ma soli nove anni dopo, Napoleone I con diploma del 6 Giugno 1811 riconosceva nuovamente l’arma d’argento alla croce rossa; soltanto con l’aggiunta in capo del simbolo dei Napoleonidi: le tre api d’oro (cantate da Vincenzo Monti), e senza corona e senza grifoni.

La corona ducale (cerchio d’oro gemmato sostenente sedici basse punte metà delle quali alternativamente formanti il cuore di fioroni sormontati da quattro diademi di perle superiormente riuniti sotto un globo sostenente la croce) cingeva internamente un berretto rosso. Poi, quando, il 3 Gennaio del 1637, Genova (con mezzo in apparenza religioso in essenza politico) si consacrava a Maria Santissima Regina del cielo, si mutò in corona regale, come quella dei Principi di Piemonte e Re di Sardegna.

E tale sino all’anno 1797 rimase.

Con Regie Patenti del 23 Gennaio 1816 il Re di Sardegna Vittorio Emanuele I confermò alla città di Genova il suo antico stemma sostenuto dai grifoni alati e sormontato dalla corona comitale, perché, come osservò G. F. De Ferrari, (La Nobiltà della cessata Repubblica di Genova - pagina 34): “La corona ducale si riferisce a Genova regione, laddove la corona comitale a Genova città”.

 

pastedGraphic_1.png

 

 

__________________________________

 

 

 

Margherita Oberti

 

Articolo pubblicato sul bollettino n° 3 – giugno 1928

 

pastedGraphic_2.png

 

Fin dal primo numero l’arte squisita di Margherita Oberti ha onorato le pagine di questa rivista. Alla gentile signorina nostra concittadina si devono infatti tutti i fregi intercalati nel testo e che riproducono fedelmente motivi decorativi schiettamente genovesi. I lettori che hanno seguito dall’inizio la nostra pubblicazione hanno già potuto formarsi un concetto del valore dell’artista.

La professoressa Oberti fu allieva dell’Accademia Ligustica di Belle Arti dove tosto si distinse per l’accuratezza del suo disegno, particolarmente nella prospettiva. Ne uscì diplomata per l’insegnamento del disegno nelle Scuole Tecniche e Normali. Tra gli istituti che la annoverano preziosissima docente è da notarsi, oltre alla stessa Accademia, la Scuola Industriale Duchessa di Galliera.

Molte opere insigni si devono pure alla nostra artista; Ella eseguì tra l’altro, presso l’Ufficio di Belle Arti, in una ventina di fogli, il disegno di quella importantissima veduta di Genova, che è nota sotto il nome di quadro del Grassi: difficile lavoro di interpretazione archeologica, curato a perfezione.

Abilissima miniatrice, fece molte lodate pergamene per il Comune di Genova, meritandosi caldi encomi da parte della Giunta Municipale. Ottima pittrice di paesaggio, allieva del prof. Sacheri, ha esposto lodati quadri alla Società di Belle Arti; ed anche quest’anno nella mostra del Teatro Carlo Felice si ammira una sua marina piena di luce e di movimento. Per le sue elette doti la signorina Oberti è stata chiamata all’ufficio di segretaria della Giunta d’Arte della “Compagna”. Artista nell’anima, è pure un’appassionata cultrice della musica, traendo dalla tastiera mirabili effetti melodici che rende a perfezione mercé la impeccabile tecnica che le ha fruttato il lungo, diligente studio.

2024 © Enocibario P.I. 01074300094    Yandex.Metrica