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Vini

SANTA TRESA: A VINITALY IL VITIGNO SCOMPARSO

 

 

Un vino nato dal recupero di un vitigno autoctono siciliano scomparso, riportato alla luce grazie a un progetto sperimentale. A Vinitaly (HALL 2, STAND B15) Santa Tresa fa scoprire una varietà reliquia finita nell’oblio.

Il viticoltore trentino Stefano Girelli, alla guida dell’azienda con sede a Vittoria, nel Ragusano, ha infatti riportato alla luce un vitigno che non si trovava più, l’innominabile Orisi. Innominabile perché di fatto non esiste più ufficialmente. Ci vorranno i tempi tecnici previsti dalle normative per richiamarlo con il suo nome ma intanto il vino figlio di questa varietà, l’“O” di Santa Tresa – questa la definizione attuale in etichetta – esiste e sarà tra le etichette presentate a Vinitaly dalla cantina siciliana

“O” di Santa Tresa è un vino unico, riportato alla luce grazie all’ambizioso progetto sperimentale della Regione Sicilia, gestito dal vivaio regionale intitolato a Federico Paulsen a Marsala, dove è raccolto tutto il germoplasma viticolo siciliano, avviato in partnership con l’azienda di Stefano e Marina Girelli. La vendemmia di “O” avviene nella seconda metà di settembre, con selezione delle uve in campo, raccolta in cassette da 15 kg e stoccaggio in cella frigorifera per una notte, a cui segue una pigia-diraspatura con selezione meccanica degli acini. La fermentazione avviene in botti di rovere di Slavonia di medie dimensioni, con l’impiego di lieviti selezionati e numerosi rimontaggi. Ultimato il processo fermentativo, si ricolmano le botti con lo stesso vino fino a sommergere il cappello di bucce: in queste condizioni il vino svolge spontaneamente la fermentazione malolattica e affina fino alla vendemmia successiva, quando il vino viene svinato, separandolo dalle bucce, e passato in acciaio per 4-5 mesi.

 

LE ORIGINI DEL VITIGNO E IL CAMPO SPERIMENTALE DI SANTA TRESA

L’origine di questo vitigno è stata accertata come frutto della libera impollinazione tra Sangiovese e Montonico Bianco: presente in pochi esemplari, nei vigneti più antichi dell’area dei Nebrodi, fa parte dei cosiddetti vitigni reliquia siciliani, recuperati grazie a un ambizioso progetto sperimentale della Regione Sicilia, gestito dal vivaio regionale intitolato a Federico Paulsen a Marsala, dove è raccolto tutto il germoplasma viticolo siciliano. Un’attività inserita in un vasto piano iniziato nel 2003 denominato "Valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani" che ha mirato al recupero, alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio ampelografico siciliano nella sua complessità. L’attività ha avuto tra gli obiettivi, oltre la raccolta e classificazione dei vitigni antichi cosiddetti "reliquia", anche il recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani in termini di utilizzazione viticola ed enologica e la registrazione di nuovi cloni regionali.

«Abbiamo preso parte a questo progetto con orgoglio – spiega Stefano Girelli –. Siamo convinti che il recupero e la valorizzazione dei vitigni antichi rappresenti una concreta azione nella salvaguardia della biodiversità e dei territori storicamente vocati alla viticoltura. Orisi ha trovato la sua casa in un piccolo fazzoletto della nostra tenuta esposto a Nord, dove abbiamo piantato 1523 ceppi allevati a spalliera in un terreno franco sabbioso, ricco di minerali e poggiato su uno strato di calcareniti compatte». 

La ricerca ha preso vita nel 2003 grazie all’Assessorato regionale all’agricoltura Unità operativa di ricerca sperimentazione e trasferimento innovazione che ha condotto una sperimentazione triennale per il recupero della biodiversità della vite in Sicilia.

 

Un progetto realizzato in partenariato con tre aziende vitivinicole, tra cui Santa Tresa, in collaborazione con il Centro Innovazione Filiera Vitivinicola della Regione Siciliana. Il lavoro di ricerca applicativo si è concentrato sul confronto della variabilità varietale di vitigni reliquia in siti colturali diversi sia nella Sicilia occidentale che in quella orientale, dove sorge Santa Tresa.

Nel 2008 il progetto ha visto l’impianto di circa 2.830 barbatelle innestate di diversi cloni e le cui gemme sono state prelevate presso Centro vivaio governativo F. Paulsen. Si sono approfonditi gli studi delle principali varietà caratterizzanti le risorse vitivinicole della Sicilia (Grillo, Nero d’Avola e Frappato) oltre ad alcune vecchie e quasi scomparse varietà che rappresentavano un serbatoio di biodiversità per la vitivinicoltura siciliana (Albanello, Visparola, Alicante, Nocera, Orisi) e ulteriori cloni di altre varietà considerate determinanti per la conservazione e valorizzazione del germoplasma (Catarratto, Perricone, Insolia, Zibibbo, Malvasia). A partire dal 2012 sono state effettuate anche le prime prove di vinificazione con studio dei parametri quali-quantitativi connettendo le risultanze alla tecnica agronomica svolta in campo, al periodo e modalità di potatura (guyot nel caso del campo sperimentale di Santa Tresa) ed alle epoche di vendemmia. I risultati di questa ricerca hanno consentito anche di ottenere la iscrizione di sei nuove varietà di vite da vino al Registro nazionale delle varietà di vite in un percorso di valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani.

 

Renza Zanin

RICERCA E TERROIR: ROENO RISCOPRE IL PINOT GRIGIO CON RIVOLI

 

Con il progetto di zonazione nato nel 2000 a Rivoli Veronese l’azienda propone un’interpretazione della varietà che guarda a qualità, longevità e territorio.

Rivoli Pinot Grigio di Roeno nasce dal progetto di zonazione messo a punto dall’azienda volto a riscattare un vitigno ampiamente diffuso ma spesso poco valorizzato. Il lavoro di studio, sperimentazione e scoperta del territorio, iniziato nel 2000 a Rivoli Veronese – comune ubicato tra Affi e la sede aziendale di Brentino Belluno (Verona) –, vuole comprendere quanto il terroir sia fondamentale per migliorare la capacità espressiva di una varietà viticola. Roeno, nel piccolo anfiteatro morenico che contraddistingue la zona, ha trovato le perfette condizioni geologiche e climatiche per allevare il pinot grigio, ottenendo una produzione di qualità eccellente dopo anni di ricerca agronomica ed enologica. 

L’anfiteatro di Rivoli è costituito da una lingua glaciale che prosegue lungo la direttrice dell’attuale Valdadige. La sua morfologia è organizzata in una sequenza di cordoni morenici e depositi glaciali (tills) disposti in modo concentrico attorno alla piana centrale, intervallati a loro volta da strette vallecole e depositi fluvioglaciali e colluviali. Proprio sui cordoni a substrato glaciale, nelle zone con notevoli pendenze, si alternano aree erose sottili, franco-sabbiose e fortemente calcaree ad aree franco-argillose più profonde. Qui il clima è caratterizzato da importanti escursioni termiche e da una ventilazione costante che rendono la zona particolarmente adatta all’allevamento del pinot grigio.

“Dopo aver testato diverse aree vitate – spiega Giuseppe Fugatti, che assieme agli enologi Mirko Maccani e Alessandro Corazzola ha ideato il progetto di zonazione – abbiamo identificato in Rivoli Veronese un vero e proprio cru, vocato alla produzione del pinot grigio. La sinergia tra territorio, vitigno e lungo affinamento ha saputo aggiungere profondità e articolazione a un vino sorprendente, che nel tempo ha raccolto riconoscimenti autorevoli, tra questi il Tre Bicchieri assegnato quest’anno dal Gambero Rosso”. 

Rivoli di Roeno abbina la ricerca in vigna a quella in cantina: dopo un’attenta vendemmia manuale, le uve sono prima diraspate e poi poste sulla selezionatrice ottica, strumento che grazie ai visori ottici permette di individuare solo gli acini di primissima qualità. Dopo una delicata diraspatura e pressatura avviene la fermentazione alcolica in acciaio fino al raggiungimento di 7/8 % vol. per poi terminare in tonneau. Segue un affinamento prima di dieci mesi in tonneau di rovere francese e poi di minimo 12 mesi in bottiglia.

Nel bicchiere Rivoli si presenta con un brillante color giallo paglierino, al naso è fine e al tempo stesso intenso. I sentori di scorza di limone, pera e pesca bianca introducono una decisa freschezza e una spiccata persistenza ricca di sfumature. L’equilibrio tra acidità e mineralità danno eleganza e grande armonia al Pinot Grigio firmato da Roeno.

 

Sara Stocco

RESISTENTI NICOLA BIASI: UNA NUOVA VITICOLTURA PER UN MONDO PIU’ PULITO E SANO

Uno studio scientifico condotto presso l’azienda Albafiorita, nato da un’idea delle aziende Resistenti Nicola Biasi, dimostra che la gestione dei vitigni resistenti produce il 37,98% di CO2 in meno rispetto a quella dei vitigni tradizionali 

 

Unire qualità alla concreta sostenibilità: è questo lo spirito che guida la rete di aziende della Resistenti Nicola Biasi. E se la qualità dei vini viene ampiamente dimostrata dai numerosi premi che si sono aggiudicati durante l’anno appena passato (primo tra tutti i 3 bicchieri del Gambero Rosso assegnati al Vin de la Neu 2020) le aziende hanno voluto produrre anche una prova concreta della loro sostenibilità.
Nasce così l’idea dello studio comparativo sull’impronta di carbonio nella produzione di vini da varietà tradizionali e vini da varietà resistenti in collaborazione con Climate Partners:
-37,98%, questo è il valore riscontrato, in termini di CO2 prodotta nella gestione di un vigneto con vitigni resistenti e uno con varietà classiche a parità di condizioni climatiche e territoriali.
Lo studio, condotto nel 2022 presso l’azienda Albafiorita in provincia di Udine, ha tenuto in considerazione tutti gli aspetti globali della produzione, dal vigneto alla commercializzazione, mettendo in luce l’importanza delle scelte imprenditoriali sul tema dell’impatto ambientale. I dati rilevati vanno dal packaging, alla chiusura, passando per la tipologia di bottiglia utilizzata fino ad arrivare a ciò che ha fatto veramente la differenza: l’utilizzo di vitigni resistenti permette oggi di avere alta qualità, alta sostenibilità e minori emissioni di CO
2. Queste nuove varietà resistenti alle principali malattie della vite (peronospora, oidio e botrite), permettono una riduzione dei trattamenti, un minor utilizzo di antiparassitari, un minor consumo d’acqua con un conseguente impatto ambientale non paragonabile alla viticoltura attuale.
Albafiorita a Latisana, Della Casa a Cormons, Ca’ da Roman a Romano d’Ezzelino, Colle Regina a Farra di Soligo, Poggio Pagnan a Mel, Nicola Biasi a Coredo, Villa di Modolo a Belluno e Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna sono le 8 aziende della rete che, guidate dall’enologo Nicola Biasi, stanno lasciando un’impronta indelebile nel mondo della viticoltura attraverso le loro attività. Una scelta che parla di difesa del territorio, valorizzazione del luogo e consapevolezza che, grazie all’innovazione, si può creare una viticoltura reale sempre più sostenibile.

 

RESISTENTI NICOLA BIASI

Resistenti Nicola Biasi è una rete di otto aziende agricole in otto territori diversi tra Friuli, Veneto e Trentino, creata nel 2021 e guidata da Nicola Biasi, miglior giovane enologo d’Italia per Vinoway, Cult Oenologist 2021 per il Merano Wine Festival ed Enologo dell’Anno 2022 per Food and Travel.

Resistenti non sono solo i vitigni, noti anche come PIWI (dal tedesco pilzwiderstandfähige, ossia resistenti ai funghi – malattie fungine) ma anche gli stessi produttori che hanno abbracciato la sfida della sostenibilità in territori differenti e caratterizzati da altitudini e climi che fanno della loro viticoltura qualcosa di davvero innovativo. Questa difesa del territorio, coniugata a una viticoltura di precisione e a un’enologia dedicata e scrupolosa, permette di esaltare le qualità di queste nuove varietà e di conquistare così anche i palati più esigenti e rigorosi.

 

LE IMPRESE DELLA RETE:

Albafiorita a Latisana, nella riviera friulana. 

In un zona non conosciuta per l’innovazione, Dino de Marchi decide di puntare sulla sostenibilità producendo i suoi vini bianchi esclusivamente da vitigni resistenti. 

 

Ca'da Roman a Romano d'Ezzelino. 

Ai piedi del Monte Grappa, Massimo e Maria Pia Viaro Vallotto nel 2015 danno vita all’azienda di soli vitigni resistenti con cantina dedicata che a oggi, risulta essere la più grande d’Europa. 

 

Colle Regina a Farra di Soligo, tra i colli trevigiani. 

Nel cuore del prosecco Docg Marianna Zago decide di andare controcorrente concentrando la sua produzione su vini ad alta sostenibilità grazie all’impianto di vitigni resistenti. 

 

Poggio Pagnan a Mel, nella Valbelluna. 

Gianpaolo Ciet e Alex Limana coltivano esclusivamente varietà resistenti e le vinificano nella loro cantina, la prima di Borgo Valbelluna.  

 

Della Casa a Cormons, in pieno Collio.

Renato Della Casa decide di affiancare l’innovazione alla tradizione dei vitigni autoctoni del suo Collio bianco. 

 

Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna, sull’alta costa veronese del Garda

Mauro e Leonardo Bonatti, per il loro progetto di coltivare esclusivamente vitigni resistenti, in un territorio quasi inesplorato per la viticoltura ad oltre 700 metri s.l.m 

 

Villa di Modolo, Belluno, nel cuore delle Dolomiti venete

Francesco Miari Fulcis, decide di ridare lustro alla dimora storica di Modolo, con un progetto unico nel suo genere che, come protagonista, prevede la produzione di vino da vitigni resistenti

 

L'azienda dell'enologo. 

A Coredo, tra le Dolomiti trentine, Nicola Biasi crea un vino che nasce per rompere gli schemi, il Vin de la Neu. 

 

NICOLA BIASI 

Nicola Biasi nasce in Friuli terra di vini e, dopo il diploma di Enotecnico, lavora per importanti aziende del Friuli come Jermann e Zuani della famiglia Felluga. Prima di trasferirsi in Toscana, Nicola lavora per  Victorian Alps di Gapsted in Australia e poi in Sud Africa per Bouchard Finalyson, dove amplia le sue conoscenze enologiche internazionali.  

Marchesi Mazzei, San Polo a Montalcino e Poggio al Tesoro di Bolgheri di Allegrini sono le aziende Toscane per cui lavora come enologo per quasi dieci anni. 

Nel 2016 Nicola decide di intraprendere l’attività di libero professionista fino ad arrivare nel 2020 a fondare la Nicola Biasi Consulting che vanta consulenze in Toscana, Piemonte, Veneto, Friuli, Trentino e Marche.  

Nicola viene premiato nel 2020 durante la Vinoway Wine Selection 2021 come Miglior Giovane Enologo d’Italia e a giugno 2021 durante l’anteprima del Merano Wine Festival riceve l’ambito premio Cult Oenologist, riservato ai 7 migliori enologi italiani. Il più̀ giovane di sempre a ricevere questo riconoscimento. Nello stesso fonda la rete d’imprese Resistenti Nicola Biasi, un progetto che raggruppa al momento otto aziende vitivinicole differenti accomunate da un unico obiettivo: produrre vini di eccellenza praticando la vera e reale sostenibilità in vigna e in cantina, salvaguardando in maniera concreta l’ambiente. 

A ottobre 2022 resistenti Nicola Biasi riceve l’ambito riconoscimento “progetto vino dell’anno” da Food and Travel Italia, nell’ambito della stessa serata Nicola Biasi viene anche insignito del titolo enologo dell’anno. 

 

 

Giacomo Tinti

VINO IN ANFORA, SOTTO LA LENTE A SIMEI 

IL RITORNO DELL’ARGILLA DA RETAGGIO DEL PASSATO A TREND COMMERCIALE

 

Da passato remoto del vino a fenomeno di nicchia declinato al futuro. È l’anfora, antico contenitore del nettare di Bacco protagonista oggi al Simei di Unione italiana vini (in programma a Fiera Milano fino a venerdì 18 novembre) del convegno “Vino e anfore: il ritorno all’argilla”, un focus che ne ha ripercorso la storia e ne ha indagato prospettive e sviluppi commerciali.

Per l’international editor del Gambero Rosso, Lorenzo Ruggeri: “I vini in anfora stanno vivendo un momento di forte sperimentazione. Si tratta di un fenomeno dal futuro roseo, in particolare perché sfrutta una dinamica di comunicazione orizzontale che coinvolge da un lato i giovani produttori, molto interessati alla ricerca delle potenzialità di questa pratica di vinificazione, e dall’altro i giovani consumatori, che rispondono con interesse. Un trend che osserviamo anche giornalisticamente: al Gambero Rosso ne riceviamo ogni settimana uno nuovo da campionare”. E questo sviluppo si osserva bene anche in Paesi come il Portogallo, come sottolinea il produttore Paulo Amaral (José Maria da Fonseca – Vinhos SA): “La produzione in anfora della Doc Alentejo è cresciuta tra il 2014 e il 2021 più di sette volte, con buone performance anche sul fronte export”. 

“L’anfora è stato non solo il primo contenitore, ma anche uno dei primi strumenti di marketing per il vino, con le incisioni che rappresentavano il commerciante e la forma che ne svelava la provenienza”, ha spiegato Attilio Scienza, docente universitario e tra i maggiori esperti mondiali di viticoltura. “L’anfora – ha proseguito – rappresenta un ‘iconema’, l’immagine di un luogo o di un oggetto che si fissa nella memoria e che trasforma il paesaggio in monumentum attivando un processo di sinestesia: lo stimolo visivo dell’anfora viene associato alle sensazioni del vino e al desiderio di ripetere l’esperienza gustativa, facendola divenire un’espressione estetica”. Un trait d’union con il territorio osservato anche dalla produttrice Elena Casadei, che da anni investe e sperimenta in questo campo: “L’anfora rappresenta il ritorno alla terra dopo la lavorazione in cantina. Un contenitore che, come una cassa acustica, fa risuonare la qualità delle uve che ci mettiamo dentro”. “La varietà dall’uva è cruciale per determinare la qualità del prodotto – ha detto il capo redattore della casa editrice Meininger, Robert Joseph –, ma bisogna ricordare che, nonostante le evocazioni che l’argilla suscita, i vini in anfora non sono necessariamente biologici o sostenibili”.

“Il ritorno all’anfora rappresenta oggi una novità destinata a crescere ed affermarsi – ha concluso il Master of Wine Gabriele Gorelli –. Ma bisogna ricordare che, al di là del marketing, questa vinificazione non rappresenta in sé una garanzia di piacevolezza o di stile. I produttori dovranno trovare il modo di differenziare le loro etichette dandone un’interpretazione soggettiva e distintiva”.

 

Marina Catenacci

Gattinara Il Chiosso

 

 

Nel vigneto Galizja, il calice nr. 4 delle vie dei calici

 

Quanta bellezza sulle colline del Gattinara, salire quassù un'esperienza che toglie il fiato. Chi arriva per la prima volta in cima al Galizja, rimane incantato ad osservare le forme del paesaggio: la natura le ha rese dolci, l'uomo le ha ornate di filari.

Lo sguardo poi si perde all'orizzonte: riconosci il Rosa e le sue cime da una parte, la pianura dall'altra. Nelle giornate più limpide scorgi il profilo urbano del capoluogo novarese - su cui domina la cupola dell'Antonelli - e, un po' più a est, persino Milano coi suoi grattacieli. 

Proprio sul colmo della collina da cui prende il nome il nostro Gattinara - il Galizja appunto - trova oggi posto il calice nr. 4 di un'iniziativa denominata "Le vie dei calici”.

Il progetto celebra la ricchezza enologica del territorio con l'installazione di grandi calici in ferro in altrettanti luoghi simbolo. Le opere portano la firma di Ruben Bertoldo, artista eclettico il cui lavoro trae spesso spunto dalla natura e dai temi del luogo.

Le opere si inseriscono in un progetto ancor più ampio, la Via della luce che ha visto anche l’illuminazione dei ruderi del castello di San Lorenzo. 

VENISSA ANNUNCIA LA NUOVA ANNATA DI VENISSA BIANCO 2016 CELEBRANDO LA BIODIVERSITÀ LAGUNARE

 

Venissa, in occasione della Giornata Mondiale della Biodiversità, annuncia in anteprima il lancio della nuova annata del suo vino-simbolo, il Venissa Bianco 2016, per sottolineare l’importanza del tema della biodiversità lagunare all’interno del progetto di recupero agricolo e di ospitalità sostenibile che porta avanti sull’isola di Mazzorbo. 

Una biodiversità che parte dal vitigno da cui questo vino è prodotto, la Dorona, e prosegue con la gestione del vigneto e con i valori che alimentano l’intero progetto, incluso il Ristorante Stellato, l’Osteria Contemporanea e il Wine Resort.

 

Varietà nativa della laguna, data per scomparsa dopo l’acqua alta del 1966 e in seguito riscoperta e reintrodotta in queste “terre d’acqua” per volere di Gianluca Bisol, dal 2007 la Dorona viene coltivata all’interno delle mura della tenuta Venissa, ora guidata dal figlio Matteo. Un vitigno, la Dorona, che in questi anni ha dimostrato non solo una grande resilienza, ma anche una perfetta adattabilità, trovandosi perfettamente a suo agio in un ambiente dove la salinità del suolo, l’umidità e le estati calde ne hanno evidenziato il livello di simbiosi con il suo terroir d’origine, producendo effetti come una maggior concentrazione delle uve, una resistenza intrinseca alla botrite, e una capacità di mantenere un’ottima acidità anche a temperature elevate.

 

“La Dorona è una pianta speciale per le isole della Venezia Nativa che, ad eccezione di Burano – isola di pescatori – hanno sempre avuto una forte tradizione agricola,” commenta Matteo Bisol, direttore del progetto. “Noi a Venissa abbiamo voluto recuperare questa tradizione partendo dalla viticoltura, molto praticata in laguna, e in particolare dalla Dorona. Un vitigno autoctono e semi-scomparso che nei secoli ha imparato ad adattarsi e a vivere in questo ambiente, sviluppando delle caratteristiche uniche che le hanno permesso di sopravvivere in condizioni davvero particolari. Ora che l’abbiamo reintrodotta nel suo terroir nativo, ne siamo custodi all’interno di questa vigna murata. Non possiamo che seguirla e osservarla nel suo percorso, tutelandone il valore culturale e ambientale.”

 

La 2016, la settima annata di Venissa Bianco, risalta in modo paritcolare questa perfetta simbiosi e promette di essere la migliore del decennio. Per questo, in occasione del suo lancio, si è voluto riflettere in maniera particolare sul tema quanto mai attuale della biodiversità lagunare, di cui la Dorona è un esempio.

 

“Il 2016 è l’anno in cui il vigneto di Venissa ha raggiunto la sua piena maturità, potendo così iniziare ad esprimere il suo massimo potenziale” racconta Stefano Zaninotti, agronomo di Venissa, il cui approccio olistico, con un occhio attento alla tutela della flora e della fauna autoctona, è perfettamente in linea con i valori di Venissa. “Si è trattato di un’annata in cui il meteo ci ha aiutato parecchio, molto bilanciata tra pioggia e sole, non troppo calda, per cui la vite ha potuto lavorare dal germogliamento fino alla maturazione nelle migliori condizioni”, aggiunge. “Nel vino questo si traduce in grande freschezza e piacevolezza tanto nei profumi quanto nella sapidità, che ritroverete ora nel bicchiere.”

 

“Sicuramente la 2016 è stata un’annata perfetta, certamente l’annata del decennio” riflette Matteo Bisol. “Un’annata di grande equilibrio e di grande finezza, a testimonianza della simbiosi che la Dorona ha saputo trovare in questo territorio. Una finezza che non ci si aspetterebbe dai vini di laguna ma che proprio grazie a questo equilibrio ci consente di arrivare a questi livelli di eccellenza.”

 

La sfida, per Venissa, rimane quella di produrre un vino che sia non solo l’espressione più fedele della Dorona e della sua simbiosi col terroir lagunare, ma di fare di questo vino una perfetta rappresentazione della Venezia Nativa nella sua interezza. E, con la 2016, l’impressione è quella di esserci andati molto vicino.

 

IL VINO

Di colore dorato, il naso esibisce aromi di frutta gialla, camomilla e cenni di scorza di agrume essiccato. Il palato è ben strutturato, pieno e fresco con una texture vellutata. Note di miele, noce e liquirizia appaiono nel finale secco, sapido e persistente. Venissa è un grande bianco da collezione con un’eccellente longevità. Alla fermentazione in acciaio seguono 48 mesi di affinamento in contenitori inerti di cemento. I numeri: 3880 bottiglie da 0,5l, 80 magnum (1.5l), 40 jeroboam (3l) e 20 imperiale (6l). Una produzione che rimane estremamente limitata e ne sottolinea la rarità.

 

LA BOTTIGLIA

Nell’ideazione di Giovanni Moretti, l’etichetta cede il posto ad una preziosa foglia d’oro realizzata dall’attuale discendente dell’antica famiglia Berta, gli ultimi battiloro rimasti a Venezia. L’applicazione è stata eseguita a mano da mastri incisori muranesi (ogni annata presenta un motivo diverso ed identificativo). La bottiglia viene poi messa a ricottura nei forni delle vetrerie di Murano, diventando essa stessa un simbolo dell’eccellenza artigiana di Venezia.

 

 

Valeria Necchio

CALABRIA TERRA DI SOLE E DI SAPORI

 

Fotoservizio di Alessandra Pocaterra

 

La Calabria Regione tutta da scoprire, la terra dei Bronzi di Riace dei bellissimi parchi (gioia per chi ama il trekking) la Riviera dei Cedri, del bergamotto e della liquirizia e dei salumi particolari ma anche terra di ottimi oli e di eccellenti vini.

In Calabria  troviamo piante di ulivo un po' ovunque e tre sono gli olii d’oliva DOP.

Olio Bruzio DOP:  ottenuto da olive della varietà Tondina, Carolea, Dolce di Rossano o Grossa di Cassano; ha colore verde con riflessi giallini, odore e sapore fruttato. 

Olio Lametia DOP: ottenuto in prevalenza da olive della varietà Carolea colore che va dal verde al giallo paglierino; odore fruttato sapore delicato e fruttato. 

Olio Alto Crotonese DOP ottenuto prevalentemente da olive della varietà Carolea ha un colore tra il giallo paglierino e il verde chiaro odore delicato e sapore fruttato leggero

L’olio di Calabria IGP  è ottenuto da olive prodotte in tutta la Regione con un colore che va dal verde al giallo paglierino con note aromatiche erbacee  a volte di carciofo o floreali. Al gusto è mediamente amaro e piccante. 

 

 

Non solo olio ma convivialità con i salumi prodotti in  tutto il territorio: 

Capocollo di Calabria DOP

Pancetta di Calabria DOP 

Soppressata di Calabria DOP

Salsiccia di Calabria DOP

‘Nduja prodotta un po' in tutta la Calabria un’eccellenza alimentare unica al mondo 

E ancora: la cipolla rossa di Tropea IGP ,  i fichi dottati di Cosenza DOP, il limone di Rocca Imperiale IGP , il Bergamotto di Reggio Calabria DOP, la liquirizia di Calabria DOP,  il torrone di Bagnara IGP e una menzione speciale  per il tartufo di Pizzo,  un gelato con forma semisferica fatto di nocciola e cioccolato …una vera leccornia !

Non si possono dimenticare poi, tra le eccellenze della Calabria  il Caciocavallo Silano DOP, uno dei più antichi e caratteristici formaggi a pasta filata del Sud Italia,  prodotto con latte di vacca intero e ancora  il Pecorino Crotonese Dop, un formaggio a pasta dura prodotto con il latte intero di pecora. 

 

 

E arriviamo così alla Viticoltura: si sa che  fin dai tempi remoti la Calabria si è rivelata terra di ottimi vini. 

Dalle vigne in riva al mare a quelle che si inerpicano in stretti terrazzamenti sulle montagne o le colline.

Il vitigno più coltivato è il gaglioppo utilizzato nella produzione del Cirò DOP, un’uva presente nel territorio da millenni. Il magliocco dolce “Terre di Cosenza” DOP (chiamato anche Arvino, Lagrima o Guarnaccia nera, e Magliocco Canino  a seconda della zona in cui viene coltivato).  Troviamo poi il Greco Nero,  il Calabrese detto anche Nerello d’Avola o Nerello Calabrese, il Nerello Cappuccio e il Nerello Mascalese il Castiglione e il Nocera, la Malvasia nera di Brindisi, la Marsigliana Nera e il Montonico tra i più coltivati;  tra i bianchi: il Pecorello, il Greco Bianco , il Guardavalle naturalmente ho citato i più coltivati, i vitigni autoctoni più utilizzati nella produzione dei vini Calabresi.

Vi consiglio l’acquisto di alcuni vini che ho assaggiato e che mi sono piaciuti particolarmente.

 

 

A’ VITA  Una piccola Azienda a conduzione biologica,  dove Laura friulana e Francesco calabrese  curano le vigne nel totale rispetto della natura creando vini dalla grande personalità e profondamente legati al territorio.

Ho assaggiato il Cirò (uve gaglioppo) base  mi è piaciuto anche nella versione rosato che ho trovato piacevolissimo come aperitivo fresco e sapido si accompagna perfettamente a finger food anche di mare. 

Il Cirò Rosso Classico Superiore Riserva è uno di quei vini che ti rimangono impressi nella memoria un vino che coinvolge tutti i sensi, viene proposto a quattro anni dalla vendemmia dopo un lungo affinamento di 30 mesi  in acciaio,  un vino elegante ed equilibrato la cui componente alcolica ne esalta la morbidezza. Un vino da meditazione da gustare durante uno di quei momenti di tranquillità che durante la reclusione forzata abbiamo ritrovato, magari leggendo un libro. 

IL GARDA UNICA AREA ITALIANA TRA LE DIECI DESTINAZIONI VINICOLE TOP AL MONDO DEL 2019 SECONDO WINE ENTHUSIAST

 

 

 

La testata americana premia la regione gardesana grazie al suo vino e al paesaggio e il Chiaretto di Bardolino è indicato come “uno dei migliori rosati d’Italia”

 

Il lago di Garda, la terra del Chiaretto e del Bardolino, è l’unica zona italiana segnalata dalla rivista statunitense Wine Enthusiast tra le dieci destinazioni vinicole al mondo da vedere nel 2019. La responsabile per l’Italia della testata americana, Kerin O’Keefe, suggerisce un soggiorno sul territorio gardesano per la qualità dei vini prodotti, per la varietà e la bellezza dei paesaggi e per la sua ricchezza storica e culturale. “A parte gli olivi e i limoni, che sono inusuali così a nord - scrive -, la regione è tappezzata dai vigneti ed è patria di alcuni dei classici vini del paese: i rossi del Bardolino, i rosati del Chiaretto e i bianchi Lugana e Custoza”. Dopo aver ricordato che il Bardolino sta per vedere riconosciute tre specifiche sottozone, ossia La Rocca, Montebaldo e Bardolino, capaci di produrre vini di maggiore longevità, Kerin O’Keefe sottolinea che con le stesse uve del Bardolino si produce “uno dei migliori vini rosati d’Italia, il fresco e speziato Chiaretto”.

 

Assieme all’area del Chiaretto e del Bardolino, Wine Enthustiast ha selezionato per gli amanti internazionali del vino altre nove mete, sia realtà enoiche storiche che emergenti, da visitare durante il 2019. Vengono segnalati in Europa il Beaujolais francese, recente protagonista dell’evento di presentazione delle sottozone bardolinesi a Verona, e poi Salonicco in Grecia, la capitale portoghese Lisbona e la svizzera Lavaux, coi suoi vigneti terrazzati affacciati sul lago di Ginevra. Fuori dai confini europei, invece, vengono proposti i vini californiani della Temecula Valley e quelli della zona di Seattle, nello stato di Washington, la capitale thailandese Bangkok, che è anche una delle città emergenti per l’alta ristorazione, la valle di Maipo, in Cile, e per finire la Tasmania, terra emergente del vino.

 

“L’articolo di Wine Enthusiast - spiega Franco Cristoforetti, Presidente del Consorzio di tutela del Bardolino e del Chiaretto - premia la professionalità e la caparbietà dei nostri viticoltori e dei nostri produttori, che in questi anni hanno intensamente lavorato per rafforzare e rendere percepibili i valori della nostra identità territoriale, l’elemento in grado di creare vera distinzione nell’attuale scenario competitivo del vino. Se questa importante rivista americana ci ha scelto come unica destinazione italiana tra le centinaia possibili, significa che stiamo percorrendo la strada giusta. I nostri vini sono davvero i frutti di un territorio unico al mondo, come ha sottolineato Kerin O’Keefe".

 

 

Chiara Brunato

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