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Eventi culturali

ON THE ROAD VIA EMILIA 187 A.C.

 

 

 

 

 

Nella grande esposizione archeologica di Reggio Emilia dal 27 aprile in mostra le immagini storiche di Anas scattate sulla Via Emilia ai tempi del Boom che cambiò l’Italia

 

La lunga linea da Est a Ovest, che sembra segnare la rotta del Sole sulla Terra, la Via Emilia, percorsa dal 187 avanti Cristo dai legionari del console Marco Emilio Lepido, da mercanti in viaggio dal Mediterraneo o dal resto d’Europa, da coloni stanziali con i loro attrezzi e raccolti, da viandanti in cerca di fortuna e cavalieri coperti di gloria, ancora oggi – inossidabile al tempo – è luogo di identità, di lavoro e di vita per chi la percorre e per chi la abita, è cerniera fisica e simbolica tra i due mondi che l’Italia unisce e a cui l’Italia appartiene: il Mere Nostrum e il Vecchio Continente, con i loro popoli, le loro culture, i loro scambi.

E’ così importante e funziona così bene, la Via Emilia, che è stata affiancata, quasi “clonata”, in una serie di altri landmark delle comunicazioni nazionali: la ferrovia storica, l’autostrada, la ferrovia Alta velocità.

E oggi, inanellando le città che sono nate con lei 2.200 anni fa e ancor prima, la Via consolare ospita un fiume di mezzi, pubblici, privati, commerciali, a motore, elettrici, a “propulsione umana” come la bicicletta. 

I rilevamenti dell’Anas, per dare un’idea precisa dell’importanza trasportisitca della Via Emilia, evidenziano numeri impressionanti: 136 mila auto e 9.200 camion, in media, ogni giorno dell’anno. Un traffico paragonabile a quello del Grande Raccordo Anulare di Roma. 

Una strada, assai nota anche con la sigla SS9, su cui si muovono la vita e lo sviluppo di un sistema-regione, l’Emilia-Romagna, e di un sistema di portata nazionale e internazionale, quale l’Italia settentrionale.

Quell’intuizione di Marco Emilio Lepido, in altre parole, è oggi un asse strategico della mobilità e della logistica italiana.

 

Non c’è contemporaneità e non c’è futuro, senza passato e senza una piena coscienza di quel passato. Non c’è passato, d’altro canto, che non abbia nutrito speranze e idee di futuro, che sono ora il nostro presente. 

Giusto dunque che la grande mostra archeologica On the road. Via Emilia 187 a.C. dedicata alla Strada consolare e al suo Fondatore – a cura di Luigi Malnati, Roberto Macellari e Italo Rota, in corso al Palazzo dei Musei Reggio Emilia fino al primo luglio prossimo – si arricchisca di nuove suggestioni proposte oggi nel Roadshow #Congiunzioni promosso in occasione dei 90 anni di Anas e realizzato dalla stessa Azienda, che fa tappa a Reggio Emilia, il 27 e 28 aprile, proponendo la mostra fotografica Mi ricordo la strada – a cura di Emilia Giorgi e Antonio Ottomanelli - con una sezione dedicata alla Via Emilia dell’Italia del Boom economico del secondo dopoguerra. La proposta di Anas si associa perciò a On the road, di cui l’Azienda ha reso possibile anche la Guida alla visita, quale arricchimento attraverso una dimensione definibile – in maniera non più di tanto paradossale – di “archeologia del contemporaneo”.

 

La mostra On the road. Via Emilia 187 a.C., articolata in 400 reperti, diversi dei quali di assoluta importanza storico-archeologica, offre al pubblico un racconto su due livelli: il “sotto”, ovvero la storia antica di questa colossale opera viaria, e il “sopra”, ovvero l’attualità della Via Emilia. Le immagini “storiche” che Anas propone a corredo della grande esposizione giungono a completare quel progetto culturale e allestitivo, contribuendo in maniera significativa alla sua declinazione nel Contemporaneo.

In realtà le immagini fotografiche che Anas propone appartengono anch’esse al registro del ricordo, ma ad un ricordo che permane ancora nella memoria di molti.

Offrono un intenso amarcord sulla Via Emilia nel secondo dopoguerra, tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento. Ci riportano ad una Via Emilia calcata da biciclette e cavalli, rade auto e motociclette per arrivare fino alla Fiat 600 del boom economico che solca un’Emilia fiancheggiata da cartelloni pubblicitari che fotografano consumo e benessere. Nel racconto è tutto il territorio che si specchia in una strada operosa che diviene essa stessa paesaggio e sfondo, luogo di passaggio e costruzione, che ritrae operai al lavoro, uomini in completo affacciati sull’uscio delle porte, chiese che sorgono ai bordi della strada, case cantoniere come benevole vedette di un’Italia in perenne corsa e trasformazione. Quell’Italia che arriva fino a noi, con le varianti alla statale pensate per alleggerire il traffico dai centri abitati e il nuovo ponte sul fiume Po. Immagini in bianco e nero di un “altro ieri” che ha creato l’oggi. 

 

“Un'occasione preziosa per celebrare – affermano Ennio Cascetta e Gianni Vittorio Armani, presidente e amministratore delegato di Anas - il ruolo fondamentale che Anas ha avuto nella modernizzazione del Paese, influenzandone lo sviluppo economico e culturale, dalla data di fondazione dell’AASS nel maggio del 1928 fino all’ingresso nel Gruppo FS Italiane a gennaio del 2018, solo l’ultimo dei passi compiuti nel processo di continua trasformazione di un’Azienda che non si è fermata mai”. 

“Con questa importante nuova “sezione”, On the rod. Via Emilia 187 a.C. approfondisce ulteriormente – sottolinea Elisabetta Farioli, direttore dei Musei Civici di Reggio Emilia - la storia ma anche l’attualità della strada consolare voluta d Marco Emilio Lepido e che da lui assume il nome. Allora rappresentava la strada utilizzata dall’esercito per difendere ed espandere i confini dell’Impero ma anche uno dei primi esperimenti urbanistici dell’antichità. I nuclei urbani che si trovavano sull’itinerario erano edificati ad una distanza media l’uno dall’altro di circa 25 chilometri, corrispondenti ad una giornata di marcia dell’esercito”.

 

La Via Emilia fa parte di quella fitta e razionale rete di strade consolari dell'Impero romano di cui la rete Anas attuale è l'erede diretto e naturale, con tracciati che a volte riprendono gli itinerari dell'antichità.

La Strada Emilia taglia in due la regione come una spada. Da Rimini a Piacenza divide e unisce l’Emilia-Romagna per arrivare sino a San Donato Milanese in Lombardia, collegando un territorio caratterizzato da paesaggi ampi e mille paesi che appaiono come una città continua. 

Per tutto il corso dell’Ottocento e del Novecento, fino ad oggi, il territorio è rimasto profondamente influenzato da quest’arteria che attraversa e fiancheggia, quasi accompagnandoli, i principali capoluoghi della regione, ad eccezione di Ravenna e Ferrara, mantenendo il ruolo di direttrice tra il nord e il centro della penisola italiana. Ad allargare gli orizzonti e i collegamenti con il resto d’Italia ci pensò anche la ferrovia che arrivò a Bologna nel 1859 via Milano-Piacenza e, nel 1864, il primo attraversamento dell’Appennino verso Firenze. In un’Italia che iniziava ad unirsi, erano le infrastrutture ad agire da collante tra i territori.

Perché da 22 secoli la Via Emilia è più una dimensione che un puro itinerario stradale.

 

Info: Musei Civici di Reggio Emilia Tel. 0522.456477-456805 

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. www.musei.comune.re.it 

 

Ufficio Stampa

Studio ESSECI di Sergio Campagnolo

tel. 049663499

 

Referente Simone Raddi: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.ON

HENRI MATISSE. SULLA SCENA DELL'ARTE

L’esposizione Henri Matisse. Sulla scena dell’artepresenta e sviluppa una tematica centrale all’interno della vasta vita artistica di Henri Matisse: il rapporto con il teatro e la produzione di opere legate alla drammaturgia. Una mostra inedita che porta al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, dal 7 luglio al 14 ottobre 2018 oltre 90 opere realizzate in un arco temporale di 35 anni, dal 1919 fino alla morte dell’artista, avvenuta nel 1954. Si tratta principalmente della cosiddetta période Nicoise: Matisse, infatti, nel 1917 scelse Nizza come luogo principale della sua creazione artistica.

Il percorso espositivo, curato da Markus Müller, direttore del Kunstmuseum Pablo Picasso di Münster, è suddiviso in quattro grandi sezioni: Costumi di scena; Matisse e le sue modelle; Le odalische; Jazz.  Una selezione di opere illustra il rapporto tra l’artista e le sue modelle, “attrici” della sua arte, mentre l’esposizione di tappeti, abiti, oggetti di arte orafa, collezionati dall’artista e concessi in prestito dalla famiglia Matisse, dà conto dell’interesse di Matisse per il decorativismo di influenza orientaleggiante. Negli anni Quaranta, infine, Matisse sviluppa la tecnica dei “papiers découpés”, di cui le opere della serie “Jazz” sono la testimonianza più importante.

I capolavori – tra tele, disegni, sculture e opere grafiche – provengono dal Kunstmuseum Pablo Picasso di Münster che possiede nella sua collezione permanente anche la più ampia raccolta di opere di Matisse in Germania. Oltre al museo di Münster, figurano tra i prestatori il Musée Matisse di Nizza, i Ballets di Monte-Carlo e gli stessi eredi di Matisse, che hanno concesso in prestito oggetti della collezione privata dell’artista, come fonti di ispirazione e testimonianza dei suoi viaggi. 

Costumi di scena. Dalla composizione immobile al “tableau vivant”
Nel 1919 Matisse riceve la commissione di concepire i costumi e le scenografie per il balletto “Il canto dell’usignolo”. Per la prima volta nella sua vita d’artista Matisse deve – per così dire – realizzare apparati scenografici, ovvero creare una sorta di ‘pittura in movimento’. Il suo più grande antagonista, Pablo Picasso, nel 1917, aveva già dipinto con gran successo le scene per “Parade”. Anche forse per spirito di emulazione, Matisse accetta questo incarico in cui darà prova di aver assimilato anche l’influsso dell’arte orientale, dal momento che l’azione teatrale si svolge alla corte dell’Imperatore della Cina. Nel 1939 Matisse rinnova questa esperienza, preparando le scenografie del balletto “Rouge et Noir.” 
Al di là dell’aspetto ornamentale ed esotico, l’interesse di Matisse per il teatro diventa centrale nella sua estetica: si pone di fronte alla creazione pittorica come un regista o un drammaturgo, come accade durante la preparazione della decorazione della Chappelle du Rosaire a Vence, che realizza come se fosse ‘un decoro di scena’. I disegni preparatori della Chappelle di Vence saranno esposti insieme ai costumi per i balletti.

L’artista come drammaturgo. Matisse e le sue modelle
Matisse ha bisogno della presenza fisica di un modello. L’artista francese lavora sempre come un drammaturgo o come un regista. Matisse inizia una collezione di abiti per le sue modelle, si interessa alla “alta moda” (Haute couture) e fa la selezione del vestito secondo il modello o la composizione. Esiste une specie di interazione tra l’artista e le sue modelle, Matisse parla delle sue modelle come “attrici” della sua arte. 
Nel 1939 Matisse affermava: “l miei modelli, esseri umani, non sono mai solo un elemento secondario in un ambiente. Sono il tema principale del mio lavoro. Dipendo interamente dal mio modello”.
L’artista ha rapporti professionali lunghi con i suoi modelli e lavora per anni sempre con gli stessi. Una selezione di opere illustra il rapporto tra l’artista e i suoi modelli, con particolare attenzione alla sua assistente Lydia Delectorskaya, che ricoprirà un ruolo centrale per Matisse dagli anni Trenta sino alla sua morte, nel novembre 1954.

Le odalische. Viaggi immaginari
L’interesse di Matisse per il decorativismo di stampo arabeggiante e orientalista è un fatto noto. Il tema delle odalische rappresenta per l’artista la sintesi ideale tra la rappresentazione della donna e il proliferare dell’ornamento vegetale o geometrico. 
Nel biennio 1912-1913 aveva effettuato numerosi viaggi soprattutto in Algeria e in Marocco, fedele al concetto romantico dell’artista viaggiatore, sulle orme di Ingres e Delacroix. Da questi viaggi nascono le sue collezioni di tappeti, abiti, oggetti di arte orafa di cui sarà esposta una selezione. 

Jazz. L’artista e il suo pubblico
All’inizio degli anni Quaranta Matisse sviluppa una tecnica particolare denominate papiers décupés, carte ritagliate, sintesi perfetta, secondo Matisse, tra colore e precisione della linea. Il suo capolavoro di questo periodo è indubbiamente “Jazz”, una serie di 40 opere realizzate con questa tecnica. Come un musicista jazz, ha creato una sorta di “tema con variazioni”. I temi di queste opere sono il circo e i suoi attori, la mitologia e le memorie dei suoi viaggi. Lo stile di queste opere in colori dissonanti ha ispirato per esempio Andy Warhol e la “pop art” americana. 
L’iconografia popolare del circo cela l’aspetto ‘tragico’ del rapporto dell’artista con il suo pubblico.

BIOGRAFIA
Henri Matisse è considerato uno dei grandi maestri dell’arte del Novecento, eclettico e sperimentatore, amico e rivale di Pablo Picasso.
Nato a Cateau-Cambrésis nel 1869, abbandona ben presto gli studi di legge e una carriera di futuro avvocato per dedicarsi alla pittura. Frequenta a Parigi l’atelier di Gustave Moreau, ma guardando alle opere di Paul Cézanne, soprattutto nel trattamento del colore, che diventerà il fine stesso della creazione dell’immagine.
Nel 1905, al Salon d’Automne di Parigi, solleva uno scandalo presentando, insieme a Marquet, de Vlaminck, Derain e Van Dongen, alcune tele dai colori puri e violenti, stesi uniformemente sulla tela. 
Il critico Louis Vauxcelles conia per questi artisti il termine fauves, presto adottato dal gruppo in segno di sfida.
Del 1910 è la prima mostra importante alla galleria Bernheim-Jeune a Parigi, seguita dalle personali a Londra e a New York. 
A partire dal 1919 decide di trascorrere gran parte dell’anno in Costa Azzurra, che considera un ‘paradiso’. La sua attività espositiva è in continua crescita e le sue opere incontrano un grande interesse da parte dell’intera comunità artistica. 
Nel 1920 lavora alle scene e ai costumi per Le chant du rossignol, l’opera di Stravinsky rappresentata da Diaghilev con i Ballets Russes, e la coreografia di Massine.
Il decennio 1920-1930 segna un ritorno a composizioni di tipo più tradizionale e all’interesse per il tema delle Odalische.
Dopo numerosi viaggi in Italia, Spagna, Germania, Gran Bretagna e Russia, nel 1931, e dopo un soggiorno di tre mesi a Tahiti, Matisse si reca negli Stati Uniti, dove ha l'incarico di una grandiosa decorazione sul tema della danza per la Fondazione Barnes a Merion.
Del 1938 è l’esposizione ‘Picasso-Matisse’ al Museum of Modern Art di Boston.
Stabilitosi a Vence nel 1939, si dedica con particolare interesse alla grafica: illustra, tra l'altro, Pasiphaé di H. de Montherlant (1944) e Les Fleurs du Mal di Ch. Baudelaire (1947) e produce illustrazioni in bianco e nero per diversi libri, tra cui l'Ulisse di James Joyce. 
Del 1945 è la grande retrospettiva al Salon d’Automne di Parigi, seguita da una doppia personale al Victoria and Albert Museum di Londra, insieme a Picasso. L’anno successivo viene realizzato un film sul suo lavoro.
Del 1947 l’editore parigino Tériade pubblica Jazz: in quest’opera appaiono i primi risultati della tecnica dei papiers découpés, alle quale si dedica con passione negli ultimi anni della sua vita. nel 1948 viene nominato Commendatore della Legione Onore; di questo periodo sono anche i primi contatti con il frate domenicano Rayssiguier in vista della decorazione della Cappella del Rosario a Vence, che sarà terminata e inaugurata nel 1951.
Del 1950 è il Primo Premio della Pittura alla XXV Biennale di Venezia.
Nel 1952 apre nella sua città natale, Cateau-Cambrésis, il Musée Matisse.
Muore il 3 novembre 1954 a Nizza. 

Informazioni
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Orari martedì-venerdì: 10.00-18.00
Sabato, domenica e festivi: 10.00-19.00
Aperta tutti i giorni dal 23 luglio al 2 settembre 10.00-19.30
La Biglietteria chiude 45 minuti prima.

Ufficio Stampa Forte di Bard 
Studio ESSECI, di Sergio Campagnolo, tel. 049.663499
referente Simone Raddi: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.www.studioesseci.net 
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FESTIVAL DI NOVA EROICA

 

 

 

Buonconvento (Siena)

27 aprile - 1 maggio 2018

 

Dal 27 aprile al 1 maggio nelle terre di Siena sport e cultura raccontano l’arte del buon vivere A Buonconvento (SI) tutto pronto per il primo “Festival di Nova Eroica”. Uno dei comuni più belli di Italia ospita il format ciclistico targato “Eroica” e diventa palcoscenico per una quattro giorni di appuntamenti da non perdere Bici, arte, natura ed enogastronomia: è un lungo weekend mozzafiato quello che propone Buonconvento (SI) con il primo “Festival di Nova Eroica”. Dal 27 aprile al 1 maggio nelle Terre di Siena la bellezza della fatica incontra la bellezza del territorio per un’esperienza tra sport e cultura tutta da vivere.

Voluto e organizzato dalla Pro Loco di Buonconvento, Il festival ospita la “Nova Eroica”, format ciclistico firmato Eroica che permette a tutti i tipi di bici (da quelle vintage a quelle al carbonio o quelle in alluminio) di percorrere un tratto dello storico tragitto che si snoda tra le strade bianche di una delle terre più belle del mondo.

E proprio al ciclismo sarà dedicato il “Villaggio di Nuova Eroica” che sarà allestito nel grande Piazzale Garibaldi, accanto alla cinta muraria medioevale del paese: qui una ricca mostra mercato proporrà il meglio di tutto quello che ha a che fare con il mondo della bicicletta.

 

 

 

 

Nova Eroica

 

 

Il “Festival di Nova Eroica” sarà poi caratterizzato dal “Mercato in Scena”, un curioso viaggio alla scoperta di piccoli produttori ed artigiani che nel tipico centro storico toscano (via Soccini e via Roma), racconteranno l’eccellenza dei prodotti toscani e italiani.

Piazza Matteotti si trasformerà invece in un vero e proprio paradiso dei golosi con il “Ristorante di Strada” ideato dai ristoratori di Buonconvento che proporranno le loro specialità a pranzo e cena mentre i bar del paese offriranno i loro aperitivi accompagnati da musica.

Nell’anno dedicato alla cultura del cibo non mancheranno i grandi chef a dar vita a veri e propri spettacoli dietro ai fornelli che avranno luogo al Teatro dei Risorti (inizio ore 17, ingresso libero). Il 28 aprile il “Festival di Nova Eroica” ospita Elena Mozzini del ristorante “La Botte Piena” di Montefollonico. Il 29 aprile sarà la volta di Emilio Signori de “La Locanda della Luna” di Tirli e Matteo Donati del Ristorante Donati di Castiglione della Pescaia protagonisti di un doppio cooking show, infine il 1 maggio “il mestolo” passerà a Ronald Bukri de “Osteria Osticcio” di Montalcino. Gli chef, presentati dalla giornalista Annamaria Tossani, proporranno al pubblico alcuni loro piatti più tipici ispirati alla tradizione toscana in abbinamento ai vini appositamente selezionati da Enoteca Vinea di Buonconvento.

Nel viale della Libertà sarà organizzata l’area fitness e benessere con esperti del settore che offriranno al pubblico la possibilità di conoscere e sperimentare sport e attrezzature dedicate alla forma fisica.

 

 

 

Il programma sarà scandito da numerosi momenti di intrattenimento e divertimento per grandi e piccini: tra le novità il laboratorio di circo per i bambini nella Piazzetta del Poggio e la Galleria d’arte di Nova Eroica che sarà allestita in via Oscura.

 

E nei giorni del Festival sarà possibile visitare anche il Museo d’Arte Sacra della Val d’Arbia, allestito all’interno del meraviglioso palazzo liberty Ricci Socini e al Museo della Mezzadria Senese, ospitato nei suggestivi spazi seicenteschi di un antico granaio padronale, che raccontano la storia di questo angolo di Toscana.

Tra le iniziative speciale, il 1 maggio sarà organizzato uno speciale trekking fotografico dedicato alla scoperta degli scorci più suggestivi della Val d’Arbia che, per decenni, hanno accolto la vita e il lavoro dei contadini mezzadri. Durante il percorso i partecipanti avranno la possibilità di partecipare ad un workshop a cura dei fotografi Diego Poggialini e Franco Terrosi, che illustreranno i principi base della fotografia di paesaggio.  L’appuntamento, organizzato da Fondazione Musei Senesi e Museum Angels è gratuito ma è necessaria l’iscrizione al numero 334 1055006 oppure 340 3730678.  

Il “Festival di Nova Eroica” è un progetto della Pro Loco di Buonconvento. Le informazioni e il programma completo sono disponibili sul sito www.prolocobuonconvento.com

 

 

Sonia Corsi 3351979765; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

FRANCESCA MOSCHENI AL RISTORANTE TRE CRISTI MILANO

 

 

Ritratti su carta dal 3 al 17 maggio la mostra della fotografa Francesca Moscheni al ristorante Tre Cristi Milano- un connubio tra arte e cibo

 

Dal 3 al 17 maggio il ristorante Tre Cristi si trasforma in galleria d’arte. A esporre le proprie opere Francesca Moscheni, fotografa veneziana e milanese di adozione specializzata nel mondo del food e appassionata di enogastronomia italiana e internazionale.

Giovedì 3 maggio dalle ore 19.30 in occasione dell’inaugurazione della mostra duetteranno il critico fotografico Roberto Mutti con la direttrice di Cucina Moderna Laura Maragliano per presentare i lavori della fotografa Moscheni per una degustazione/ aperitivo a 35 euro incluse bevande.

 

Il menu della serata ideato dallo chef Dario Pisani:

 

Canapè di benvenuto

Battuta di manzo al coltello con acciuga, panna acida e tuorlo d’uovo marinato

Risotto con crema di melanzane, pomodorini al forno e salsa al latte di bufala

Gianduia, nocciola e cioccolato

 

Vini in abbinamento della Tenuta Biodinamica Mara

 

Da ristorante gourmet a centro espositivo per due setttimane. Il ristorante Tre Cristi offre agli ospiti la possibilità di gustare, oltre alle proposte di squisita raffinatezza mediterranea firmate dallo chef Dario Pisani, un'esperienza culturale dal valore emozionale. La mostra fotografica ospitata dal 3 al 17 maggio nel locale gourmet sarà accessibile liberamente da parte del pubblico, anche senza obbligo di consumazione.

 

 

 

 

La mostra: 

 

Francesca Moscheni è dotata di una grande creatività che sa coniugare al rigore compositivo delle sue opere, la fotografa ama concentrarsi sui particolari per farne emergere le contraddizioni, le ambiguità, le molte sfaccettature che caratterizzano la vita. L'ironia, arma intelligente e puntuta, accompagna sempre la sua visione e non c'è quindi da stupirsi se davanti a questi suoi Ritratti di carta non troviamo moduli prevedibili, volti sorridenti, corpi in posa. Francesca Moscheni, infatti, affronta soggetti insoliti che in genere fanno bella figura di sé negli still life di food e li ripropone con un garbo e una delicatezza fino a far assumere loro le espressioni che ti aspetteresti da una persona. Un ulteriore intervento sulla preziosa carta su cui le fotografie sono state stampate permette di ottenere un effetto di accentuata tridimensionalità così che le superfici acquistino una nuova, inaspettata vitalità. 

 

 

Francesca Moscheni, un figlio, due cani e un socio con cui condivide il lavoro sull'immagine è fotografa professionista da circa 30 anni.

La sua produzione è il frutto di uno sguardo trasversale fra i generi fotografici con una particolare attenzione al mondo del food in cui è specializzata da anni. Frequenta l'alta gastronomia internazionale e ha ritratto cuochi del calibro di Gualtiero Marchesi, René Redzepi, Massimo Bottura, Carlo Cracco, Juan Roca, Hélène Darroze, Martin Berasategui, Ferran Adrià, Davide Scabin, Davide Oldani, trasformandosi all'occorrenza in fine critico gastronomico.

Dal 1990 realizza mostre personali e collettive ricercando nel dettaglio la metafora del tutto. Collabora con molte testate italiane e straniere, tra cui Marie Claire, Marie Claire Maison, Vanity Fair, New York Times Magazine, Glamour France, Saveur, ArtCulinaire, Travel & Leisure, Monocle, oltre a collaborazioni con clienti come Barilla, Rana, Birra Moretti, Olio Carli, Findus, Tre Marie, Bauli, Schar, Peck.

Nel 2011 è stata insignita del primo premio internazionale al FoodPhoto Festival di Tarragona, nella sezione Food Feature dedicata al miglior reportage food dellanno. 

Nel 2017 la mostra Strappi di Immagine si inserisce nella prima edizione della rassegna Milano PhotoWeek in collaborazione con il Comune di Milano. Oltre a fotografare, mangia e cucina cibi di tutto il mondo, riuscendo tuttavia a mantenere la linea. Vive e lavora a Milano.

 

Laura Maragliano

nata a Genova il 5/11/1956. Inizia l’attività giornalistica nel 1981 presso Il Lavoro. Si trasferisce a Milano nel 1987 e lavora per Imagine. Nel 1989 è in Mondadori a Tempo Donna. Nel 1991 va in Rizzoli a Più Bella. Nel 1995 è a Donna Oggi. Nel 1996 va all’Editoriale Italiana come caporedattore di Buona Cucina, e ne diventa direttore nel 1997. A febbraio del 2005 torna in Mondadori  come caporedattore dell’area cucina, diventa vicedirettore nel 2007. Da fine 2008 è direttore di Sale&Pepe, Cucina Moderna, Cucina no Problem, Guida Cucina e In Tavola. Ad aprile 2017  crea Giallo Zafferano.

 

 

 

 

 

Roberto Mutti è storico, critico e docente di fotografia presso l’Accademia del Teatro alla Scala e l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano. Giornalista pubblicista, dal 1980 scrive di fotografia sulle pagine milanesi del quotidiano la  Repubblica. Organizzatore e curatore indipendente, ha realizzato mostre di giovani promettenti e di autori affermati firmando numerosissimi volumi fra saggi, monografie e cataloghi. E’ direttore artistico del Photofestival Milano e fa parte del comitato scientifico di MIA Art Fair. Vive e lavora a Milano. 

 

Ritratti su carta

Mostra personale di Francesca Moscheni 

Ristorante Tre Cristi, via Galileo Galilei 5, Milano

Inaugurazione giovedì 3 maggio ore 19.30-21.30  

Apertura da lunedì a venerdì 12.30-14.30/19.30-22.30 sabato 19.30-22.30 (chiusura domenica) fino al 17 maggio. 

Informazioni tel. 02.29062923

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Ufficio Stampa Mediavalue -  Camilla Rocca- Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

NUOVO MUSEO DIOCESANO DI FELTRE E BELLUNO


A Feltre, a partire dal 12 maggio, il nuovo Museo Diocesano di Feltre e Belluno svela tutti i suoi tesori. 
Il completo recupero dell’antichissimo Palazzo dei Vescovi, posto sulla sommità di Via del Paradiso, al vertice del quadrante occidentale della storica “Città Verticale”, ha consentito alla Diocesi di Feltre e Belluno di dispiegare nelle 27 sale i suoi tesori d’arte e di fede.
Amalgamandoli sapientemente ad un contenitore che testimonia con i suoi affreschi (notevole il grande intervento mantegnesco nell’androne di ingresso) e le sue architetture, lo stratificarsi di una storia millenaria.

Il suggestivo allestimento è riuscito a creare una perfetta simbiosi tra le antiche pietre, i preziosi affreschi murali sopravvissuti alle ingiurie dei secoli e degli uomini, ed i tesori che qui sono stati concentrati, provenienti dai moltissimi conventi, monasteri, certose e chiese delle vallate feltrine e bellunesi. 
Tesori che spesso sono esempi della raffinatissima arte della lavorazione delle pietre, dei metalli e soprattutto del legno che nei secoli passati ha contraddistinto questi territori. 
Notevolissima, ad esempio, la collezione di sculture lignee del nuovo Diocesano, che annovera, tra le tante, l’emozionante “parata” dei 12 Apostoli o un intenso compianto o ancora un fanciullesco San Giorgio e il drago

Il nuovo Diocesano esprime attenzione anche nei confronti delle grandi personalità artistiche di questo magnifico territorio. Espone, ad esempio, quella che è la maggiore collezione di sculture di Andrea Brustolon, “il Michelangelo del legno”, come ebbe a definirlo Honorè de Balzac. Oppure l’importantissimo gruppo di dipinti a tema sacro di Sebastiano Ricci, anch’egli bellunese di origine. O uno straordinario Tintoretto, firmato.

Sculture e dipinti ma anche oreficerie. Che in questo Museo si mostrano con reperti di importanza mondiale. A partire dal mitico calice paleocristiano del Diacono Orsoil più antico calice eucaristico dell’Occidente. Un oggetto che per alcuni studiosi, soprattutto del mondo inglese, riporta al Santo Graal. Non meno notevole è il raffinato Reliquiario a busto di San Silvestro Papa, proveniente dalla Certosa di Firenze, capolavoro di Antonio di Salvi, allievo del Pollaiolo.  

Sorpresa dopo sorpresa, il percorso conduce sino al contemporaneo, con un giusto omaggio ai grandi mastri del territorio feltrino e bellunese e con l’accoglienza di due opere che Mimmo Paladino e Arnaldo Pomodoro hanno creato proprio per questo Museo.

Tutto in un Palazzo-castello che nei millenni si è stratificato su un insediamento già preromano, poi trasformato in sistema fortificato in epoca medievale e ancora in un sontuoso palazzo veneziano e infine adattato, in epoca barocca e poi neoclassica, al mutare dei tempi e dei gusti. Nel “Paradiso” che domina Feltre, la bellissima “città verticale” dove coesistono Medioevo e Rinascimento.  

Tutto intorno le Prealpi Feltrine che introducono al Parco delle Dolomiti. E’ in questo ambiente bellissimo, Patrimonio dell’Umanità, che il visitatore del nuovo Diocesano è invitato a percorrere anche l’Itinerario Sacro che, trovando epicentro proprio nel Museo, conduce da un lato al Convento Santuario dei Santi Vittore e Corona (affreschi giotteschi, in una costruzione di suggestione unica) e dall’altro alla Certosa di Vedana, meraviglia rinascimentale immersa nei boschi in terra di Sospirolo. Per poi percorrere, se si vuole, La via degli Ospizi, l’antichissimo itinerario che parte dalla Certosa per giungere in valle Imperina, lungo la direttrice della Val Cordevole, da sempre uno dei collegamenti nord-sud più importanti di questa porzione dell'arco alpino.

Il nuovo Museo Diocesano, diretto da mons. Giacomo Mazzorana, è il frutto della collaborazione tra la Diocesi di Belluno-Feltre, la Regione del Veneto, l’Unione Montana Feltrina, le Soprintendenze per i Beni Artistici e Storici, per i Beni Architettonici e Ambientali e per i Beni Archeologici del Veneto, con il fondamentale contributo di Fondazione Cariverona.

Info: www www.museodiocesanobellunofeltre.it tel. 0439 844082

Ufficio Stampa: 
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo tel. 049.663499 
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