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Gastronomia

MENÙ COREANO A CASA MILAN BISTROT

 

Obiettivo dell’iniziativa è quello di rendere sempre più accessibili i menù coreani anche al di fuori dei ristoranti tradizionali

Con Codesa l’iniziativa proseguirà in ospedali e mense a Milano e Firenze

 

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Dal 21 al 25 Novembre nel bistrot di Casa Milan si mangia coreano. Grazie alla collaborazione di AT Korea società per la promozione dei prodotti agro-alimentari e ittici sudcoreani e Codesa, società che opera nel campo della ristorazione commerciale, verranno proposti tre piatti della tradizione gastronomica coreana.

“L’obiettivo dell’iniziativa è quello di rendere sempre più accessibili i nostri piatti in luoghi come per esempio i bistrot dedicati alla pausa pranzo” commenta Ha Jung-a, Presidente di AT Korea Parigi. La gastronomia coreana ha una tradizione millenaria ed è riconosciuta come una delle cucine più salutistiche al mondo: gli alimenti coreani, sono caratterizzati da un perfetto equilibrio nutrizionale e un’armonia di sapori e colori La maggior parte delle pietanze è composta per lo più di cibi fermentati che garantiscono, attraverso metodi di cottura come bollitura, al vapore o alla griglia, proprietà nutrizionali fondamentali per il benessere dell’organismo”.

Questo progetto – aggiunge Giovanni Barghi di Codesa – si sposa bene con la nostra filosofia di una continua ricerca per rendere i menù dei nostri ristoranti innovativi e in linea con gli ultimi trend salutistici a cui è importante attenersi soprattutto durante la pausa pranzo. Dopo l’esperienza a Casa Milan Bistrot proseguiremo anche con gli stessi piatti anche in ospedali e mense a Milano e a Firenze”.

La proposta culinaria prevede i piatti più rappresentativi della tradizione coreana:

Mandu, tipici ravioli coreani il cui nome è imparentato con quello di altri ravioli ripieni di carne diffusi lungo la Via della Seta. La versione che viene proposta è quella con un ripieno di verdura tagliata finemente e una cottura al vapore. 

Bulgogi, da bul ("fuoco") e gogi ("carne"), anche detto BBQ alla coreana, è composto da straccetti di manzo cotti alla griglia, precedentemente marinati da un minimo di 2 ore a un massimo di 12 con salsa di soia, zucchero di canna, zenzero, aglio tritato e olio di sesamo. La carne viene poi servita con funghi e verdure. È possibile aggiungere della frutta, tra cui pere e mele, alla marinatura per rendere la carne più morbida. 

Bibimbap, è un piatto tipico della cucina coreana il cui nome significa letteralmente riso mescolato.  Servito in un piatto fondo riempito di riso caldo, al quale si aggiungono verdure saltate, funghi, uovo, manzo, maiale, pollo e frutti di mare, in base ai propri gusti. Si racconta che i contadini lo facessero durante il raccolto poiché era un modo facile e veloce di preparare grandi quantità di cibo in grado di sfamare i gruppi di lavoratori. Il bibimbap ha acquisito popolarità grazie ai trend contro lo spreco alimentare. Kimchi, è un alimento fermentato preparato con varie verdure e ingredienti, utilizzato come accompagnamento alle portate principali. In passato, quando le tecniche di conservazione erano limitate, il kimchi, importante fonte di vitamine, sostituiva le verdure fresche che scarseggiavano in inverno. Sebbene attualmente esistano più di 300 varietà di kimchi, questo alimento, le cui origini risalgono al periodo dei Tre Regni in Corea, veniva preparato con una ricetta molto semplice che consisteva nel salare il cavolo e conservarlo in una pentola per il fermentatore. Questo piatto ha subito diversi cambiamenti, tra cui il metodo di preparazione e di condimento, in base alla regione.

 

 

Maria Cristina Cadario

LEGUMINARIA: APPIGNANO IN FESTA CON LEGUMI & CERAMICHE

 

Dal 7 al 9 ottobre la nuova tappa del Grand Tour delle Marche

 

Degustare legumi proposti in ricette antiche e tradizionali, scoprire varietà in via di estinzione, pasteggiare in pregevoli manufatti di ceramica artigianale da riportare a casa come ricordo della festa. Sono solo alcuni tra i tanti motivi che ogni anno attirano migliaia di curiosi e gourmet ad Appignano (MC) per Leguminaria.

Promossa dal Comune e coordinata dalla locale Pro Loco, la manifestazione quest’anno celebra i venti anni con un’edizione organizzata nell’incantevole borgo storico cinto da antiche mura, con uno sconfinato panorama che spazia dagli Appennini al mare Adriatico.

Dal 7 al 9 ottobre Leguminaria propone un ricco programma di iniziative, menù ed intrattenimenti, che coinvolgono il visitatore nel clima festoso della cittadina. Al centro della tavola i legumi, che qui ad Appignano vengono abitualmente consumati da tanto tempo, molto prima che diventassero i protagonisti delle attuali diete nutraceutiche ed i più fotografati dagli instragrammer!

A Leguminaria ci sarà modo di conoscere ed assaggiare vere e proprie “super star di nicchia”, come il cece quercia, varietà che in passato era molto diffusa nelle Marche, ma che via via era andata quasi scomparendo e proprio qui ha trovato valenti agricoltori che l’hanno gradualmente reintrodotta. Interessantissimo anche il fagiolo solfì, con il suo colore giallo zolfo, la buccia finissima e delicata, il sapore caratteristico ed un’alta digeribilità. Queste prelibatezze potranno essere gustate, insieme alle preparazioni a base di lenticchia, nelle locande del centro storico, servite da figuranti in costume.

La località è anche rinomata per la produzione artigianale di ceramiche e maioliche. A questo riguardo, Leguminaria ospita il concorso internazionale “CeramicAppignano” e sabato 8 ottobre sarà inaugurato il MArC-Museo dell’arte Ceramica di Appignano. Venerdì e sabato la Scuola Comunale di Ceramica offrirà interessanti laboratori a tema. Sabato sera, alle 20.00, spettacolare apertura del forno con una maestosa opera di ceramica ideata dai maestri vasai proprio per celebrare i venti anni dell’evento, mentre domenica sarà visitabile BorgoCeramica-Mostra mercato delle ceramiche allestita lungo la via dei Vasai (B.go Santa Croce), insieme al mercatino delle tipicità che aprirà i battenti dalle 16.00 di sabato.

Sempre domenica, si svolge “legu-bike”, una pedalata che ben si concilia con la filosofia del benessere legata ai legumi ed alla qualità della vita di questi luoghi. “Passeggiando fra Arti e Mestieri”, infine, è un itinerario che dal “Museo de La Stanza del Telaio”, ove verrà raccontata la storia della filiera “dalla fibra al filo” attraverso gli antichi strumenti per la lavorazione del tessuto, conduce alla Fonte del Coppo seguendo il percorso dell'Anello delle Lavandaie, per onorare la memoria di un passato che, fino al secolo scorso, ha visto all'opera le donne del borgo.             

Leguminaria è una nuova tappa del Grand Tour delle Marche, il circuito di eventi proposto da Tipicità insieme ad ANCI, con la collaborazione di Regione Marche e la partnership progettuale di Banca Mediolanum. Sulla piattaforma www.tipicitaexperience.it tutte le informazioni sugli eventi in programma ad Appignano nel fine settimana e le notizie per godere di tutte le attrattive del territorio.

 

Angelo Serri

IL PESTO? UNA COSA SERIA

di Virgilio Pronzati

 Pesto Genovese nel mortaio

Il Pesto Genovese classico è realizzato nel mortaio e col pestello.  E’ composto da sette ingredienti di cui in gran parte di Basilico Genovese DOP. In commercio col nome di Pesto Genovese e Pesto alla Genovese ci sono tre tipologie: fresco, surgelato e pastorizzato. Il Pesto di qualità è solo fresco, seguito da quello surgelato. La differenza di un presto fresco da quello pastorizzato (a lunga conservazione) è evidente: anche se entrambi sono prodotti con gli stessi ingredienti, in quello pastorizzato cambiano la tonalità del colore, la qualità dell’odore e del sapore. Il calore che viene usato nel procedimento conferisce un colore tendente al grigio-verde, mentre all’olfatto ed al sapore, si percepiscono rispettivamente, un sentore vegetale o di basilico ossidato, e un sapore non armonico con note amaro-salate. 

Mandilli de saea col pesto 

Ciò è dovuto all’ossidazione delle sostanze aromatiche e coloranti contenute nelle foglie di basilico. Non solo, anche nel Pesto fresco  ci sono sostanziali differenze qualitative dovute principalmente al basilico. Sicuramente migliore se ottenuto da Basilico Genovese DOP. Gli oli essenziali contenuti nella pagina superiore della foglia  conferiscono aromi esclusivi.  Anche se il pesto migliore è fatto nel mortaio, quello fatto nel cutter o frullatore può essere gradevole. Da abolire quello fatto con la mezzaluna: il lungo tempo occorso per tritare, ha già ossidato il basilico.  

Battolli col pesto

Se è relativamente facile per un genovese reperire del pesto di qualità, non lo è altrettanto per un “foresto”.   Per sopperire a questo, il Gambero Rosso ha pubblicato nel giugno di quest’anno,  una sua classifica dei migliori pesto freschi.  La selezione è il risultato dell’assaggio dei prodotti  di oltre trenta aziende.   Al primo posto,  Rossi 1947 di Genova.  Di seguito e in ordine alfabetico: Artigiana Genovese di Genova; Casa Lombardi di Vecchiano (PI); Compagnia del Pesto Genovese di Genova; Il pesto di Pra di Bruzzone e Ferrari di Genova; LASA di Busalla ( GE); Pexto  di Genova; Rabaglia 1968 di Genova; Ramella Azienda Agricola di Diano Marina (IM). Infine, altri due meritevoli e posti in gdo, prodotti dalla Coop.

Parte del punto vendita di Pexto 

Ma aldilà delle scelte fatte, come si suol dire tutte giustamente opinabili, risaltano curiosamente il pesto di un’azienda in provincia di Pisa, e l’altro da Pexto di Genova. Quest’ultima tra le poche o unica, a ricevere dall’International Taste Institute di Bruxelles il prestigioso Superior Taste Award 2022 per il Pesto alla Genovese fresco in sac a poche. Uno dei riconoscimenti più importanti al mondo nel settore Professional Food.

Da Pexto in Corso Sardegna tutte le golosità genovesi e liguri consigliate da Greta

Valutazione del Pesto Genovese fresco in vasetto di vetro Pexto

Aspetto: colore verde vivo, leggermente marmorizzato, con granulazione un pò elevata (in particolare il basilico) e di giusta densità.

Odore: intenso e persistente, fine, con netti sentori varietali-aromatici. 

Sapore: molto sapido e tendente leggermente al salato, persistente e discretamente armonico. Al retrogusto: nette le note vegetale-aromatiche e salato-amarognole.   

Considerazioni: prodotto di ottima qualità e tipicità.

 

 

Pexto Store - Corso Sardegna 201r, 16142 Genova GE

Telefono: 393 099 4666

Acquisti in negozio,  consegna a domicilio, deliveroo.it,  justeat.it 

SASHIMI, CARPACCI E TARTARE

 

LE INSEGNE DI IYO GROUP PORTANO NEL PIATTO L’ESTATE, TRA MATERIE PRIME ECCELLENTI E SAPIENTI GESTI DI LAVORAZIONE

UN’ISPIRAZIONE PER FRESCHI PIATTI DA GUSTARE ANCHE A CASA

 

 

In Italia il pesce crudo è una “tradizione contemporanea”. Anche se oggi ci sembra un’usanza comune, è entrata nelle nostre abitudini popolari negli ultimi 15 anni – ovvero con l’avvento dei primi ristoranti giapponesi. Se le ostriche sono sempre state delicatessen per benestanti e in Puglia, e per la precisione a Bari, il pesce crudo lo si è sempre mangiato, questa abitudine non è mai stata diffusa. Poi il sashimi e l’abbinamento di pesce crudo e riso nel sushi hanno cambiato per sempre il nostro modo di mangiare, anche grazie all’utilizzo di salse che sono riuscite ad avvicinare il gusto nostrano a quello del lontano Oriente.

 

Nel 2007 i ristoranti giapponesi a Milano si contavano sulle dita di due mani ed erano tutti molto tradizionali, aperti dagli anni Novanta offrivano un’esperienza giapponese autentica ma datata. In via Piero della Francesca invece Claudio Liu apre il ristorante IYO Experience, dove serve sushi innovativo e cucina giapponese contemporanea offrendo un primo approccio per i milanesi a piatti come sushi, sashimi e uramaki; 15 anni più tardi il panorama è completamente cambiato e in estate il pesce crudo fa parte delle nostre abitudini, anche a casa. Olio e limone? Non solo. Dalle ricette storiche di IYO Experience e dalla cultura giapponese più tradizionale di IYO Omakase si può prendere ispirazione per piatti da preparare a casa.

 

Il sashimi, una tradizione antica

Il sashimi è il più essenziale fra i piatti della cucina giapponese, quello apparentemente più

semplice: solo pesce crudo. In purezza. Dove l’arte del taglio e la qualità della materia prima fanno la differenza, un emblema della filosofia dell’intera cultura gastronomica del Sol Levante.

Il sashimi, come lo conosciamo oggi, trae le sue radici da un tempo molto lontano, un piatto di pesce crudo, a fette sottili, accompagnato da aceto allo zenzero e alla senape o da irizake (sake aromatizzato al katsuobushi e umeboshi). Nel periodo Edo (1603-1868) sushi e sashimi di pesce pescato nel golfo della città di Edo, l’attuale Tokyo, divengono molto popolari, favorendo anche la produzione e il commercio di salsa di soia, abbinamento ancora oggi considerato un classico.

 

Pesce di qualità e in tutta sicurezza

Il sashimi è formato da due ingredienti: la materia prima e la mano dello chef. La qualità del pesce qui è fondamentale proprio perché viene gustato in purezza, per poter assaporare i differenti sapori e consistenze delle tipologie di pescato. Il pesce per essere consumato crudo deve essere preventivamente sottoposto ad abbattimento termico per eliminare i parassiti eventualmente presenti in esso. Il pesce per consumo crudo viene venduto oramai anche al supermercato o lo si può chiedere al pescivendolo di fiducia.

 

Sashimi VS Carpaccio

La tecnica più comune per affettarlo è chiamata hira-zukuri ed è un metodo per tagliare fette rettangolari dello spessore di circa 1 centimetro. Può essere utilizzata su tutti i tipi di pesce, in particolare su pesci grassi come tonno e salmone. Il pesce bianco preferisce fette più fini e viene lavorato con un tipo di taglio chiamato usu-zukuri, in cui l’inclinazione della lama affilata e la precisione estrema producono fette rettangolari da cui si può guardare quasi attraverso. Sono fette che si avvicinano all’idea del carpaccio italiano, ricetta inventata nel 1950 al Harry’s Bar di Venezia in cui le fette, originariamente di manzo o di pesce sono tagliate sottili e poi condite con salse o marinate. Se quindi sashimi è sinonimo di minimalismo, il carpaccio può abbracciare le soluzioni più creative.

 

Salsa di soia e salsa ponzu: quale scegliere

Il pesce, tagliato a fette sottili, è tradizionalmente adagiato su una guarnizione di daikon, una radice bianca e croccante che viene tagliata in lunghe strisce sottili, e foglie verdi di shiso. Oggi lo si ordina come portata singola, proprio come da IYO Experience, in cui degustare diverse tipologie di pesce, ma per i Giapponesi il sashimi rappresenta sempre la prima portata di un pranzo tradizionale, ed è esattamente come viene servito al banco di IYO Omakase, dopo i zensai (gli “antipasti”) e prima dell’owan, la zuppa.  Il sushi-master Masashi Suzuki lo prepara al momento: lo sala all’inizio del servizio, lo affetta, e lo serve crudo o appena scottato nel caso del tonno o della ricciola, per concentrare i sapori e raggiungere la consistenza ideale. Due le salse con cui viene servito al banco da Miwa, nel tradizionale kimono giapponese: la salsa di soia e la salsa ponzu, una delle più conosciute in Giappone. Quest'ultima spicca per il suo sapore deciso e l'aroma agrumato. Si compra già pronta ma da IYO Omakase, Suzuki San la prepara facendo bollire a fuoco lento mirin, aceto di riso, fiocchi di katsuobushi e alga. Una volta freddo viene aggiunto succo di yuzu o sudachi, caratteristici agrumi orientali che donano una grande freschezza. La salsa di soia è la più idonea per i sashimi di pesce bianco, mentre la salsa ponzu ben si presta a tonno e pesci grassi, come il salmone – ma a casa diventa un ottimo ingrediente per condire insalate con pesce crudo o pollo, insieme ad un filo d’olio. Da IYO Experience la salsa ponzu viene utilizzata infatti come accompagnamento ad un carpaccio di ricciola e rondelle di peperoncino jalapeño.

 

Quasi crudo: il tonno scottato marinato

Lo Zuke maguro è oramai un classico di IYO Experience, ed è un’idea da copiare anche a casa: un filetto di tonno appena scottato, marinato con sake, mirin e salsa di soia e servito con una crema al wasabi. Per la preparazione, il tonno (400 g) viene sbianchito per 10 secondi in acqua bollente e poi raffreddato in acqua e ghiaccio. Si lascia quindi marinare per 50 minuti circa in una salsa composta da 200 g di sake, 200 g di mirin e 600 g di salsa di soia, e quindi si taglia a fette dello spessore di mezzo cm. Per accompagnare, una crema al wasabi preparata con 100 g di maionese, 30 g di pasta di wasabi, 5 g di soia e un pizzico di sale.

 

La tartare con salsa di miso e yuzu

La ricciola è un pesce molto amato in Giappone e come altri pesci bianchi si presta ad essere mangiato crudo così come orate, berici, ombrine, branzini. Sono carni più tenaci ma dalla grassezza più bilanciata di tonno e salmone. Sono pesci che piacciono agli intenditori e possono essere serviti sotto forma di nuda tartare con una salsa di miso, succo di yuzu e peperoncino ichimi, come nella ricetta dell’Hamachi miso servita da IYO Experience. Per la salsa di miso si mescolano 50 cl di succo di yuzu, 50 cl di mirin, 50 g di zucchero, 100 g di miso e un pizzico di pepe giapponese. La salsa viene usata per condire la tartare di ricciola servita con avocado, pomodoro camone, ravanelli e carote a julienne.

 

 Link per download foto: https://we.tl/t-IN7sFbtISV

 

Nadia Sala

CURIOSITÀ ALIMENTARI IN CUCINA – PERSONAGGI FAMOSI

di Pietro Bellantone

Questo articolo, frutto di una ricerca piuttosto ampia, ha lo scopo di evidenziare, in alcune puntate, alcune specialità alimentari di cui erano particolarmente ghiotti, alcuni personaggi celebri, a diverso titolo, a partire dal Medioevo.

San Francesco e i mostaccioli

Jacopa de’ Settesoli, nobildonna romana, rimasta vedova giovanissima, divenne una seguace di San Francesco, nel 1219, in occasione di una sua predicazione a Roma. Una donna che si era dimostrata molto operativa e determinata, da spingere Francesco a chiamarla con affetto Frata Jacopa.

San Francesco

Il Santo aveva avuto la possibilità di degustare certi biscotti, preparati da Jacopa, con la pasta di pane, miele, mandorle e mosto d'uva (da qui forse il nome di mostaccioli) e non aveva esitato a definirli “boni e profumosi”. Ed addirittura quando Francesco avvertì l’avvicinarsi della sua morte, chiese alla sua amica di raggiungerlo alla Porziuncola, portandogli anche “quei dolci” che aveva così tanto gradito altre volte.

Ricetta:

Ingredienti

200 g di farina – 200 g di mandorle pelate – 150 g di miele - 2 albumi - 1 arancia - mosto d’uva cotto - 1 noce di burro - 1 pizzico di lievito in polvere - pepe nero - cannella e sale

Preparazione

Mescolare il miele con le mandorle tritate, un po' di scorza grattugiata dell’arancia, il burro e mezzo cucchiaino di cannella e mezzo di pepe. Successivamente mettere insieme la farina, il sale, il lievito e il mosto fino ad avere un composto sostanzioso. Allargare il miscuglio con il mattarello, non troppo alto, e tagliarlo a forma di rombi. Sistemare i dolcetti su un foglio da forno e cuocere per 15 minuti, a 180° C. Fare poi raffreddare bene e servire i dolcetti rivestiti di miele o mosto.

Mostaccioli di San Francesco, biscotti di Frata Jacopa

 

Francesco II Borbone detto “Il Re Lasagna”

Francesco II  Borbone, che fu l’ultimo sovrano delle Due Sicilie, dal 1859 al 1861, venne chiamato confidenzialmente dal padre "Re lasagna", per la sua impressionante passione per le lasagne, una pasta molto usata nel Sud. 

Ritroviamo la ricetta, con ingredienti e preparazione, nel ”Gattò di lasagnette alla Buonvicino", scritto nel 1843 da Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino. Addirittura Goethe nel suo diario“ Viaggi in Italia” del 1787, descrive quella "pasta delicata, fatta con fine semolino, lavorata duramente, bollita e lavorata in varie forme". Per ricostruire la cucina, l'alimentazione e la vita di corte del Sud  borbonico, si sono prese come testimonianze, quelle dei viaggiatori stranieri che hanno soggiornato a Napoli e nel Regno delle Due Sicilie ed ai libri di cucina scritti da cuochi, come “Il cuoco galante” di Vincenzo Corrado, frate benedettino e gastronomo di San Pietro a Maiella, richiesto in tutto il mondo.

 

Lasagna napoletana

 Giuseppe Mazzini – dolce, caffè e cioccolato

Giuseppe Mazzini, amava il caffé, le noci, i dolci e in particolare il cioccolato. Durante l’esilio francese, in un precario stato psicologico, ripeteva spesso che “Il cioccolato ha mille pregi: consola i fallimenti, i tradimenti, le ingiurie della vita, le malinconie per le passioni perdute e per quelle mai avute”. 

Giuseppe Mazzini

Invece dall’esilio svizzero scriveva alla mamma Maria, nel dicembre dei 1835, 
[… ]Prima di dimenticarmi, voglio attenere la mia promessa e soddisfare un mio capriccio. Eccovi la ricetta di quel dolce che vorrei faceste, e provaste, perché a me piace assai. Traduco alla meglio, perché di cose di cucina non m’intendo, ciò che mi dice una delle ragazze in cattivo francese: pelate, e pestate fine fine tre once di mandorle, tre once di zucchero, fregato prima ad un limone, pestato finissimo. Prendete il succo del limone, poi due gialli d’uovo, mescolate tutto questo, e movete, sbattete il tutto per alcuni minuti, poi, sbattete i due bianchi d’uovo quanto potete: en neige, dice essa, come la neve – cacciate anche questi nel gran miscuglio – tornate a movere.

Torta di Mazzini

Ungete una tourtière, cioè un testo da torte, con butirro fresco, coprite il fondo della tourtière con pasta sfogliata, ponete il miscuglio sul testo, su questo strato di pasta sfogliata, spargete sopra dello zucchero fino, e fate cuocere il tutto al forno. Avete inteso? Dio lo sa. Mi direte poi i risultati: intanto ridete.

Giuseppe Garibaldi – le sue preferenze gastronomiche

Giuseppe Garibaldi, sobrio nei costumi, aveva gusti semplici e abitudini frugali anche in fatto di cibo; preferiva i sapori della cucina genovese, in particolare la minestra, le zuppe con verdure e legumi, lo stoccafisso e il baccalà. 

Giuseppe Garibaldi

Sembra che i suoi dolci preferiti fossero le gallette da marinaio con uva passa, a cui si ispirarono i cosiddetti “Biscotti Garibaldi”, ancora oggi venduti in Inghilterra e, come Giuseppe Mazzini, amava i biscotti del Lagaccio, che gli venivano spediti direttamente da Genova. Non beveva vino, ma acqua fresca o tè e l’infuso del “mate” e d’estate si dissetava bevendo le ottime orzate. Nel libro Mio Padre, Clelia, figlia dell’Eroe e dell’ultima moglie, Francesca Armosino, ricordando i vari momenti felici vissuti a Caprera quando era bambina, evidenzia che i piatti preferiti da Garibaldi erano il minestrone alla genovese col pesto, lo stoccafisso o il baccalà, pesce fresco, fritto o cucinato secondo la saporita ricetta nizzarda della bouillabaisse, formaggio pecorino, olive in salamoia, i polpetti fritti col pomodoro, i gamberetti e i ricci di mare, quelli pescati dalla figlioletta Clelia.

 I Biscotti di Garibaldi

Gabriele D'Annunzio e la bistecca

Gabriele D'Annunzio usava mangiare molto e avidamente. Al ristorante, dopo il pranzo scriveva su alcuni fogli pensieri, descriveva attimi di suggestione perché pensava che l’ottimo cibo aiutasse l’armonia mentale. 

Gabriele D’Annunzio

Ma se non veniva servito subito, dopo aver ordinato al cameriere del ristorante, diventava scorbutico e irascibile. Gli piaceva particolarmente il riso, la carne alla griglia, il pesce, la frutta, soprattutto mele cotte o crude. Gabriele aveva una forte passione per l’acqua di cui illustrava le molteplici virtù e beveva anche del vino, quando in Francia per il periodo di due anni, fu convinto dai viticoltori della regione sui vantaggi che poteva offrire alla sua salute. Non resisteva alla tentazione dei dolciumi, impazzendo per le mandorle tostate, per i marrons glacés e la cioccolata, che sembra ritenesse un eccellente corroborante per gli appuntamenti galanti. Nei confronti dei gelati aveva una vera dipendenza e arrivava a mangiarne fino a dieci di seguito, se non era osservato. Come ricetta dedicata al grande D’Annunzio vi propongo quella della bistecca di chianina. 
D'Annunzio
, a Firenze dove soggiornava, preferiva andare a mangiare nelle trattorie e non certo per risparmiare, in considerazione della sua nota dispendiosità. 


Bistecca di chianina

Quando abitava in Via Lorenzo il Magnifico era perseverante cliente di Gaetano Picciolo, dove erano famose le bistecche che il grande vate mostrava di apprezzare molto.. Quando si ritirò al Vittoriale, il figlio del Picciolo gli inviò una lettera, alla quale rispose con un telegramma il cui testo rappresenta una chiara attestazione del suo amore per l'arte della cucina:

"Il tuo inaspettato messaggio risveglia i miei più dolci ricordi fiorentini stop. Ti mando quel che vuoi ma tu mandami per telegrafo la bistecca di tre quarti che mangiammo allora insieme col non dimenticabile Jarro. Stop. Abbraccio il babbo. Gabriele D'Annunzio."

 Filippo Tommaso Marinetti e la Cucina Futurista

 Poeta e padre spirituale del movimento Futurista, nato nel 1909 per rivoluzionare arte, letteratura, musica, teatro, danza e infine la cucina, le cui teorie rinnegavano gli stili del passato per aderire con forme vive al dinamismo della vita moderna.
La cucina futurista, precisamente definita da Marinetti come una vera e propria rivoluzione "cucinaria", venne illustrata in un manuale con ricette, menu e consigli per preparare e realizzare raffinati banchetti.

Filippo Tommaso Marinetti

A rivedere oggi il manifesto gastronomico Futurista, si capisce come alcuni dei suggerimenti di Marinetti abbiano trovato attuazione, come, ad esempio, l’integrazione dei cibi con additivi e conservanti, o l’utilizzo in cucina di strumenti tecnologici per tritare, polverizzare ed emulsionare. Le ricette che apparivano allora faziose, anche se in parte erano solo derivate da preparazioni rinascimentali, furono in alcuni casi un’anticipazione della Nouvelle Cuisine all’italiana. Era il 28 dicembre 1930 quando il quotidiano torinese “La Gazzetta del Popolo” pubblicò a piena pagina il manifesto della cucina Futurista, scritto e meditato da Filippo Tommaso Marinetti. Famosa e impopolare fu la lotta che Marinetti fece contro l’«alimento amidaceo» (la pastasciutta), colpevole di creare della dipendenza nei consumatori: «fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo... una palla e un rudere che gli italiani portano nello stomaco come ergastolani o archeologi».
Il Manifesto di Marinetti predicava, inoltre, l’eliminazione della forchetta e del coltello, dei condimenti tradizionali, della politica a tavola, invitando i chimici ad inventare nuovi sapori, e incoraggiando l’accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi. I futuristi lavorarono inoltre a italianizzare alcune parole di origine straniera: il cocktail divenne così la "polibibita" (che si poteva ordinare al "quisibeve" e non al bar), il sandwich prese il nome di "traidue", il dessert di "peralzarsi" e il picnic di "pranzoalsole". I futuristi conquistarono un enorme successo di pubblico e di stampa con l’organizzazione di “aerobanchetti”: nessuna tovaglia sul tavolo a forma di aereo, sostituita da foglie di alluminio e piatti di metallo. Dopo la portata “aeroporto piccante”(insalata russa), veniva spesso servito “rombi d’ascesa” (risotto con arancia). A Bologna, nel 1931, durante uno di questi appuntamenti, Marinetti recitò: “voliamo a ottomila metri: sentite come questo nutre e favorisce lo stomaco.” Dai commensali vi fu una richiesta a gran voce: “vogliamo il carburante.” S’inneggiava al Lambrusco, travasato in latte da benzine. Furono poi anche serviti: “la sveglia stomaco”, “l’alga spuma tirrena” e “il pollo d’acciao” (arrosto ripieno di confettini argentei).

Regole del pranzo perfetto  (dal Manifesto Futurista).

1. Armonia originale della tavola (cristalleria vasellame addobbo) coi sapori e colori delle vivande.

2. Originalità assoluta delle vivande (abolizione della pastasciutta).

3 . Dotazione di strumenti scientifici in cucina, ozonizzatori che diano il profumo dell'ozono a liquidi e a vivande; elettrolizzatori per scomporre succhi estratti ecc.; mulini colloidali per rendere possibile la polverizzazione di farine, frutta secca, droghe, eccetera. L'uso di questi apparecchi dovrà essere scientifico, evitando l'errore di far cuocere le vivande in pentole a pressione di vapore, il che provoca la distruzione di sostanze attive (vitamine, ecc.) a causa delle alte temperature.

4. Abolizione della forchetta e del coltello per i complessi plastici che possono dare un piacere tattile prelabiale.

5. Creazione dei bocconi simultanei e cangianti che contengano dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi. Questi bocconi avranno la funzione analogica… di riassumere una intera zona di vita, lo svolgersi di una passione amorosa, o un intero viaggio nell'Estremo Oriente.

6. Uso dell'arte dei profumi per favorire la degustazione. Ogni vivanda deve essere preceduta da un profumo che verrà cancellato dalla tavola mediante ventilatori.
7. Presentazione rapida tra vivanda e vivanda, sotto le nari e gli occhi dei convitati, di alcune vivande che essi mangeranno e di altre che essi non mangeranno, per favorire la curiosità, la sorpresa e la fantasia.

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