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L'Angolo Della Qualità

I FORMAGGI DE IL FIORINO PROTAGONISTI DAL 10 AL 12 AL TASTE TOUR

 

 

 

Da sabato 10 a lunedì 12 marzo, il Caseificio maremmano sarà alla Leopolda nella sezione Taste Tour I formaggi de Il Fiorino tornano protagonisti al Taste di Firenze.

 

Le eccellenze del caseificio Il Fiorino si preparano a conquistare il Taste di Firenze. Da sabato 10 a lunedì 12 marzo, l’edizione 2018 del salone dedicato all’alta gastronomia e al foodlifestyle, in programma alla Stazione Leopolda avrà tra i protagonisti anche l’azienda maremmana, che presenterà i suoi formaggi. Una vera e propria kermesse del gusto quella fiorentina, che vedrà partecipare 400 imprese e operatori del settore dal panorama nazionale e internazionale.

 

A Taste arriva il Pecorino aromatizzato al Pesto. Nella prestigiosa cornice di Taste, inoltre, sarà presentata la collaborazione tra Il Fiorino e Pesto Rossi, azienda genovese che, dal 1947, è specializzata nella produzione e vendita di prodotti gastronomici di alta qualità. Da questa partnership sono nati due prodotti pensati per le tavole dei gourmet di tutto il mondo: il Pesto Rossi al pecorino Riserva del Fondatore e il Pecorino aromatizzato al Pesto Rossi, maturato in cella per almeno 30 giorni e dal sapore morbido e ben equilibrato.

 

 

 

 

Taste, dove trovare Il Fiorino. Le eccellenze del Caseificio maremmano potranno essere gustate alla Leopolda nella sezione Taste Tour, allo stand A/43. Per gli amanti del formaggio targato “Il Fiorino”, Taste sarà l’occasione per assaporare alcuni dei prodotti che, nel 2017, hanno conquistato i più importanti premi a livello internazionale: dalla Riserva del Fondatore a il Cacio Caterina, dal Tesoro di Giove al Fior di Natura semi stagionato biologico con caglio vegetale, dalla Grotta del Fiorino al Pecorino Toscano Dop stagionato a latte crudo fino al Fior di Maggengo. Sono solo alcune delle eccellenze che hanno portato il Caseificio maremmano nell’ ‘olimpo’ dei migliori formaggi del mondo.

 

Ufficio stampa Caseificio Il Fiorino

Lisa Cresti

 

TRENT’ANNI DI VIGNE VECCHIE, LA LUNGA VITA DELLA BARBERA D’ASTI

 

 

 

Di Luciano Scarzello

Grande successo della storica verticale

organizzata dalla Cantina Vinchio – Vaglio Serra, in una giornata interamente dedicata al suo miglior vino.

 

La Barbera o il Barbera? Da anni si discute se uno dei più noti e antichi vini del Piemonte (ma presente, ad esempio, anche nell’Oltrepò pavese e nel Piacentino) sia “maschile” o “femminile” e alla fine si è deciso per questa seconda definizione. Del resto si è sempre chiamata così. Culla per eccellenza della Barbera è l’astigiano che alcuni anni fa ha visto il riconoscimento della docg. Un vino molto apprezzato, impegnativo, diciamo quasi “Da meditazione” come  il Barolo docg pur non possedendone proprio lo stesso impatto anche mediatico e le stesse caratteristiche. Specie se si tratta di “Vigne vecchie”, la produzione per eccellenza della Cantina cooperativa di Vinchio Vaglio nel territorio di Nizza Monferrato terra della “Bagna caòda” in autunno che in abbinamento alla Barbera ha dato origine ad un  fantastico connubio.

 Ispirato dal grande enologo Giuliano Noè, uno dei padri della Barbera, il “Vigne vecchie” è frutto delle uve raccolte in vigneti con oltre 50 anni di vita. Nel corso di una manifestazione svoltasi  proprio nella sede della Cantina sono state degustate bottiglie di “Vigne vecchie” di 9 annate a partire dal 1987 e tutte accomunate da una stupefacente longevità. È questa la caratteristica evidenziata da giornalisti nazionali ed esteri, esperti di marketing e comuni amanti del buon bere  che han fatto ressa al banco di degustazione.

“Oltre alla grande soddisfazione per i risultati della degustazione – afferma il Presidente della Cantina, Lorenzo Giordano – questa giornata è stata importante poiché ci ha offerto fondamentali spunti di riflessione. Il grande panel delle persone presenti, in primis giornalisti del settore, oltre a certificare la qualità del nostro vino, la sua grande longevità e le sue potenzialità, ci ha consentito anche di analizzare i principali mercati a cui il nostro Vigne Vecchie si rivolge”.

Dello stesso parere i curatori delle guide presenti, Antonio Paolini (de “L’Espresso”) , Gianni Fabrizio, Paolo Massobrio e Fabrizio Gallino, sulla longevità del ‘Vigne Vecchie’: “Le annate in degustazione  hanno mostrato una grande una indiscutibile attitudine all’invecchiamento. È giunto il momento di considerare la Barbera d’Asti alla stregua dei principali vini italiani. Grande è dunque la versatilità di questo vino, in grado di collocarsi nel novero dei principali vitigni”. Opinione questa condivisa anche da Alfonso Cevola, curatore del blog On the Wine Trail in Italy e grande conoscitore del mercato statunitense. “Oltre ad essere personalmente entusiasta di questa degustazione – ha detto - ritengo che ‘Vigne Vecchie’ possa diventare un brand vincente nel mercato americano. La grande bevibilità e piacevolezza della barbera d’Asti, si sposano perfettamente con le attese dei wine lovers statunitensi, sempre più alla ricerca di esperienze organolettiche alternative”. “La Barbera – aggiunge il presidente del Consorzio di Tutela Filippo Mobrici – deve acquistare una importanza sempre maggiore e curare costantemente la qualità. La crescita di interesse sui mercati internazionali  dimostra che abbiamo ancora molto spazio”. La Cantina di Vinchio è nata nel 1959 ed è un’importante realtà dell’astigiano. Oltre alla Barbera produce altri noti vini tra cui Grignolino, Freisa, nebbiolo, Bonarda, Brachetto e il Ruchè.

 

 

GOLOSITA' A MONTEBRUNO

 

 

Lo storico palazzo che ospita l'antico forno

Di Virgilio Pronzati    

Per chi ama la quiete, la campagna, pane e dolci di straordinaria bontà, basta percorrere la statale 45 della Val Trebbia e raggiungere il piccolo comune di Montebruno.  Il tutto a circa tre quarti d’ora da Genova.  Montebruno, conosciuto sin dall’antichità col toponimo Castrum Montisbruni, è uno dei più piccoli comuni liguri contando appena 240 abitanti di cui circa cento nel nucleo comunale e il resto suddivisi in ben sette frazioni.  Se nel passato era frequentato da contadini, mercanti, monaci e truppe delle ricche e potenti famiglie dei Malaspina, Fieschi e Doria che dovevano raggiungere Piacenza, oggi è la meta per gite e scampagnate fuori porta dei gourmet genovesi. 

 Una parte del locale

 

Oltre un ristorante, la farmacia e altri necessari esercizi, spicca l’Antico forno a legna Da Carlo, dove pane e dolci lievitati sono prodotti rigorosamente con il lievito madre e, non meno importante, cotti in forno a legna.  Questo locale ha una storia antica. Se Montebruno fu eretto comune nel 1881, il forno risale al lontano 1886. A crearlo fu Davide Barbieri bisnonno dell’attuale proprietario Carlo, che lo gestisce con la moglie Ida e il figlio Davide, fratello di Luca e Pietro. Con quest’ultimi, la famiglia Barbieri giunge alla terza generazione.  Carlo, innamorato del suo lavoro, è l’esempio di come la tradizione si coniuga con l’innovazione. Ossia la creazione di nuovi prodotti realizzati con ingredienti di altissima qualità (in certi casi Bio), caratterizzati da foggie, colori e aromi, ma cotti da sempre in forno a legna. 

L’antico forno a legna    

 

Da ormai tanti anni Orazio, lo zio di Carlo da inizio al rito quotidiano, scaldando il forno ogni sera.  A riaccenderlo alle prime ore dell’alba tocca al patron Carlo, che prosegue con l’utilizzo dei panini di burro preparati la sera prima, e l’accurata copertura dell’impasto che sta lievitando con sottili panni di lino.   Ecco la giornata di lavoro raccontata da Carlo: < La lavorazione dei nostri dolci lievitati inizia con la preparazione del lievito madre al mattino intorno alle 6.00. Dopo un’ora si fa il primo rinfresco con acqua e farina, si lascia riposare tre ore al caldo e si ripete l’operazione per tre volte.

I Baci di Montebruno

 

Nel tardo pomeriggio, il lievito madre è pronto per il primo impasto. Questa fase richiede circa un’ora di lavorazione perché gli ingredienti sono messi uno per volta per amalgamarsi molto bene tra loro. Nel caso del panettone quattro stagioni, occorrono circa 20 ore di riposo prima di poter fare il secondo impasto. Servirà un’altra ora per aggiungere farina, burro, uova, zucchero e frutta candita e portare a termine l’impasto. Quest’ultimo è diviso in 4 parti e vi si aggiunge un ripieno per ogni stagione: amarene per la primavera, albicocca per l’estate, marroni per l’autunno, cioccolato per l’ inverno >.  

 

Il Panettone 4 stagioni

<Per gli ingredienti dei dolci lievitati - continua Carlo - abbiamo scelto una farina di grano nazionale macinata a pietra del molino Dallagiovanna che mantiene tutte le proprietà nutrizionali del grano; non contiene additivi ed è in grado di resistere ai lunghi impasti e alla tante ore di lievitazione. Il burro scelto è di pura panna fresca proveniente da latte di prima qualità. Il tuorlo d’uovo proviene da galline allevate a terra. Nessuno dei nostri lievitati contengono coloranti, conservanti o monodigliceridi. Hanno una durata di circa 60 giorni e essere conservati in un luogo asciutto e possibilmente al buio>.

Il Filoncino dolce di Montebruno

La filosofia produttiva di Carlo e Ida è apparentemente semplice ma rigorosa. Solo materie prime di alta qualità di produttori artigianali, possibilmente del territorio e bio.  Due parole sul lievito madre: più digeribile rispetto al lievito di birra ed è più sano. E’ un impasto fermentato in cui si sviluppano batteri e fermenti lattici che, producendo anidride carbonica, favoriscono la lievitazione naturale. Non solo: sia i dolci che il pane hanno una maggiore durata, esprimendo esclusivi profumi e sapori. 

 

 Ida e Carlo Barbieri all’Expo Fontanabuona

Pani leggeri e fragranti e dolci irrinunciabili. Il filoncino salato è semplicemente squisito. Una specialità davvero unica: lavorato ancora con le regole artigianali di una volta. Lo stesso per la Micca di Montebruno e la mitica Focaccia Genovese con l’olio.

Ecco un piccolo elenco delle specialità create giornalmente da Ida e Carlo.  Il Bacio di Montebruno, nato negli anni ’80 aggiungendo le nocciole Piemonte IGP alla ricetta della pasta frolla della nonna Il giorno seguente aggiungiamo le nocciole Piemonte e cominciamo la lavorazione. Una volta cotti e raffreddati sono uniti a mano con una crema alla nocciola e confezionati.

Le Sophie di Montebruno (di vari tipi) di cui vertice quelle al cioccolato e scorzetta di arancia. Il nome è un omaggio a Sophie Blanchard, la prima donna aeronauta professionista, la quale durante un'ascensione in mongolfiera fu spinta dalle correnti fino a Montebruno, in Valtrebbia, dove atterrò. Gli ingredienti utilizzati per le Sophie sono farina, burro di crema di latte, uova selezionate da galline allevate a terra e l'aroma distintivo per ogni sophia: caffè, cocco, cioccolato o variazioni di cereali.

La famiglia Barbieri

I Canestrelli di Montebruno, fatti con pasta frolla (che assieme alle “negie”, ossia le cialde, erano gli unici dolci di strada venduti a Genova nel Medioevo).  L’impasto della pasta frolla viene fatto un giorno prima per permettere alla stessa di riposare e farle perdere elasticità. Una volta cotti e raffreddati sono uniti a mano con una crema alla nocciola e confezionati.  Tre autentiche golosità: chi le assaggia, rischia di diventarne dipendente!  Curiosità. Un affezionato cliente ha scritto: Essere a Montebruno è non fermarsi da Carlo, è come passare da Piazza Duomo a Milano senza voltarsi.

Poi le soffici Brioches sempre con lievito madre, il Pandolce Classico Genovese e quello Antica Genova, entrambi emblemi di Genova, i rari Canestrellini di castagne di Montebruno e tanti altri.  

Tornando al pane e ai dolci, gran parte di questi, stanno meritatamente per ricevere la De. Co. Il dinamico e giovane sindaco di Montebruno Mirko Bardini, è al lavoro per far ottenere il riconoscimento dei prodotti da forno dolci e salati e altre peculiarità di Montebruno. I prodotti segnalati per la De. Co.: Dolci: Canestrelli di Montebruno, Baci di Montebruno, Canestrellini di castagne di Montebruno e Sophie al cioccolato e arancia.  Salati: Micca di Montebruno e Filone di Montebruno Entrambi col lievito madre.  Da Carlo oltre a vari tipi di cioccolato, conserve, pasta e riso, vini e liquori, ci sono formaggi e salumi di aziende che operano sul territorio da anni. 

 

Antico forno a legna da Carlo  -  Via G. Barbieri, 41 - Montebruno (Genova) - Tel.

010/95038 -  347/066749  -  idaQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.l.com - www.anticofornoalegna.i

 

 

CHIN'ORO TAVIAN

 

 

Di Virgilio Pronzati

 

Antico Frantoio Tavian di Druetti Milko & C. sas - Via Vezzi 16 - 17047 Vado Ligure (SV)  -  Tel. 019.888167  -  Cell. 349.7369110  -   www.frantoiotavian.it          

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

CHIN'ORO

Estratto di olive e chinotto di Savona

Condimento di qualità, ottenuto frangendo contemporaneamente olive taggiasche e chinotto di Savona Presidio Slow Food, con spremitura a freddo con sistema tradizionale. Il numero di bottiglie prodotte varia fortemente in base alle campagne olivicola e di produzione dei chinotti. Nell'ultima stagione la produzione è stata di circa 2.500 bottiglie da 250 ml. Lotto: 081216  - Scadenza: 02 giugno 2019.

 

La conservazione del CHIN’ORO è fatta in contenitori di acciao inox in ambiente e temperatura controllata a 15-18°C.  Prezzo al frantoio: € 11,00 comprensivo di IVA.  In commercio, enoteche e gastronomie, € 16,00.  E’ presente anche in confezione regalo con astuccio e cofanetto.

 

Esame organolettico: All’aspetto è limpido, di colore giallo oro vivo con lievissimi riflessi verdolini.  All’olfatto è abbastanza intenso e persistente, molto fine, con netti sentori di fiori d’arancio un po’ appassiti, buccia di chinotto e limone, pasta d’olive e melissa.  Al sapore è all’inizio tendente al dolce, mentre nel finale è piacevolmente amarognolo. Sapido e appena piccante, pieno, persistente e di buona armonia. Retrogusto: mandorla quasi fresca e chinotto.

 

Abbinamento gastronomico: insalate vegetali, pesce spada marinato, salmone affumicato, tartare di pesce e di crostacei, crostini con bottarga, pasta con le sarde, minestra d’acciughe, risotto con frutti di mare, orata e occhiata al vapore.  Ideale per aromatizzare grissini, maionese, pasta frolla, e dolci come torte, panettone, pandoro, gelato e cioccolato.   

 

 

SANTA TRESA: A VINITALY IL VITIGNO SCOMPARSO

 

 

Un vino nato dal recupero di un vitigno autoctono siciliano scomparso, riportato alla luce grazie a un progetto sperimentale. A Vinitaly (HALL 2, STAND B15) Santa Tresa fa scoprire una varietà reliquia finita nell’oblio.

Il viticoltore trentino Stefano Girelli, alla guida dell’azienda con sede a Vittoria, nel Ragusano, ha infatti riportato alla luce un vitigno che non si trovava più, l’innominabile Orisi. Innominabile perché di fatto non esiste più ufficialmente. Ci vorranno i tempi tecnici previsti dalle normative per richiamarlo con il suo nome ma intanto il vino figlio di questa varietà, l’“O” di Santa Tresa – questa la definizione attuale in etichetta – esiste e sarà tra le etichette presentate a Vinitaly dalla cantina siciliana

“O” di Santa Tresa è un vino unico, riportato alla luce grazie all’ambizioso progetto sperimentale della Regione Sicilia, gestito dal vivaio regionale intitolato a Federico Paulsen a Marsala, dove è raccolto tutto il germoplasma viticolo siciliano, avviato in partnership con l’azienda di Stefano e Marina Girelli. La vendemmia di “O” avviene nella seconda metà di settembre, con selezione delle uve in campo, raccolta in cassette da 15 kg e stoccaggio in cella frigorifera per una notte, a cui segue una pigia-diraspatura con selezione meccanica degli acini. La fermentazione avviene in botti di rovere di Slavonia di medie dimensioni, con l’impiego di lieviti selezionati e numerosi rimontaggi. Ultimato il processo fermentativo, si ricolmano le botti con lo stesso vino fino a sommergere il cappello di bucce: in queste condizioni il vino svolge spontaneamente la fermentazione malolattica e affina fino alla vendemmia successiva, quando il vino viene svinato, separandolo dalle bucce, e passato in acciaio per 4-5 mesi.

 

LE ORIGINI DEL VITIGNO E IL CAMPO SPERIMENTALE DI SANTA TRESA

L’origine di questo vitigno è stata accertata come frutto della libera impollinazione tra Sangiovese e Montonico Bianco: presente in pochi esemplari, nei vigneti più antichi dell’area dei Nebrodi, fa parte dei cosiddetti vitigni reliquia siciliani, recuperati grazie a un ambizioso progetto sperimentale della Regione Sicilia, gestito dal vivaio regionale intitolato a Federico Paulsen a Marsala, dove è raccolto tutto il germoplasma viticolo siciliano. Un’attività inserita in un vasto piano iniziato nel 2003 denominato "Valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani" che ha mirato al recupero, alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio ampelografico siciliano nella sua complessità. L’attività ha avuto tra gli obiettivi, oltre la raccolta e classificazione dei vitigni antichi cosiddetti "reliquia", anche il recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani in termini di utilizzazione viticola ed enologica e la registrazione di nuovi cloni regionali.

«Abbiamo preso parte a questo progetto con orgoglio – spiega Stefano Girelli –. Siamo convinti che il recupero e la valorizzazione dei vitigni antichi rappresenti una concreta azione nella salvaguardia della biodiversità e dei territori storicamente vocati alla viticoltura. Orisi ha trovato la sua casa in un piccolo fazzoletto della nostra tenuta esposto a Nord, dove abbiamo piantato 1523 ceppi allevati a spalliera in un terreno franco sabbioso, ricco di minerali e poggiato su uno strato di calcareniti compatte». 

La ricerca ha preso vita nel 2003 grazie all’Assessorato regionale all’agricoltura Unità operativa di ricerca sperimentazione e trasferimento innovazione che ha condotto una sperimentazione triennale per il recupero della biodiversità della vite in Sicilia.

 

Un progetto realizzato in partenariato con tre aziende vitivinicole, tra cui Santa Tresa, in collaborazione con il Centro Innovazione Filiera Vitivinicola della Regione Siciliana. Il lavoro di ricerca applicativo si è concentrato sul confronto della variabilità varietale di vitigni reliquia in siti colturali diversi sia nella Sicilia occidentale che in quella orientale, dove sorge Santa Tresa.

Nel 2008 il progetto ha visto l’impianto di circa 2.830 barbatelle innestate di diversi cloni e le cui gemme sono state prelevate presso Centro vivaio governativo F. Paulsen. Si sono approfonditi gli studi delle principali varietà caratterizzanti le risorse vitivinicole della Sicilia (Grillo, Nero d’Avola e Frappato) oltre ad alcune vecchie e quasi scomparse varietà che rappresentavano un serbatoio di biodiversità per la vitivinicoltura siciliana (Albanello, Visparola, Alicante, Nocera, Orisi) e ulteriori cloni di altre varietà considerate determinanti per la conservazione e valorizzazione del germoplasma (Catarratto, Perricone, Insolia, Zibibbo, Malvasia). A partire dal 2012 sono state effettuate anche le prime prove di vinificazione con studio dei parametri quali-quantitativi connettendo le risultanze alla tecnica agronomica svolta in campo, al periodo e modalità di potatura (guyot nel caso del campo sperimentale di Santa Tresa) ed alle epoche di vendemmia. I risultati di questa ricerca hanno consentito anche di ottenere la iscrizione di sei nuove varietà di vite da vino al Registro nazionale delle varietà di vite in un percorso di valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani.

 

Renza Zanin

RICERCA E TERROIR: ROENO RISCOPRE IL PINOT GRIGIO CON RIVOLI

 

Con il progetto di zonazione nato nel 2000 a Rivoli Veronese l’azienda propone un’interpretazione della varietà che guarda a qualità, longevità e territorio.

Rivoli Pinot Grigio di Roeno nasce dal progetto di zonazione messo a punto dall’azienda volto a riscattare un vitigno ampiamente diffuso ma spesso poco valorizzato. Il lavoro di studio, sperimentazione e scoperta del territorio, iniziato nel 2000 a Rivoli Veronese – comune ubicato tra Affi e la sede aziendale di Brentino Belluno (Verona) –, vuole comprendere quanto il terroir sia fondamentale per migliorare la capacità espressiva di una varietà viticola. Roeno, nel piccolo anfiteatro morenico che contraddistingue la zona, ha trovato le perfette condizioni geologiche e climatiche per allevare il pinot grigio, ottenendo una produzione di qualità eccellente dopo anni di ricerca agronomica ed enologica. 

L’anfiteatro di Rivoli è costituito da una lingua glaciale che prosegue lungo la direttrice dell’attuale Valdadige. La sua morfologia è organizzata in una sequenza di cordoni morenici e depositi glaciali (tills) disposti in modo concentrico attorno alla piana centrale, intervallati a loro volta da strette vallecole e depositi fluvioglaciali e colluviali. Proprio sui cordoni a substrato glaciale, nelle zone con notevoli pendenze, si alternano aree erose sottili, franco-sabbiose e fortemente calcaree ad aree franco-argillose più profonde. Qui il clima è caratterizzato da importanti escursioni termiche e da una ventilazione costante che rendono la zona particolarmente adatta all’allevamento del pinot grigio.

“Dopo aver testato diverse aree vitate – spiega Giuseppe Fugatti, che assieme agli enologi Mirko Maccani e Alessandro Corazzola ha ideato il progetto di zonazione – abbiamo identificato in Rivoli Veronese un vero e proprio cru, vocato alla produzione del pinot grigio. La sinergia tra territorio, vitigno e lungo affinamento ha saputo aggiungere profondità e articolazione a un vino sorprendente, che nel tempo ha raccolto riconoscimenti autorevoli, tra questi il Tre Bicchieri assegnato quest’anno dal Gambero Rosso”. 

Rivoli di Roeno abbina la ricerca in vigna a quella in cantina: dopo un’attenta vendemmia manuale, le uve sono prima diraspate e poi poste sulla selezionatrice ottica, strumento che grazie ai visori ottici permette di individuare solo gli acini di primissima qualità. Dopo una delicata diraspatura e pressatura avviene la fermentazione alcolica in acciaio fino al raggiungimento di 7/8 % vol. per poi terminare in tonneau. Segue un affinamento prima di dieci mesi in tonneau di rovere francese e poi di minimo 12 mesi in bottiglia.

Nel bicchiere Rivoli si presenta con un brillante color giallo paglierino, al naso è fine e al tempo stesso intenso. I sentori di scorza di limone, pera e pesca bianca introducono una decisa freschezza e una spiccata persistenza ricca di sfumature. L’equilibrio tra acidità e mineralità danno eleganza e grande armonia al Pinot Grigio firmato da Roeno.

 

Sara Stocco

RESISTENTI NICOLA BIASI: UNA NUOVA VITICOLTURA PER UN MONDO PIU’ PULITO E SANO

Uno studio scientifico condotto presso l’azienda Albafiorita, nato da un’idea delle aziende Resistenti Nicola Biasi, dimostra che la gestione dei vitigni resistenti produce il 37,98% di CO2 in meno rispetto a quella dei vitigni tradizionali 

 

Unire qualità alla concreta sostenibilità: è questo lo spirito che guida la rete di aziende della Resistenti Nicola Biasi. E se la qualità dei vini viene ampiamente dimostrata dai numerosi premi che si sono aggiudicati durante l’anno appena passato (primo tra tutti i 3 bicchieri del Gambero Rosso assegnati al Vin de la Neu 2020) le aziende hanno voluto produrre anche una prova concreta della loro sostenibilità.
Nasce così l’idea dello studio comparativo sull’impronta di carbonio nella produzione di vini da varietà tradizionali e vini da varietà resistenti in collaborazione con Climate Partners:
-37,98%, questo è il valore riscontrato, in termini di CO2 prodotta nella gestione di un vigneto con vitigni resistenti e uno con varietà classiche a parità di condizioni climatiche e territoriali.
Lo studio, condotto nel 2022 presso l’azienda Albafiorita in provincia di Udine, ha tenuto in considerazione tutti gli aspetti globali della produzione, dal vigneto alla commercializzazione, mettendo in luce l’importanza delle scelte imprenditoriali sul tema dell’impatto ambientale. I dati rilevati vanno dal packaging, alla chiusura, passando per la tipologia di bottiglia utilizzata fino ad arrivare a ciò che ha fatto veramente la differenza: l’utilizzo di vitigni resistenti permette oggi di avere alta qualità, alta sostenibilità e minori emissioni di CO
2. Queste nuove varietà resistenti alle principali malattie della vite (peronospora, oidio e botrite), permettono una riduzione dei trattamenti, un minor utilizzo di antiparassitari, un minor consumo d’acqua con un conseguente impatto ambientale non paragonabile alla viticoltura attuale.
Albafiorita a Latisana, Della Casa a Cormons, Ca’ da Roman a Romano d’Ezzelino, Colle Regina a Farra di Soligo, Poggio Pagnan a Mel, Nicola Biasi a Coredo, Villa di Modolo a Belluno e Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna sono le 8 aziende della rete che, guidate dall’enologo Nicola Biasi, stanno lasciando un’impronta indelebile nel mondo della viticoltura attraverso le loro attività. Una scelta che parla di difesa del territorio, valorizzazione del luogo e consapevolezza che, grazie all’innovazione, si può creare una viticoltura reale sempre più sostenibile.

 

RESISTENTI NICOLA BIASI

Resistenti Nicola Biasi è una rete di otto aziende agricole in otto territori diversi tra Friuli, Veneto e Trentino, creata nel 2021 e guidata da Nicola Biasi, miglior giovane enologo d’Italia per Vinoway, Cult Oenologist 2021 per il Merano Wine Festival ed Enologo dell’Anno 2022 per Food and Travel.

Resistenti non sono solo i vitigni, noti anche come PIWI (dal tedesco pilzwiderstandfähige, ossia resistenti ai funghi – malattie fungine) ma anche gli stessi produttori che hanno abbracciato la sfida della sostenibilità in territori differenti e caratterizzati da altitudini e climi che fanno della loro viticoltura qualcosa di davvero innovativo. Questa difesa del territorio, coniugata a una viticoltura di precisione e a un’enologia dedicata e scrupolosa, permette di esaltare le qualità di queste nuove varietà e di conquistare così anche i palati più esigenti e rigorosi.

 

LE IMPRESE DELLA RETE:

Albafiorita a Latisana, nella riviera friulana. 

In un zona non conosciuta per l’innovazione, Dino de Marchi decide di puntare sulla sostenibilità producendo i suoi vini bianchi esclusivamente da vitigni resistenti. 

 

Ca'da Roman a Romano d'Ezzelino. 

Ai piedi del Monte Grappa, Massimo e Maria Pia Viaro Vallotto nel 2015 danno vita all’azienda di soli vitigni resistenti con cantina dedicata che a oggi, risulta essere la più grande d’Europa. 

 

Colle Regina a Farra di Soligo, tra i colli trevigiani. 

Nel cuore del prosecco Docg Marianna Zago decide di andare controcorrente concentrando la sua produzione su vini ad alta sostenibilità grazie all’impianto di vitigni resistenti. 

 

Poggio Pagnan a Mel, nella Valbelluna. 

Gianpaolo Ciet e Alex Limana coltivano esclusivamente varietà resistenti e le vinificano nella loro cantina, la prima di Borgo Valbelluna.  

 

Della Casa a Cormons, in pieno Collio.

Renato Della Casa decide di affiancare l’innovazione alla tradizione dei vitigni autoctoni del suo Collio bianco. 

 

Vigneti Vinessa a San Zeno di Montagna, sull’alta costa veronese del Garda

Mauro e Leonardo Bonatti, per il loro progetto di coltivare esclusivamente vitigni resistenti, in un territorio quasi inesplorato per la viticoltura ad oltre 700 metri s.l.m 

 

Villa di Modolo, Belluno, nel cuore delle Dolomiti venete

Francesco Miari Fulcis, decide di ridare lustro alla dimora storica di Modolo, con un progetto unico nel suo genere che, come protagonista, prevede la produzione di vino da vitigni resistenti

 

L'azienda dell'enologo. 

A Coredo, tra le Dolomiti trentine, Nicola Biasi crea un vino che nasce per rompere gli schemi, il Vin de la Neu. 

 

NICOLA BIASI 

Nicola Biasi nasce in Friuli terra di vini e, dopo il diploma di Enotecnico, lavora per importanti aziende del Friuli come Jermann e Zuani della famiglia Felluga. Prima di trasferirsi in Toscana, Nicola lavora per  Victorian Alps di Gapsted in Australia e poi in Sud Africa per Bouchard Finalyson, dove amplia le sue conoscenze enologiche internazionali.  

Marchesi Mazzei, San Polo a Montalcino e Poggio al Tesoro di Bolgheri di Allegrini sono le aziende Toscane per cui lavora come enologo per quasi dieci anni. 

Nel 2016 Nicola decide di intraprendere l’attività di libero professionista fino ad arrivare nel 2020 a fondare la Nicola Biasi Consulting che vanta consulenze in Toscana, Piemonte, Veneto, Friuli, Trentino e Marche.  

Nicola viene premiato nel 2020 durante la Vinoway Wine Selection 2021 come Miglior Giovane Enologo d’Italia e a giugno 2021 durante l’anteprima del Merano Wine Festival riceve l’ambito premio Cult Oenologist, riservato ai 7 migliori enologi italiani. Il più̀ giovane di sempre a ricevere questo riconoscimento. Nello stesso fonda la rete d’imprese Resistenti Nicola Biasi, un progetto che raggruppa al momento otto aziende vitivinicole differenti accomunate da un unico obiettivo: produrre vini di eccellenza praticando la vera e reale sostenibilità in vigna e in cantina, salvaguardando in maniera concreta l’ambiente. 

A ottobre 2022 resistenti Nicola Biasi riceve l’ambito riconoscimento “progetto vino dell’anno” da Food and Travel Italia, nell’ambito della stessa serata Nicola Biasi viene anche insignito del titolo enologo dell’anno. 

 

 

Giacomo Tinti

VINO IN ANFORA, SOTTO LA LENTE A SIMEI 

IL RITORNO DELL’ARGILLA DA RETAGGIO DEL PASSATO A TREND COMMERCIALE

 

Da passato remoto del vino a fenomeno di nicchia declinato al futuro. È l’anfora, antico contenitore del nettare di Bacco protagonista oggi al Simei di Unione italiana vini (in programma a Fiera Milano fino a venerdì 18 novembre) del convegno “Vino e anfore: il ritorno all’argilla”, un focus che ne ha ripercorso la storia e ne ha indagato prospettive e sviluppi commerciali.

Per l’international editor del Gambero Rosso, Lorenzo Ruggeri: “I vini in anfora stanno vivendo un momento di forte sperimentazione. Si tratta di un fenomeno dal futuro roseo, in particolare perché sfrutta una dinamica di comunicazione orizzontale che coinvolge da un lato i giovani produttori, molto interessati alla ricerca delle potenzialità di questa pratica di vinificazione, e dall’altro i giovani consumatori, che rispondono con interesse. Un trend che osserviamo anche giornalisticamente: al Gambero Rosso ne riceviamo ogni settimana uno nuovo da campionare”. E questo sviluppo si osserva bene anche in Paesi come il Portogallo, come sottolinea il produttore Paulo Amaral (José Maria da Fonseca – Vinhos SA): “La produzione in anfora della Doc Alentejo è cresciuta tra il 2014 e il 2021 più di sette volte, con buone performance anche sul fronte export”. 

“L’anfora è stato non solo il primo contenitore, ma anche uno dei primi strumenti di marketing per il vino, con le incisioni che rappresentavano il commerciante e la forma che ne svelava la provenienza”, ha spiegato Attilio Scienza, docente universitario e tra i maggiori esperti mondiali di viticoltura. “L’anfora – ha proseguito – rappresenta un ‘iconema’, l’immagine di un luogo o di un oggetto che si fissa nella memoria e che trasforma il paesaggio in monumentum attivando un processo di sinestesia: lo stimolo visivo dell’anfora viene associato alle sensazioni del vino e al desiderio di ripetere l’esperienza gustativa, facendola divenire un’espressione estetica”. Un trait d’union con il territorio osservato anche dalla produttrice Elena Casadei, che da anni investe e sperimenta in questo campo: “L’anfora rappresenta il ritorno alla terra dopo la lavorazione in cantina. Un contenitore che, come una cassa acustica, fa risuonare la qualità delle uve che ci mettiamo dentro”. “La varietà dall’uva è cruciale per determinare la qualità del prodotto – ha detto il capo redattore della casa editrice Meininger, Robert Joseph –, ma bisogna ricordare che, nonostante le evocazioni che l’argilla suscita, i vini in anfora non sono necessariamente biologici o sostenibili”.

“Il ritorno all’anfora rappresenta oggi una novità destinata a crescere ed affermarsi – ha concluso il Master of Wine Gabriele Gorelli –. Ma bisogna ricordare che, al di là del marketing, questa vinificazione non rappresenta in sé una garanzia di piacevolezza o di stile. I produttori dovranno trovare il modo di differenziare le loro etichette dandone un’interpretazione soggettiva e distintiva”.

 

Marina Catenacci

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