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CÀ DEL MAGRO DI MONTE DEL FRÀ: IL BIANCO D'ITALIA CHE PIACE NEL MONDO
Wine Spectator assegna 91 punti al Custoza dell'azienda di Sommacampagna, che si aggiudica anche il plauso di James Suckling e di Tom Hyland di Forbes
Wine Spectator attribuisce 91 punti al Cà del Magro Custoza Superiore Doc 2018 dell’azienda Monte del Frà di Sommacampagna (Verona), il più alto punteggio mai assegnato a un Custoza dalla rivista statunitense. Tale risultato va ad aggiungersi ai numerosi altri riconoscimenti internazionali ottenuti dal Cà del Magro, che si afferma così come uno tra i bianchi italiani più votati e apprezzati dalla stampa estera degli ultimi anni. James Suckling quest'anno gli ha riconosciuto 92 punti, Tom Hyland, autorevole corrispondente enoico di Forbes, gli ha assegnato addirittura 97 punti, definendolo come uno tra i migliori bianchi dell’anno.
Il Cà del Magro ha ricevuto negli anni premi e riconoscimenti anche in Italia, dove non solo gli sono stati assegnati i Tre Bicchieri del Gambero Rosso per ben undici anni consecutivi, ma ha ottenuto alti punteggi su molte delle guide italiane tra cui Vini Buoni d’Italia, I Vini di Veronelli, Vitae – AIS e 95 punti sulla Guida Essenziale 2021 di DoctorWine e su Wines Critic.
Con una produzione annua di 80 mila bottiglie, il Cà del Magro emerge come il vino più rappresentativo dell’azienda Monte del Frà, emblema della storia e del territorio da cui nasce: un vigneto di oltre trent'anni coltivato su una collina nel cuore del Custoza, a sud-est del Lago di Garda. I vitigni che lo costituiscono sono Garganega, Trebbianello, Bianca Fernanda e lncrocio Manzoni. Dal colore giallo paglierino intenso, con leggeri riflessi dorati, al naso rivela profumi di frutta tropicale, fiori bianchi e note di zafferano. Al palato si presenta armonicamente complesso con un finale asciutto e sapido.
Un vino che rivela al meglio le proprie potenzialità con l’affinamento in bottiglia e che si pone controcorrente tra i Custoza di pronta beva. È proprio per questa sua diversità che il Cà del Magro è molto apprezzato anche dai mercati esteri: nel 2020, nonostante l’emergenza sanitaria in atto, la cantina ha intrecciato nuove relazioni commerciali in Albania, Azerbajgian, Filippine e Kosovo e complessivamente esporta in oltre 60 Paesi al mondo.
“Siamo orgogliosi dei risultati ottenuti dal nostro Cà del Magro, che si riconferma tra i vini bianchi più celebrati – commenta Marica Bonomo, responsabile commerciale estero di Monte del Frà – Cà del Magro, un vino che si caratterizza per mineralità e longevità, racchiude ed esprime al meglio questa denominazione, un concentrato del nostro amato territorio, il Custoza, che sta facendo innamorare il mondo”.
Anna Sperotto
I CONSORZI E LE ISTITUZIONI REAGISCONO CON DECISIONE
La Slovenia, attraverso una norma tecnica nazionale, cerca di aggirare il sistema di tutela delle DOP e IGP
L'Aceto Balsamico di Modena è di nuovo sotto attacco e con esso il sistema delle DOP e delle IGP italiane.
Il Governo sloveno ha notificato alla Commissione Europea una norma tecnica nazionale in materia di produzione e commercializzazione degli Aceti che, oltre a porsi in netto contrasto con gli standard comunitari e con il principio di armonizzazione del diritto europeo, cerca di trasformare la denominazione “aceto balsamico” in uno standard di prodotto.
Operazione illegittima ed in contrasto con i regolamenti comunitari che tutelano DOP e IGP e disciplinano il sistema di etichettatura e informazione del consumatore.
“Secondo la nuova norma slovena, in fase di valutazione presso la Commissione Europea, qualsiasi miscela di aceto di vino con mosto concentrato si potrà chiamare, e vendere, come ‘aceto balsamico’, afferma il Direttore del Consorzio Aceto Balsamico di Modena Federico Desimoni, con grande offesa della tradizione e degli sforzi fatti dai produttori delle eccellenze modenesi che insieme all’attività di divulgazione dei Consorzi lo hanno reso famoso nel mondo”.
Siamo dunque di fronte ad un attacco diretto al sistema agroalimentare di qualità europeo, al diritto dei consumatori ad un’informazione corretta e trasparente e degli operatori commerciali ad una concorrenza leale. Ma lo stratagemma di raggiro delle disposizioni comunitarie è stato individuato dal Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena e dal Consorzio di Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e dal mondo istituzionale. “Ci troviamo – commenta il Presidente del Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena IGP Mariangela Grosoli - nuovamente di fronte ad una situazione che rischia di danneggiare non solo il comparto dell’Aceto Balsamico di Modena ma tutto il sistema delle DOP e delle IGP italiane. Sarà fondamentale, anche stavolta, fare leva sulla collaborazione delle Istituzioni: il Ministero Politiche Agricole, ed in particolare la Direzione Qualità, che ringrazio per il prezioso sostegno nella tutela del nostro settore, già direttamente coinvolta e al lavoro sul dossier”. Grande sostegno è arrivato dall’associazione di riferimento dei Consorzi di Tutela, OriGIn Italia, che si è immediatamente attivata chiedendo al Governo di opporsi formalmente a livello comunitario alla proposta slovena. Ma il tempo non è molto perché l’atto di opposizione dovrà essere notificato in Commissione entro il 3 marzo prossimo e la preoccupazione dei Consorzi cresce con il passare dei giorni “Chiediamo al Governo che formalizzi al più presto l’atto di opposizione – afferma il Presidente del Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Enrico Corsini – e con l’occasione rivolgiamo a nome dei due Consorzi i più sentiti auguri di buon lavoro al nuovo titolare del Dicastero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali”.
Alla voce dei Consorzi si affianca quella della politica a difesa del mondo delle DOP e IGP e in particolare dell’Aceto Balsamico di Modena: “La problematica evidenziata dal Consorzio è grave ed urgente e rappresenta una priorità per la tutela del sistema Paese ed in particolare di un asset fondamentale del sistema economico nazionale – afferma con decisione l’Onorevole Benedetta Fiorini, Segretario della Commissione Attività Produttive – e proprio per questo chiediamo al Governo di assicurare un intervento formale puntale e tempestivo che garantisca una tutela efficace. La salvaguardia delle produzioni tipiche italiane, vere eccellenze nel mondo come l’aceto balsamico di Modena, deve essere una assoluta priorità. Inoltre, è necessario rafforzare concretamente l’azione di tutte le strutture della filiera per garantire sostegno, tutela e promozione. Tutelare la qualità significa garantire identità”.
Il supporto e la richiesta di un’azione decisa e tempestiva del Governo arriva anche dalla Regione Emilia-Romagna “Le due DOP dell’Aceto Balsamico tradizionale, di Modena e di Reggio Emilia, e l’IGP Aceto Balsamico di Modena rappresentano un solidissimo legame con il territorio emiliano e una risorsa preziosa per l’economia regionale – sottolinea l’Assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi – bene ha fatto il Consorzio a esercitare da subito la sua funzione di tutela e intervenire di conseguenza. Ho personalmente scritto al Ministro per segnalare l’accaduto, auspicando un intervento del Governo. Dobbiamo difendere sempre i nostri prodotti agroalimentari di qualità e i dispositivi che li regolano dai potenziali tentativi di imitazione che ne perturbano il mercato e ne mettono in discussione l'unicità”.
La questione è arrivata sul tavolo del neo Ministro delle Politiche Agricole, Senatore Stefano Patuanelli e proprio in queste ultime ore, la Direzione Qualità del Mipaaf sta predisponendo la documentazione tecnica necessaria per completare il dossier che dovrà essere notificato alla Commissione.
Marte Comunicazione snc di Marzia Morganti Tempestini & C.
A COMPAGNA RIVISTA MENSILE ILLUSTRATA
LA COPERTINA DEL PRIMO NUMERO
All’ing. Cesare Gamba che nelle sale di Palazzo Bianco, durante il memorabile ricevimento del 24 maggio 1926, gli consegnava il distintivo di socio della “Compagna”, S. E. Mussolini rispondeva poche, eloquenti parole: “Sono orgoglioso di appartenere alla “Compagna”.
Nel tracciare il programma di questa nostra rivista, rievochiamo, come il più sicuro auspicio per il nostro cammino, le incisive parole del più illustre dei compagni, il Duce, al quale inviamo il nostro primo saluto.
E un saluto rivolgiamo alle autorità politiche, fasciste, amministrative, sindacali, militari, giudiziarie, religiose, che reggono la Città, al Consolato magnifico, alla Consulta della “Compagna”, ai compagni, ai genovesi tutti, agli ospiti graditi di Genova, alle Associazioni regionali che come la nostra, si prefiggono il culto delle tradizioni della loro terra a maggiore gloria d’Italia, alla stampa cittadina che della voce di Genova è stata sempre così degna, autorevole interprete.
La nostra rivista si prefigge lo scopo di stabilire un efficace collegamento tra i “compagni” mediante la pubblicazione degli atti sociali, delle relazioni sui lavori compiuti dal Consolato, dalla Consulta, dalle diverse Commissioni; degli avvenimenti sociali di maggiore importanza, ecc. In una parola questa pubblicazione dovrà essere la eco fedele della vita dell’Associazione e per ciò recherà in ogni numero una parte ufficiale, redatta a cura della Cancelleria. Ma tale notiziario, se può avere un interesse pei soci, non basta a giustificare una pubblicazione che si rivolge in genere a tutta la cittadinanza genovese e ligure; e per ciò la rivista “A Compagna” sarà anche la illustrazione della storia e dell’archeologia ligure, delle tradizioni della nostra stirpe, dei monumenti che il genio e la opulenza degli antenati ci hanno lasciato, delle grandiose opere di carità che la munificenza antica e moderna ha costruito a vantaggio dei poveri, delle iniziative degne di maggiore rilievo nei campi più disparati dell’attività ligure, dalle nostre industrie poderose al vasto campo del commercio marittimo.
24 MAGGIO 1926 – S. E. MUSSOLINI DA UNA FINESTRA DEL PALAZZO DELLA PREFETTURA
SORRIDE ALLA BANDA DELLA “COMPAGNA” CHE PASSA SUONANDO “RUSTICANELLA”
La rivista si propone anche la illustrazione delle nuove opere pubbliche cittadine senza però invadere in minima parte il campo così bene mietuto dal Bollettino Municipale “La Grande Genova” al quale invia un plauso sincero per la cura con cui viene redatto nelle svariate sue rubriche. Né intende comunque la nostra pubblicazione varcare la sfera d’azione, prevalentemente letteraria ed artistica, di un’altra rivista mensile genovese “La Superba”, alla quale porge pure un cordiale saluto. E tanto meno vuole in minima parte assurgere alla trattazione dei problemi della politica, della scienza, della letteratura, i quali trovano degna sede nella Rivista “Le Opere e i Giorni” che, fondata e diretta dal “compagno” Mario Maria Martini, ha già da tempo oltrepassato i liguri confini per conquistare uno dei primissimi posti tra le riviste italiane.
Per la trattazione dei diversi temi ci siamo assicurata la collaborazione preziosa di competenti compagni, e in questo stesso numero i lettori possono già vedere alcuni articoli dovuti ad eminenti scrittori; specializzati nelle rispettive materie.
Consci che i tempi attuali, vibranti di meravigliosa attività, non si ammantano di vane parole, ma di fatti concreti, ci lusinghiamo che questa nostra modesta iniziativa, che abbiamo sviluppato per un debito di affettuoso omaggio alla memoria di Umberto Villa che ne fu l’ideatore, non abbisogni di illustrazione ulteriore, oltre il concetto animatore sopra enunciato. Esprimiamo solamente l’augurio che l’opera nostra non riesca indegna del pubblico genovese al quale ci rivolgiamo, fidenti nel suo appoggio e nella sua cooperazione.
LA DIREZIONE
IL TELEGRAMMA INVIATO DAL DUCE ALL’ON. BROCCARDI DOPO LE MEMORABILI GIORNATE GENOVESi
DISCORSI ALLA COMPAGNA
La parola di San Giorgio
«...Alla “Compagna”..., rispondono unanimi tutte le storiche campane della Liguria, che annunziano con esse, in questa nuova era del Risorgimento Italiano, nuove energie creatrici in mare e in terra, per la sempre più sublime ascesa di tutte le fortune nazionali».
PAOLO BOSELLI
Ieri tutto il Tempio sonava del carme secolare: tutti gli Italiani memoravano e propiziavano Roma Dea, restaurata al maggior Altare della virtù che vuole e sa ritessere le porpore, e rispiegar le vele, e rieducar, verdi, i lauri al Tricolore. Col vangelista nero e folgorante della Rinascita, erano tutti i credenti della Patria; il Tempio dai venti Campanili palpitava mirabile, superbo e uno nel Rito.
Oggi s’ingloria, San Giorgio, la tua vetta antica, onore della Basilica peninsulare, e questa n’è ancor tutta luminosa, ché il Campanile solare e marino dei Navigatori è gemma e faro, fortezza e squilla d’Italia.
Umili uomini oscuri ne saldano, col ricordo e l’amore, la pietra antica e sacra; coll’anima ne toccano il bronzo.
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Restituire all’Italia, nella sua integrità spirituale tradizionale, uno dei suoi Popoli più gloriosi; mantenerlo sulla giusta e storica via del suo destino; risuscitare, a ciò, tutte le sue migliori energie; alimentarle e confortarle colla storia, colla tradizione, col costume, col linguaggio; conservarlo nelle tumultuose correnti d’immigrazione e nella massa sempre varia, e talora discorde, delle genti immigrate, uno di sangue, di volontà, d’anima e d’opera: costituirne – alto mirando, e al passato e all’avvenire – un patriziato conscio e responsabile della nostra nobile Terra, è l’ideale, lo scopo, la speranza e il volere della Compagna.
Tanto esprime la dichiarazione statutaria: tanto dev’essere sempre più fermo e luminoso e limpido. Tanto, senza nostre vane parole, comprese il Pilota dei Fatti.
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Eppure v’è, ancora, un vulgo sciocco, di gazze, che parla e sparla delle Regioni collo sprezzo gassoso del pregiudizio ormai veto. A noi stessi, diremo, non a costoro, che più della pietra, dei marmi, delle tele, l’Italia deve vantare le sue Regioni: stupenda opera di natura e di moltanime umanità, di genialità italiana, di provvidenza divina; le sue Regioni che, diversissime, s’alleano a quell’unità unica d’italianità ch’è sinonimo – invano misconosciuto – della più varia e vivida intelligenza umana e civile.
Provvidenza sapiente, volle, come le terre, diversi gli uomini d’Italia; diverse – nei mutevoli pittoreschi scenari regionali – le attitudini, le attività, i costumi: vari gli spiriti, mirabilmente espressi negli usi come nelle opere; varia la terra armoniosa colle sue genti, le storie e le glorie delle collettività diverse, concordi coi loro individui.
Le diciotto Sorelle, tutte differenti e bellissime, costituiscono davvero una superba ghirlanda di maternità all’Italia! La gloriosa mutevol maraviglia delle gemme italiche oppone infimo danno al primato geniale che all’Italia venne da differenze così vivaci e caratteristiche, sì che il ligure nato sul mare, sull’azzurra cornice di rupi, e il pianigiano alacre nella feconda vastità padana, e l’arguto spirito frizzante nel giardin di Toscana, col calabro silvano e fiero, e tutti gli uomini e tutte le terre e tutte le arti e tutte le storie, e tutte le vite, e tutte le diversità, sono stupende leggi o privilegi, sorrisi e industrie di natura e di destino, d’umanità sagace e di provvidenza divina a far d’Italia mazzo unico d’ogni fiore umano...
Ciò non si comprese; si negò; si osteggiò per lungo tempo. E parve saggezza patriottica l’orrendo scempio della personalità regionale E titani monocoli, e pigmei senza lume, s’affaticarono – proprio bestemmiando il santo nome della gran Patria unica e somma! – a distruggere le piccole Patrie sua gloria e sua gioia; a demolire i naturali gradini per cui l’individuo, calpesti i bruti istinti egoistici, assurge; dalla famiglia al suo paese; dalla sua regione fino all’idealità più augusta, oltre cui è tutta l’umanità, e finalmente Iddio.
Nella furibonda quanto stolida guerra alle Regioni, che pur avevano saputo creare l’unità della Patria (proprio quell’unità nel cui nome dovevansi distruggere), alla ragion d’essere delle regioni e all’opportunità e all’utile di ben mantenerle, non si trovò voce e sapienza.
Non si vide e non si pensò, non si volle vedere e pensare ch’esse non erano forma d’artificio, convenzione geografica, espressione verbale, delimitazione amministrativa, bensì fatto fisico e psicologico; sostanza etnica, organismi naturali e vite storiche, realtà predestinate, plasmate nella stessa evidenza concreta e nella spiritualità della Penisola: terra e carne d’Italia; sangue e respiro della Patria; rappresentanti immediate tangibili d’Essa ai più; così come la nave Italiana è la patria italiana, presente e concreta nell’oceano.
Se la natura e la storia, il tempo e le stirpi crearono e mantennero le Regioni, come e perché tentar di distruggerle, o menomarle, anzi che usarle ad un fine?
Ciò non fu meglio ineditato. L’apologo del Romano parve applicato dallo stomaco, ovvero dal cuore – diciamo dai meccanisti del cuore! – a danno delle membra; rimproverando il braccio, la mano, il piede, il collo; di opporsi – colle loro diversità – all’unità della Nazione! Come se la Nazione bene unita dovesse equivalere a un cuore senza membra! A un blocco inarticolato, a un centro senza periferia! Per timore del vestito d’Arlecchino, si fece torto alle belle membra del corpo vivo.
* * *
L’Italia è fatta, bisogna far gl’Italiani...
S’abusò, in ogni scoletta, a sazietà, e in senso assoluto, pedantesco e alteratissimo, della frase dazegliana. Far gli italiani parve dover significare: distruggiamo i liguri, i lombardi, i napoletani, i veneti, i siciliani, per foggiarne, non gli Italiani di Milano. di Venezia, di Palermo... bensì un tipo ortodosso su misura, un’antologia antropomorfa di brani... (proprio di brani!) scelti dei vari tipi regionali, da distruggersi poi ad onta del passato, a obbrobrio dei secoli in cui le Regioni avevan dato Cesarea e Legnano, Ponza e Barletta, i Vespri e le Colonie d’oltremare! Un furore d’inintelligenza iconoclasta avventò tutti i declamatori, tutti i rètori del luogo comune, tutti i più ottusi pedagoghi a distruggere mura ciclopiche di sentimenti, d’attitudini, di consuetudini, di forte e vario vivere, che ai vaporanti cervelli ossessionati d’un uniformismo da orfanotrofio, sembravano barriere e catene, mentre che non costituivan meno della colonna vertebrale, del sistema osseo più intimo della grande Patria che poteva, finalmente, essere integrata fatta, cioè animata, inossa, da tutte le sue geniali diversità, con tutte le varie attitudini e forze, a nuova vita, a nuova storia, cui tutte le sue storie, tutte le sue vite, tutte le sue esperienze dovevansi rivolgere mirabilmente attive e concordi; per costruire, sì come sterratori e fabbri, muratori e falegnami, carpentieri e pittori, ingegneri e manovali s’adoprano all’edificio nuovo: saldo e armonioso.
Far gli Italiani doveva significare, per Massimo come per Goffredo, ridestare i Fratelli d’Italia; non distruggerne le molte vite, bensì rivolgerle – in cosciente armonia – a una maggiore; non distruggere per l’unità, le parti cui veniva mirabilmente a comporsi; non violentar le menti e i cuori, lor strappando pensieri e affetti foggiati nei secoli, bensì dai particolarismi chiusi portarli alla via maestra lumeggiata fiammeggiante della Patria, tutta acquistata e riconquistata.
Significava montare i pezzi, muovere l’inerte, riparare i danni; fare coll’esistente buono, migliorarlo – sempre migliorarlo – non annientarlo o sciuparlo, non mortificarlo come incompatibile colla creazione di cui era fattor primo; sollevare le genti men progredite d’Italia accanto alle più civili e prosperose; rilevarle dalle umiliazioni del servaggio, ripararne le devastazioni delle male signorie straniere; l’individuo rendere degno di tutto il Popolo e il Popolo illuminarlo colla luce dei più grandi cuori, delle più vivide menti che proprio le Regioni avevano dato al trionfo dell’Unità.
Menti e cuori d’uomini sommi, assolutamente diversi come le regioni da cui erano generati, e perciò forse maravigliosamente provvidi alla sacra causa.
Io non so chi non veda come la provvidenziale varietà spirituale delle regioni, esprimendosi nel pensiero e negli atti dei fattori dell’Unità, mirabilmente servisse proprio quella fusione d’Italia, di cui le regioni parvero poi dissolventi, vituperate. Certamente danneggiò la ragione il pensiero primo di coloro che, preoccupandosi della varietà grande delle popolazioni italiane, e considerando, com’era infatti, ingiustizia e ingratitudine somma tentar d’annientarla, e impossibilità per lo meno secolare, di acquistar loro un’uniformità, e dubbiosa praticità e utilità tentarlo, volevano, al primo fiorir dell’ideale di indipendenza, la confederazione degli stati italiani, e poi un’unità a spicchi o a cantoni, a foggia svizzera.
Dal Gioberti al Cattaneo, le regioni furon tanto e sempre presenti agli unitari, da divenir incubo di minaccia, di pericolo all’ideale supremo.
Il sospetto, il disamore, l’ostilità s’armarono tenaci, rimasero nel sistema politico, divennero vangelo d’educazione italianissima. Delle regioni sospiravasi in Parlamento e a scuola come di parenti indegni. Le membra, le parti d’Italia sembravano tutte vergognose! In buffo modo si raffazzonarono e antologiarono le istorie d’Italia; i fratelli mameliani furono siamesati retrospettivamente; la storia di Roma fu caudata d’un’infelice campionario senza sapore, colore e proporzioni delle vite regionali nei secoli. E si videro, si lessero, si studiarono nelle scuole i testi dov’erano dedicate dieci pagine a Venezia, Genova, Pisa superstiti della forza di Roma e seminario dell’avvenire, e forse dodici agli Scaligeri o ai Carraresi; dove Genova e i Genovesi comparivan soltanto per guerreggiare Pisa e San Marco, in conflitti idiotamente deplorati. Le guerre fraterne!... Non si vide altro delle storie dell’Italia luminosa e virile nel letargo buio!
Ma la zelante follia procustiana, non poteva contentarsi dei rapporti ch’ebbero nei secoli le varie parti d’Italia; d’un’armonia, che pur nelle divisioni e nelle varie vicende, mantenne – anche se non appariscenti, anche in occasionali contrasti – in legami di origini e di destino, le venturose sorelle.
Ah! quanto male fece questo zelo illogico alla Patria! I pezzi mal posti, o negletti, non possono valere alla macchina.
Qual folle imprevidenza indebolire, mortificare, traviare, artificiare la vita delle regioni singole – la loro vita naturale logica opportuna – nella convinzione sciocca di irrobustire il nuovo augusto corpo nazionale! Non per aiutar lo stomaco, ma precisamente per rafforzarlo, quei singolarissimi medici paralizzarono o atrofizzarono le membra!...
Chi volesse opporsi a questa verità storica, pur troppo ancor tanto evidente nei suoi effetti disastrosi, pensi alle sei o sette capitali – vere capitali non di staterelli ma di attività – rimaste come cuori inerti, come macchine dimesse, teste vuotate di cervello e di volontà poiché tutti i cervelli e tutte le volontà dovevansi foggiare in grande, e per tutti, e per tutto a Roma. A Roma, di quei tempi, impreparatissima: la verità non è irriverenza.
Centri di vita, di attività particolarissime; propulsori antichi costanti mirabili di energie che dovevansi esercitare, svolgere, afforzare su quei territori dove l’esperienza aveva lor segnati codici irrevocabili; genti che dall’ambiente e dalle sue esigenze prendevano incitamento, forze guide, dovettero abdicare le lor pur proprie virtù e subordinarsi alla volontà generica, in troppi casi inopportuna, dubbia o errante. Mare e fiumi, laghi e monti, industrie, traffici, navi; ogni vita antica e nuova dovette fermarsi il polso, spegnere i suoi fuochi. negarsil’evidenza, esasperare l’urgenza, in attesa delle provviste spirituali, legislative, tecniche, finanziarie di un centro ingombro e atono, dove Cavour non c’era.
Quell’accentramento era un ingorgo che si fece cronico e fu dannosissimo: l’iniziativa delle regioni, se non annientata, fu crudelmente impacciata, disagiata, sfavorita. Città use da secoli a volontà propria, ad azione immediata e diretta di previdenza e di provvidenza, che forse in brevi orizzonti, ma vicine e limpide vedevano le ragioni di lor vita, ascoltando e vigilando ben da presso il cuore e il cervello del loro organismo non vasto, ma proporzionato, logico, evidente, furono – quasi improvvisamente – invecchiate, fiaccate, esautorate nell’accidia spirituale dei subalterni; ricacciate da chi pensava di allargare le mura e gli spiriti al concetto più grande, alle più anguste miserie locali, talora con un burocrata accidioso e dieci intriganti. E le popolazioni divennero agglomerati di singoli egoisti, senza attività e responsabilità che oltrepassasse il nocciolo dell’interesse individuale.
Eccezioni qua e là di illuminati, di ambiziosi, di irrequieti, ma il folto regionale divenne di forza inerzia, da anima e animatore materia greve e lenta, or ripugnante e restia, or paziente passiva, or malcontenta e ostile d’una lontana tarda farraginosa, spesso opaca ed equivoca, spesso improvvida e inadeguata, volontà affollata, affaticata, sforzata: volontà di ufficio, provvidenza di maniera, competenza generica o di seconda mano, burocrazia non energia.
Qualche regione seppe adattarsi o reagire, e forse non fu estraneo all’assurgere di Milano il tirocinio di dominazioni straniere, per cui erasi l’industre regione già abituata a trovar forze e volontà sue da tener parallele, se non proprio da opporre, alle esigenze di dominanti lontane.
Enormemente soffrì invece la Liguria, l’albatro terrafermato.
Ora che Roma non è più vedova e sola con troppi; ora ch’è tornata Caput davvero, le regioni italiane, legittimate e confortate, trovano a Palazzo Chigi chi sa lo spirito profondo del mens sana in corpore sano di Giovenale. cioè che la testa è forte e sana, che il corpo è ben valido se il cuore, i polmoni, il fegato, non sono atrofizzati e buttati ai gatti.
L’Italia è il piroscafo maraviglioso, ma le sue Regioni sono gli scompartimenti stagni del transatlantico poderoso...
E se il Comandante è al suo posto, sul ponte di comando, l’alto pensiero scende alle macchine, indaga le stive; sa che la Bandiera sventola alta e sicura se sotto coperta non v’è un carico di addormentati, o di marinai franchi, sempre franchi di guardia, cui sembri merito e disciplina di aver disimparato vele e timone, di russare per non peccare.
Amedeo Pescio
CONTINUANO LE LEZIONI DI CUCINA
SABATO 20 FEBBRAIO ore 11
PANE, PIADINA E FOCACCIA
IMPARIAMO A SCEGLIERE LE FARINE, COSA VUOL DIRE W SULLE FARINE?
LIEVITAZIONE, MATURAZIONE, COTTURA
PREPARIAMO QUALCHE PANE SPECIALE, ALLE NOCI, AL POMODORO, AL CIOCCOLATO?
I SEGRETI PER LA FOCACCIA CROCCANTE MA SOFFICE, QUANTO E BUONA LA PIADINA?
LEZIONE SINGOLA 35 EURO
SABATO 27 FEBBRAIO ore 11
CUCINIAMO CON LA BIRRA
RISOTTO SALSICCIA DI BRA, BIRRA AMBRATA E CARCIOFI
MAZZANCOLLE ALLA BIRRA BIANCA E LIME
TORTA FONDENTE DI CIOCCOLATO, LAMPONI E BIRRA SCURA
LEZIONE SINGOLA 35 EURO
SABATO 6 MARZO ore 11
LA CUCINA REGIONALE: IL LAZIO E LE SUE PASTE
IMPARIAMO A FARE LE PASTE ITALIANE PIU FAMOSE NEL MONDO!!!!
AMATRICIANA, CACIO & PEPE, GRICIA, CARBONARA
LEZIONE SINGOLA 35EURO
SABATO 13 MARZO ore 11
GLI ANTIPASTI DI PESCE
ZUPPETTA DI BACCALA, ASPARAGI E POMODORO
MUFFIN DI SALMONE AFFUMICATO E ROBIOLA CON PASTA MATTA AL SESAMO
CAPESANTE SCOTTATE, CARCIOFI E SARZET
LEZIONE SINGOLA 35 EURO
SCUOLA GOURMET VIA RANCO 16 (angolo via Garetti)
LE LEZIONI E I CORSI SONO A NUMERO CHIUSO
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BIENNALE INTERNAZIONALE DELL'ANTIQUARIATO DI FIRENZE: DAL 2 AL 10 OTTOBRE 2021
Sarà in programma dal 2 al 10 ottobre 2021 la 32ma edizione della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze a Palazzo Corsini. La mostra più importante al mondo dell’Arte Italiana e anche la più longeva, slitta di una settimana rispetto alle date consuete andando a coincidere con un altro importante appuntamento come la grande mostra di Jeff Koons a Palazzo Strozzi .
Nonostante alcune fiere internazionali abbiano deciso di spostarsi all’autunno, sono certo che la Biennale rimarrà un punto fermo e fondamentale del mercato dell’arte, come sempre lo è stata.
La Biennale opera in maniera trasparente e altruista nei confronti degli espositori, molti dei quali hanno già manifestato solidarietà e lealtà per questa storica manifestazione, cosa che mi riempie di gioia e motiva a lavorare sodo per una “edizione della rinascita” - dichiara Fabrizio Moretti, Segretario Generale della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze.
È sottinteso che tutti i progetti per questa edizione andranno avanti, solo ed esclusivamente, se la situazione sanitaria lo consentirà come di fatto appare ad oggi. Non dovessero verificarsi le condizioni indispensabili di sicurezza la BIAF ha già previsto di annullare l’edizione in lavorazione e posticiparla a settembre 2022.
Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze
Informazioni e application: www.biaf.it
Edizione n.32
2 - 10 ottobre 2021
Palazzo Corsini, Lungarno Corsini
Preview stampa: venerdì 1° ottobre
Ufficio stampa per la Toscana
Studio Ester Di Leo
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Ufficio stampa nazionale
Studio ESSECI – Sergio Campagnolo
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